La rivincita del
Tfr. Fondi pensione, una salutare batosta nel 2022: la sicurezza prima della
rendita
Eviterò di cantare vittoria, anche se ne avrei ben donde, avendo sempre difeso a spada tratta il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) fin dal silenzio-assenso del 2007. E nel 2022 esso si è rivalutato del +10% a fronte di perdite medie dal meno 9,8 al meno 11,5 per cento per fondi pensione e piani individuali previdenziali (pip).
Metterò in luce, al contrario, qualcosa di paradossale: i disastri
dell’anno scorso hanno risvolti positivi e apprezzabili. Da un lato essi
confermano nella sua convinzione chi pervicacemente tiene il TFR in azienda o
altro ambito lavorativo: scuola, ospedale, ente pubblico ecc. Dall’altro lato
indurranno altri a interrompere qualunque versamento volontario in fondi
pensione o pip, decisione molto opportuna.
Privilegiare la sicurezza. Per il risparmio previdenziale l’alternativa
preferibile è infatti quella più sicura, non quella apparentemente più
redditizia, per altro solo in termini aleatori. Ancor meno sensato è scegliere
semplicisticamente ciò che ha reso di più in passato. Tanto il proverbiale buon
padre di famiglia quanto il single, fa male ad accettare scommesse rischiose,
puntando a ottenere rendimenti più alti. Al contrario è meglio privilegiare le
soluzioni che offrano tutele per il potere d’acquisto; e ciò vale solo per le
pensioni pubbliche e il TFR, che garantisce annualmente il 75% dell’eventuale
inflazione più l’1,5% seppur lordi.
I cosiddetti secondo e terzo pilastri previdenziali espongono a rischi di
triplice natura. Primo, l’alea dei mercati finanziari, che è a monte dei crolli
dell’anno scorso. A peggiorare il quadro concorrono poi l’assenza totale di
trasparenza e i subappalti nelle gestioni. Secondo, la possibilità di crac che
attualmente preoccupa i clienti di Eurovita. Il terzo rischio e il più grave
risiede appunto nell’assenza di qualsivoglia garanzia, neppure parziale, contro
il carovita.
Perdite pesantissime. Più di una volta la previdenza privata è stata
fallimentare. A cavallo dell’ultima fiammata inflattiva degli anni
Settanta-Ottanta essa condusse a perdite del 60-70% in potere d’acquisto, sistematicamente
tenute nascoste per compiacere all’industria del risparmio gestito. Ma anche il
2022, fra rendimenti nominali negativi e perdita di valore della moneta,
presenta un saldo negativo reale vicino al 20%. Mica male in soli dodici mesi.
Linee garantite. Una delle tante indecenze dei fondi pensione sono le linee garantite,
destinate a chi appare meritevole di una particolare protezione, perché
finitovi per silenzio assenso. In base alla legge istitutiva doveva trattarsi
di una “linea tale da garantire […] rendimenti comparabili al tasso di
rivalutazione del Tfr” (art. 8 comma 9). Una presa in giro. Altroché rendimenti
nell’ordine del +10% nel 2022! Semmai del -10% (meno dieci!) come per Cometa il
cui comparto “TFR Silente” ha perso il 13,4% nominale e quindi oltre il 20%
reale. Tali linee dovrebbero essere indicizzate all’inflazione e invece non lo
sono.
La
furbata: gonfiare il numero degli iscritti ai fondi pensione (un video)
Fondi pensione.
Per i lavoratori pubblici torna il silenzio-assenso, ma qualche sindacato non
ci sta
(Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 11 ottobre 2021 a pag. 13)
L’industria del risparmio gestito vuole mettere le mani non solo sul risparmio degli italiani esistente, ma addirittura su quello futuro. In particolare sugli accantonamenti del trattamento di fine rapporto (Tfr) che matureranno per i lavoratori dipendenti.
Benché in formato minore, la storia si ripete. Come si vede che ministro
del lavoro non è più Nunzia Catalfo! A inizio 2007 l’obiettivo era il Tfr di
tutto il settore privato, ora dei dipendenti pubblici. A rigore neanche di
tutti, perché restano salvi gli assunti prima del 2019. Inoltre non viene
toccata la scuola, ma la sanità sì, i ministeri pure, le regioni anche ecc.
Per gli interessati dal 1° gennaio 2022 scatta il silenzio-assenso: il
futuro Tfr di chi non si ribella in tempo, verrà dirottato nel fondo pensione
Perseo-Sirio. E sarà una specie di ergastolo lungo quanto la vita lavorativa:
esso finirà sempre nella previdenza complementare.
Ai lavoratori coinvolti conviene opporsi, se hanno a cuore la sicurezza e
il valore reale del proprio risparmio previdenziale. Con l’inflazione che ha
rialzato la testa, meglio tenersi ben stretto il TFR, impostato fin dalla sua
nascita (1982) a difesa del potere d’acquisto. Alla roulette dei mercati
finanziari uno può giocarsi il surplus, non certo il sostentamento per la sua
vecchiaia, ovvero la pensione di base o integrativa.
Ma la cosa più odiosa è il meccanismo del silenzio-assenso. Una vera
prevaricazione. Uno è stato assunto a certe condizioni, fra cui la liquidazione
prevista alla fine del rapporto di lavoro, e così gli cambiano le carte in
tavola; e deve attivarsi lui per impedirlo.
La previdenza integrativa conviene non solo all’establishment finanziario,
ma anche ai sindacati concertativi e alle associazioni padronali. Così gli uni
e le altre ricorrono a ogni forzatura per dirottarlo nei propri fondi. Ancor di
più a fronte di insuccessi, come un modesto 30% di iscritti fra i lavoratori
cui Sirio-Perseo è rivolto, che comunque sono già troppi.
Però c’è una notizia confortante. Qualcuno non ha accettato di fare fessi i
propri colleghi, non solo nell’area sindacale di base, ma addirittura fra i
sindacati costituenti del fondo Sirio o Perseo. È il caso lodevole di
Confintesa, Confsal Unsa e Federazione Sindacati Indipendenti (Fsi). Benché
favorevoli come principio alla previdenza integrativa, non hanno firmato con
l’Aran, la controparte pubblica datrice di lavoro, lo specifico accordo del 16
settembre 2021 per la trappola di Sirio-Perseo.
Tutto il contrario del direttore del fondo Maurizio Sarti, che si fa bello
dicendo: «Vogliamo piena consapevolezza, […] non che si acceda al fondo
soltanto in virtù del silenzio assenso». Una presa in giro. Se fosse convinto
di ciò che dice, non lo avrebbe attivato.
ps: dei fondi pensione parla anche Giorgio Cremaschi
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