di Francesco Masala – a proposito di ebrei
antisemiti (?), nazisti, censure, satira, senza dimenticare Julian Assange, con
un disegno di Mauro Biani, con interventi di Daniele Genser, Nicolai Lilin, e
un articolo di Giovanni Pillonca, ma non solo.
Roger Waters è indagato dalla polizia tedesca per avere usato una divisa delle SS in uno spettacolo a Berlino (qui), Zelensky adotta pubblicamente simboli nazisti (qui), omaggiato come un capo di stato, che per un pezzo di terra è disposto a far morire tutti gli ucraini (e questo non è uno spettacolo, o forse sì).
Daniele Ganser spiega che, nell’occidente delle libertà, la censura e le liste di proscrizione sono normali, anche se, per ora, non si bruciano i libri in piazza (come recentemente è capitato in Ucraina)
Nicolaj Lilin riferisce di un generale tedesco che si è espresso sull’addestramento dei militanti delle forze armate ucraine in Germania: sono più interessati all’esperienza e ai metodi dei punitori delle SS che agli affari militari.
In Germania: attacchi contro gli ebrei critici del sionismo – Giovanni Pillonca
In un articolo apparso il 4 aprile scorso sulla rivista online +972 magazine la corrispondente dalla Germania, Heibh Jamal riferisce delle nefaste conseguenze derivanti dalla risoluzione approvata dal Bundestag nel 2019 che dichiara antisemita il movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions, un movimento che promuove la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per i palestinesi) e di conseguenza anche chiunque lo sostenga. La risoluzione era giustificata dall’aumento degli episodi di antisemitismo e dai timori generati dal flusso crescente di immigrati provenienti dai paesi musulmani. Ma era anche la diretta conseguenza del voto con cui, l’anno prima, il Bundestag aveva dichiarato “l’esistenza di Israele come parte dell’interesse nazionale della Germania”. La risoluzione nasce anche da una discutibile interpretazione della definizione di antisemitismo data dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) nel 2016, che offre il destro a applicazioni strumentali autorizzando la destra a definire antisemita chiunque critichi le politiche di Israele. È per questa ragione che nel 2021 un gruppo di studiosi nei campi della storia dell’Olocausto, degli studi ebraici e degli studi sul Medio Oriente hanno stilato la Jerusalem Declaration on Antisemitism, firmata da più di 350 personalità del mondo della cultura internazionale tra i quali Abraham Yehoshua e Carlo Ginzburg. “Quali che siano le intenzioni dei suoi sostenitori – si dice nel preambolo della Dichiarazione di Gerusalemme – la definizione di antisemitismo data dall’IHRA “offusca la differenza tra discorsi antisemiti e legittime critiche a Israele e al sionismo. Ciò causa confusione, mentre delegittima le voci dei palestinesi e di altri, compresi gli ebrei, che hanno opinioni aspramente critiche nei confronti di Israele e del sionismo. Niente di tutto questo aiuta a combattere l’antisemitismo”.
Sulla situazione venutasi a creare in Germania, in seguito alla risoluzione, avevano già riferito lo scorso anno sia Peter Beinart su Jewish Currents, sia Avraham Burg, ex Presidente del Parlamento israeliano, su Haaretz, prendendo spunto entrambi da una conferenza organizzata a Berlino dall’Einstein Forum, intitolata “Hijacking Memory: The Holocaust and the New Right” (Il sequestro della memoria: l’Olocausto e la nuova destra). La conferenza era incentrata sull’analisi del fenomeno dell’appropriazione indebita, se non del vero e proprio sequestro, del processo di espiazione tedesco da parte della destra filoisraeliana. L’articolo di Beinart segnalava come la memoria dell’Olocausto, in Germania, venisse usata come arma per far tacere chi criticava Israele. La risoluzione del Bundestag, infatti, equipara il boicottaggio di Israele ai boicottaggi nazisti degli ebrei, ignorando il fatto, sosteneva Beinart, “che i gruppi della società civile palestinese hanno creato il movimento BDS perché vogliono la ‘piena uguaglianza’ con gli ebrei mentre i nazisti boicottavano gli ebrei perché volevano esattamente il contrario”. Il meccanismo messo in moto dalla risoluzione e l’estrema puntigliosità con cui le istituzioni pubbliche ne hanno assicurato l’applicazione nel corso degli ultimi tre anni, oltre a colpire i movimenti palestinesi, adesso – è questo il paradossale sviluppo della faccenda – finisce per rivolgersi anche verso gli stessi ebrei che avanzano critiche verso lo Stato di Israele, come dimostra Heibh Jamal nel suo articolo.
Jamal riporta la testimonianza di Wieland Hoban, compositore e traduttore accademico che è anche presidente di Jüdische Stimme, un’organizzazione ebraica antisionista, il quale ha accertato una decisa e preoccupante impennata nel numero di ebrei presi di mira perché fortemente critici della posizione categoricamente filo-israeliana della Germania. “Mentre i tedeschi e le istituzioni statali sono a proprio agio nel diffamare e calunniare i palestinesi, sostiene Hoban, si sta arrivando al punto in cui abbiamo dei non ebrei che affibbiano ad altri ebrei l’infamante accusa di essere antisemiti!. Si tratta di un nuovo imprevisto sviluppo cui si è arrivati negli ultimi due anni”.
Gli ebrei non sionisti sono il bersaglio di una marea di attacchi e di vari livelli di censura a causa della loro solidarietà con la causa palestinese, non soltanto dalla destra più conservatrice, ma anche da alcuni settori della sinistra, in particolare la fazione Antideutsch, che trova uno dei suoi collanti più efficaci nel sostegno incondizionato a Israele e nella profonda avversione nei confronti di chi critica il sionismo.
Pertanto le differenze di opinione politica sul capitolo Israele-Palestina sono scoraggiate, persino minacciate, da un ampio fronte politico. La conseguenza è una situazione contorta in cui lo Stato decide cosa è antisemita e offensivo per gli ebrei – e gli stessi ebrei ne sono spesso il bersaglio. È il caso di Adam Broomberg, un artista ebreo sudafricano che ora vive a Berlino, il quale ha dovuto difendersi da una serie di accuse da parte del commissario per l’antisemitismo di Amburgo, Stefan Hensel, a causa del suo sostegno alla causa palestinese. Broomberg, cresciuto nel Sud Africa dell’apartheid, racconta di aver compreso l’impatto dell’apartheid sin da quando era un adolescente. “A scuola mi dicevano ogni giorno che se l’apartheid fosse finito in Sud Africa, ciò avrebbe significato la fine dell’esistenza dei bianchi. Allo stesso modo, mentre frequentavo una scuola religioso-sionista, mi dicevano che il sionismo avrebbe assicurato la sopravvivenza del popolo ebraico. In entrambi i casi venivano usate le stesse strategie per giustificare il mantenimento dello status quo, ed entrambi questi miti hanno iniziato a crollare per me contemporaneamente. Il mio sostegno alla Palestina non è qualcosa che ho deciso all’improvviso. Ho 52 anni e questa decisione l’ho presa quando avevo 15 anni”…
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