“E non sono affatto un’eccezione […] Ci sono milioni di altri come me. Persone ordinarie che incontro ovunque, tipi in cui mi imbatto al pub, conducenti di autobus e rappresentanti di ferramenta hanno la sensazione che il mondo stia prendendo una brutta piega. Possono percepire che le cose si stanno frantumando e che stanno collassando sotto i loro piedi. Ed ecco qui quest’uomo istruito, che ha vissuto tutta la sua vita tra i libri e che ha assorbito la storia finché non ha iniziato a uscirgli dai pori, e non riesce nemmeno a vedere che le cose stanno cambiando.1“
1. L’intellettuale non è uno studioso, uno scienziato, un uomo colto. Può
essere preparato, competente, efficace verso un compito, capace di perfette
prestazioni. Ma non per questo diviene un intellettuale. L’intellettuale non si
limita infatti a conoscere quel che si deve sapere nel suo campo e ad
applicarlo correttamente, da specialista; non risolve ‒ solo e soprattutto ‒
problemi tecnici, pur potendo essere (anche) un tecnico. L’intellettuale
comprende innanzitutto le relazioni e i contesti in cui quel determinato
problema si pone. E scopre quindi che ‒ sempre ‒ un problema sorge all’interno
di dilemmi ben più ampi e controversi, irresolubili in sé e
che coinvolgono proprio quei livelli superiori, relativi alla forma delle
relazioni e dei contesti. L’intellettuale è colui che è capace,
pertanto, di una lettura complessa. Questo è il primo
impedimento che si para oggi dinanzi alla possibilità di essere e
divenire intellettuali. Siamo ormai formati soltanto all’esecuzione
operativa di compiti, a partire da conoscenze tecniche utilizzabili nella
risoluzione di problemi evidenti, lineari, urgenti. Anche la formazione
scolastica ed universitaria si muove da tempo all’interno di questo triste mood
dei nostri tempi, la standardizzazione: un movimento che è stato
accelerato ancor più con la DAD, ulteriore passaggio verso
l’allineamento-linearizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento. E,
all’interno di emergenze crescenti e sempre più frequenti (generate proprio
dalla carenza di pensieri e visioni complesse, capaci di lungimiranza e interconnessione),
questa tendenza viene ulteriormente rafforzata e giustificata in nome di una
sedicente responsabilità: la tecnica si fa così da sé ideologia di
se stessa (tecno-logia) e viene chiamata a salvarci dai problemi che
essa stessa ha generato (o, perlomeno, aggravato) proprio in conseguenza della
sua stessa epistemologia riduzionista. Il totalitarismo
oggettivista, screditando la soggettività quale portatrice
di un sapere legittimo, non può che espellere così dalla scena anche
l’intellettuale stesso in quanto soggetto di conoscenza. L’epistemologia
tecno-riduzionista si dimostra infatti capace di tutto, ma non di favorire –
purtroppo ‒ la nascita e la crescita di intellettuali; anzi, ne rappresenta
l’orgoglioso ed esaltato superamento in quanto con essa si andrebbe oltre l’idealismo
intellettualistico classico e si configura quale alternativa per
eccellenza antagonistica ad esso.
Lo guardai appoggiarsi alla libreria […] L’intera sua vita che gira intorno
alla vecchia scuola e ai frammenti di latino, greco e poesia […] E fui colpito
da uno strano pensiero. È morto. È un fantasma. Tutte le persone come lui sono
morte. Mi venne in mente che forse molte delle persone che si vedono in giro
sono morte […] Forse un uomo muore davvero quando si ferma il cervello, quando
perde il potere di assorbire una nuova idea. […] Esistono molte persone così.2
2. Il secondo ‒ più recente, attualissimo ed ancora più evidente nel
prossimo futuro ‒ fattore di impedimento all’esistenza di intellettuali è che
essi possono nascere e vivere e prosperare solo all’interno di una vita
sociale che li produca, li alimenti e li apprezzi. Non è più il caso
della nostra cultura sociale: viviamo infatti ‒ e
sempre più totalitariamente ‒ in un contesto
social-asocializzato, in cui le relazioni si svolgono perlopiù in ambiti
virtuali, il dialogo e la conversazione sono ridotti a comunicazione
trasmissiva, i legami deboli della rete vanno a sostituire i legami forti delle
comunità sociali. In una simile prospettiva, non stupisce che il
meta-livello comunicativo e cognitivo (tipico dell’atteggiamento
intellettuale), ormai marginalizzato nel contesto sociale diretto, riemerga
nel meta-verso (anche se soltanto nel nome). L’intellettuale,
dentro un mondo siffatto, può preservare un ruolo soltanto come opinion leader
da talk-show, spin doctor di un politico, influencer fashionista sui social,
consulente esperto in un think-tank, ghost writer per l’industria editoriale.
