articoli e video di Umberto Vincenti (ripreso da lafionda.org), Giuliano Marrucci (ripresi dal suo canale youtube), Pasquale Cicalese e le interessanti e condivisibili considerazioni di Gustavo Petro (ripresi da lantidiplomatico.it) e un interessante documentario di Roberta Zanzarelli
Made in Italy, italian style, bel paese: eccellenze italiane – Umberto Vincenti
Il dato è passato quasi inosservato: stampa e televisioni istituzionali ne hanno dato notizia, poi hanno lasciato perdere. Scomparso. Eppure si sarebbe dovuto avviare una seria, e severa, riflessione; aprire un dibattito; anzi, introdurre un’inchiesta. Un tentativo è stato fatto solo da Paolo Bricco su Il Sole. Il silenzio omertoso ha, invece, unito, ancora una volta, maggioranza e opposizione. I politici hanno annusato il pericolo: quello che temono più di tutti, la caduta del consenso elettorale. Miseria di una democrazia che rifiuta di perseguire l’interesse comune a cui preferisce quello corporativo. E allora meglio tacere; e se è così si intuisce che la questione coinvolge – trasversalmente – una parte significativa dell’elettorato: il che non significa la maggior parte, ma quella più organizzata e capace di farsi sentire (ed ascoltare) a protezione dei propri interessi materiali. I cittadini qualunque destinati all’invisibilità perché silenti, per tante ragioni.
Questa – finalmente – la notizia: la produzione industriale italiana è calata di oltre il 7% durante l’ultimo anno. Addirittura oltre il 17 l’industria del legno e (da sottolineare) oltre il 10 l’industria chimica e metallurgica. Ma la politica nazionale, soprattutto, quella locale e regionale, e il sistema mass-mediatico irreggimentato, magnificano le nostre sorti in grazia delle nostre eccellenze: marchi doc, cucina italiana, tradizioni artigianali, il Paese più bello e accogliente del mondo ecc. Tutto spinge verso l’esaltazione dell’industria del turismo e del tempo libero in genere. Anche Covid-19 che ha compiuto il miracolo di trasformare le nostre piazze, le nostre vie, i nostri portici in stuoli di plateatici; le Soprintendenze inascoltate. E poi le trasmissioni televisive: chef reali o fasulli, ristoranti italiani in Italia e all’estero, didattica culinaria, alberghi in competizione. La tutela ad oltranza dei balneari e l’interesse, anche economico, dello Stato taciuto, non perseguito, quasi un pizzo. La ricerca spasmodica, da parte delle amministrazioni comunali, alla patente Unesco anche laddove è ridicola: come se Giotto a Padova ne avesse avuto bisogno. E i b&b cresciuti come funghi per l’avidità di proprietari piccoli e grandi; e insieme la caduta della residenzialità cittadina e urbana in genere.
Un battage martellante, divertimento, svago, mobilità presentati come importanti componenti del PIL nazionale, l’ambiente e il patrimonio storico-artistico come beni da sfruttare, l’Italia che offre agli Italiani, dei settori interessati, una rendita di posizione che discende non dalla fatica, ma dalla sua straordinaria storia e dalle sue altrettanto straordinarie bellezze naturali. E all’estero la costruzione e il rimbalzo di un’immagine corrispondente; ma al fondo valutazioni di inaffidabilità, paese levantino, un popolo da vacanza.
Parole, impressioni, pregiudizi talora fondati, ma talora, e di più, gratuiti. Però consentiti e tollerati: perché? Perché siamo debolissimi. In altri tempi avremmo suscitato progetti di conquista (e, in effetti, lo siamo stati, fino al 1861 o, anzi, fino al 1918). La conclusione – che è anche il titolo – dell’articolo di Bricco è questa: «l’economia italiana non può vivere di solo turismo». Ma su La Fionda lo avevamo denunciato più volte. Se siamo fuori gioco dalla siderurgia, se effettiva, ed emblematica, è da noi la desertificazione automotive, la conseguenza è che ci indeboliremo ancor di più. I dirigenti politici, se mai se ne rendono conto, tacciono: questo governo ha dimostrato di pescare voti dalle piccole o micro imprese e non vuol compromettere questa riserva (che ha alimentato). Ma nemmeno Draghi aveva segnato un cambio di passo; tutt’altro.
Più deboli, ma anche più poveri. L’industria, a maggior ragione, la grande industria realizza condizioni di lavoro parecchio migliori rispetto a quelle consentite dai padroni del turismo e annessi; e i salari sarebbero più alti. Ha ragione chi ha messo da una parte alta intensità di ricerca e alta produttività, dall’altra (purtroppo) alta intensità di lavoro e bassa produttività. Se poi è vero che il lusso francese sta lasciando l’Asia per venire in Italia per la produzione di pelletteria, calzature e abbigliamento, vuol dire che i nostri salari sono davvero troppo bassi; e i giovani sembrano arrendersi e accettare quando non riescono ad abbandonare il Paese. E i Paese resta esposto: perché il made in Italy è legato alla moda e i flussi turistici sono per loro natura migranti.
Le nostre città d’arte, anche quelle minori perché da noi questo genere di patrimonio è diffuso, sono destinate a divenire invivibili: centri storici trasformati in centri commerciali, la monumentalità a rischio, le città che sono non luoghi, i residenti quasi una specie in via di estinzione. Poi ci sarebbe anche una questione etica legata al trionfo del consumismo edonista: l’impressione è che lo stiamo subendo più degli altri. Ciò non sarà senza conseguenze. Ma se non cambia la qualità del nostro ceto politico, è sempre più difficile sperare.
Verso l'”inverno produttivo”. Crolla l’unico motore di crescita in Italia – Pasquale Cicalese
Venerdì è uscito il dato del commercio estero Italia aprile 2023. In calo l’export: valore -5.7% (inflazione 7.6%, prezzi produzione 9.8%), volume -10.7%.
In particolare si osserva un crollo in Germania e Gran Bretagna.
Il dato del volume è significativo perché, in un contesto pluridecennale di export led, il modello sembra fallito, magari in attesa che altri paesi si riprendano. Ma “tu”, secondo questo modello, dipendi da loro, non sei autonomo, non sei libero; e se loro calano tu crolli.
Come si vede dalla catastrofe dell’export proprio verso la Germania: quasi -9%.
L’export led basato su bassi salari e soprattutto su produzioni tradizionali, tali per cui non occorre innovazione, dunque domanda di ricerca e di lavoratori qualificati che, a sua volta, da 30 anni, blocca l’economia interna.
Quindi, nel 2023, come nella prima decade 2000, hai le due gambe ferme, e il tutto si regge su americani, asiatici, europei che visitano il Bel Paese dopo tre anni di pandemia e che sembra aver portato la popolazione mondiale a viaggiare, per sfuggire alla paura della morte che ha albeggiato in questi anni, o al senso di chiusura.
Ciò porta a domanda di lavoratori a bassa qualificazione che, a loro volta, non sostengono la domanda interna a causa dei bassi salari.
Si è tentato nel 2019 di rianimare i consumi interni tramite il Rdc e per un pò ci si era riusciti; una buona parte di popolazione povera, prima esclusa, riusciva, tramite un assegno mensile di circa 750 euro, a sostenere i consumi di massa.
Era una misura che costava 9 miliardi, certo anche facile alle truffe, anche a gente che non ne aveva diritto; ma andava al sodo, la popolazione povera partecipava alle sorti economiche del Paese, oltretutto non accettando, avendo una contropartita di reddito universale, lavori infami.
In più il pluridecennale export led ha portato al collasso demografico e all’esodo di circa 8 milioni di lavoratori italiani all’estero, spesso qualificati.
Dunque, il modello italiano, basato su prodotti tradizionali e su servizi all’utenza internazionale, centrato su bassi salari, con crollo demografico, nel 2023 ha le due gambe inchiodate.
Meloni viene dalla tradizione fascista dell’intelligente Ugo Spirito degli anni Trenta, basata sul corpora, sull’”unità dello spirito della Nazione“, sull’”unione fra capitale e lavoro”, sul senso progressivo dell’industria pubblica grazie a Beneduce, ripreso da Fanfani in una sorte di “terza via democratica” (ovviamente, non blairiana), che è alla base del “miracolo economico”, spinto tra l’altro dalla lotta di classe e dalla crescita salariale.
Ma l’ansia di legittimazione verso Bruxelles e Washington non le farà prendere questa strada.