Sostanzialmente, vendendosi. Se non lo fa (ma anche se, soltanto,
rifugge i social) si riduce a vestale di una religione demodè, a difensore
nostalgico del tempo andato, a cultore di materie anacronistiche ed esoteriche.
L’intellettuale, divenuto così residuale, fa la fine già vissuta dai sapienti
nel V secolo a. C. (sostituiti dai filosofi), dai filosofi nel XVII della
nostra era (surclassati dagli scienziati) e dai sacerdoti alla fine
dell’Ottocento (surrogati da giornalisti e psicanalisti). Si potrà sempre riciclare
anche così in esponente di un culturalismo vintage, che
comunque potrà coltivare le sue nicchie ‒ ed i suoi dividendi ‒ nel mercato
dell’edutainment globalizzato.
Sarebbe esagerato dire che la guerra avesse trasformato le persone in
intellettuali, ma per il momento li aveva trasformate in nichilisti […] Se la
guerra non ti uccideva, era destinata a farti pensare. Dopo
quell’indescrivibile e stupido caos non si poteva continuare a considerare la
società come qualcosa di eterno e indiscutibile, come una piramide. Sapevi che
non era altro che un casino.3
3. Il terzo impedimento è tutto interno a quel che è divenuta oggi la
politica. L’intellettuale del secolo scorso è immediatamente caratterizzato
dal suo engagement: non si poteva concepire come tale se non era
impegnato in politica; non necessariamente in un partito, ma in un
posizionamento etico, un orientamento di valori, un orizzonte culturale di
scelte. Era partecipe, insomma, ‒ per statuto ‒ di un dibattito collettivo in
cui è inevitabile schierarsi, confliggere, opporsi, proporsi, manifestare e
manifestarsi, mettersi in gioco. Senza seguire i sondaggi o le convenienze del
momento, ma aderendo ad idee e movimenti, o addirittura creandoli e seguendo il
più possibile i convincimenti della propria coscienza. Tutto questo oggi non
può più accadere, se non su singole questioni che non durano più di un attimo,
fatte e disfatte come sono dai social-media e dallo zapping
emotivo degli astanti ‒ likers or haters ‒ trasformati in
pubblico. L’evaporazione della politica è andata di pari passo,
infatti, con la dissoluzione della società civile, ridefinita man mano
come opinione pubblica e, al momento, ridotta a mero pubblico,
ed in quanto tale sottoposto appunto a soli messaggi pubblicitari.
La politica è divenuta oggi solo uno dei molteplici contest del marketing
comunicativo gamificato, all’interno dell’immenso centro commerciale nel
quale siamo costretti a vivere. Qui possono permanere balbettii, frasi
sconnesse, parole ‒ pur talvolta intelligenti e ragionevoli ‒ che però
trapassano nel tritatutto che ci informa su tutto e tutto riduce velocemente a
scarto da rimuovere nei cassonetti indifferenziati dell’oblio. L’intellettuale,
in un contesto simile, non può esistere, proprio perché vengono a mancare le
condizioni di fondo per un impegno che vada oltre l’usa e getta del fast
food politics. L’intellettuale potrebbe oggi esistere politicamente
solo in quanto dissidente e renitente: ma le nostre società amano e difendono
(a parole) solo i dissidenti degli altri. E ‒ a quei renitenti che fanno
coscienziosamente il morto ‒ resta, se vogliamo essere onesti, solo il gusto di
sopravvivere preservando il rispetto di se stessi. Che non è nulla, ma –
sinceramente ‒ è poca cosa, che basta a star vivi, ma non a vivere.