Quel percorso del resto si ferma a partire dalla metà degli anni Settanta: il padronato, impaurito, passa alla controffensiva e diventa feroce, fino ai giorni nostri, lasciando morti, ferii, povertà, miseria, distruzione delle basi economiche, produttive, scientifiche, culturali e sociali del Paese.
Meloni perciò finge di riprendere concetti di Ugo Spirito: in un contesto accettato di plusvalore assoluto, concede fringe benefit e tassazione ridotta della produttività (solo in ambito privato, però), vara il cuneo fiscale a spese dell’Inps, decide un piccolo ammortizzare familiare sulle bollette (solo temporaneo).
Ma per il resto, si è “dovuta adattare”: l’èlite transnazionale, in un contesto di guerra, ha messo in fila i governi Nato, non lasciando spazi e facendo capire che qualsiasi mossa autonoma sarebbe per loro stata deleteria (vedi North Stream).
Dunque, russofobia, sinofobia, guerra continua ai poveri, ricatto Mes, atlantismo, esser supino nei confronti di Confindustria.
Ora ci troviamo le due gambe ferme, mentre il crollo dei volumi export pari a 10.7% lascia presagire l’inverno produttivo.
Per quanto riguarda noi l’inverno, o l’inferno, dura da 50 anni e sembra non aver fine.
Da cosa deriva il fallimento occidentale oggi… – Pasquale Cicalese
Quando si pensa di fare gli stronzi con la Russia. Quando si fanno scelte sbagliate.
Quando continui a fare l’arrogante con il resto del mondo ma esso, ormai, ha un suo sentiero di sviluppo futuro tale per cui ti volge le spalle. Quando aumenti i tassi di interesse, ben sapendo che è inflazione da offerta e speculazione di operatori economici.
Quando, contemporaneamente, le tue banche, come scrive ieri Milano Finanza, offrono lo 0% di interessi ai depositi.
Quando la gente, che ha risparmiato in decenni di fatica o si ritrova una piccola eredità o rendita, toglie i soldi dalle banche per continuare a vivere.
Quando i lavoratori, andati in pensione, dimezzano in due anni la loro liquidazione in bollette e caro vita.
Quando dai i soldi ai soliti noti, non rinnovi contratti privati e pubblici e, se pure lo fai, sono una miseria.
Quando dici che i salari da fame si affrontano tagliando il cuneo fiscale, che, guarda caso, sono contributi della gente per la pensione futura, e si ritroveranno con una pensione minore.
Quando fai il gioco delle tre carte, e passi a spendere soldi pubblici in armi e Ponte dello Stretto.
Quando, nel fare questo, costringi la gente a pagarsi un’assicurazione privata per la sanità.
Quando basi il tutto su camerieri, facchini, servienti pagati 4.5 euro l’ora.
Quando, dopo 50 anni, continui con la deflazione salariale e la guerra al salario.
Quando, come scriveva ieri Leo Essen, il denaro non è nulla, senza produzione è una beneamata cippa, come insegna la Cina e il sudest asiatico.
Ecco, quando fai tutto questo significa che tu di economia non capisci niente, sei inadeguato, dai vertici ai quadri ministeriali e regionali. E allora capisci che non è per l’interesse dei padroni, essi devono pensare al profitto, ma è frutto della tua ignoranza e, alla fine, i padroni stessi la pagheranno, anche avendo una marea di soldi; ma il denaro, come ripeto, dice Leo Essen, senza la produzione è una “beneamata cippa”. Lo scriveva Marx nel 1864.
Perché il regime capitalistico uno lo deve studiare. Per essere, per il regime capitalistico, non significa ascoltare Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, triade. Ne sanno ancor meno, sono solo avidi che non conoscono le leggi immanenti del capitale. Capitale studiato fino in fondo da Marx ed Engels, che, per ironia della storia, ha trovato in Oriente il suo sbocco.
Da 50 anni l’Occidente non sta capendo nulla. Un mio caro amico, che sta in Olanda, mi parla di multinazionali che, per l’inflazione da offerta, se ne vanno. La Germania è quella che è.
Per questo ieri scrivevo “dove vogliono andare a parare?“. Noi non ci siamo, ok, ma loro mi fanno semplicemente ridere, o piangere, per le loro scelte. Ecco perché ritengo da 30 anni che i democristiani fossero più preparati.
Gustavo Petro: “La caduta del Muro di Berlino ha indebolito il movimento operaio”
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