Il grosso bombardiere nero ondeggiò leggermente nell’aria e sfrecciò avanti
[…] Uno dei venditori sollevò gli occhi a guardarlo per un secondo. Sapevo cosa
stava pensando. Perché è quello che stanno pensando tutti gli altri. Non devi
essere un intellettuale per fare certi pensieri oggigiorno. Tra due anni, tra
un anno, cosa dovremo fare quando vedremo una di quelle cose? Precipitarci nel
seminterrato e farcela addosso per la paura.4
4. Il quarto impedimento all’esistenza dell’intellettuale appare di natura ‒
come potremmo dire? ‒ cosmologica. La catastrofe che ci
avvolge ‒ se si vuole tentare di essere ancora oggi degli intellettuali ‒ va
ammessa e pronunciata. Una buona parte degli uomini di scienza e di cultura
iniziano a riconoscerla, a smettere di rimuoverla; una parte continua invece,
imperterrita, a negarla. Ma entrambe le parti continuano, perlopiù, a non
riconoscere gli effetti dirompenti che la catastrofe in corso dovrebbe avere
proprio sulla loro visione di se stessi (e di noi stessi, intesi come umani)
nel cosmo. Il cosmo umano (e umanistico-umanocentrico) dell’Antropocene,
infatti, va verso il caos: sta perdendo il suo ordine
interno, vede dileguare il controllo che riteneva di poter esercitare
sul pianeta, assiste attonito ai cataclismi che la natura gli scatena contro e
a cui reagisce ancora una volta soltanto con artifici tecnici che riducano il
danno, scelgano il male minore e ci allontanino ancor più da un buon vivere. Gli
intellettuali, se ancora esistessero, dovrebbero riconoscere ‒ nella catastrofe
‒ anche il loro stesso fallimento: storico, culturale, ma ancor più ‒ potremmo
dire ‒ ontologico. Non potrebbero farlo senza disconoscere ancor
più il loro ruolo ed il loro senso. E, quindi, non lo fanno e non lo faranno.
Ed è anche per questo che la catastrofe proseguirà ad avvolgerci ‒ intellettuali
o meno ‒ nel suo funereo manto.
È strano. Non sono uno sciocco, ma nemmeno un intellettuale e Dio sa che in
tempi normali i miei interessi non sono molto diversi da quelli che ci si
aspetterebbe in un tizio di mezza età da sette-sterline-a-settimana con due
bambini. Eppure, ho abbastanza buonsenso da vedere che la vecchia vita a cui
eravamo abituati sta per essere completamente distrutta. Sento che sta
avvenendo.5
5. Senza riconoscere il fallimento dell’umanesimo e senza attraversare la
catastrofe non sussisteranno traiettorie future e ancora possibili per
l’intellettualità. Senza una re-visione critica del passato (vero primo compito
di un intellettuale oggi), ci si condanna a non poter vedere altro e
guardare oltre. La catastrofe abbatterà il totem del TINA (There is
no alternative), quinto ed ultimo impedimento, che da tempo ci induce a
credere che ‘non ci siano alternative’ a questo nostro mondo, che definiamo
ancora civiltà? Quando un giornalista inglese chiese a Gandhi che
cosa ne pensasse della civiltà occidentale, il Mahatma rispose, spietatamente
ironico: “Sarebbe un’ottima idea!”. Un intellettuale del futuro dovrebbe e
potrebbe ri-guardare ironicamente quel che è stato l’umanesimo e riconoscerne i
limiti intrinseci e quel che gli è mancato: un’umanità diffusa, partecipe e
condivisa ‒ non imperialisticamente ‒ fra tutti gli umani, e un’ecologia della
mente, capace di concepire l’umano in una rete di interdipendenze necessarie e
vitali con il vivente. Solo se la specie umana riuscirà a fare questo salto
quantico potrà sopravvivere e riiniziare a vivere culturalmente e
intellettualmente. E, in un contesto così ridefinito, a far rinascere degli
intellettuali. Sempre che, nel frattempo, non si sia estinta, dopo gli
intellettuali, anche l’umanità stessa.
È strana quella tremenda tristezza che a volte ti attanaglia a tarda notte.
In quel momento il destino dell’Europa mi sembrava più importante dell’affitto,
delle rate per la scuola dei bambini e del lavoro che avrei dovuto fare
l’indomani. Per chiunque debba guadagnarsi da vivere questi pensieri non sono
altro che una totale sciocchezza. Ma non mi uscivano dalla mente […] L’ultima
cosa che ricordo di essermi chiesto prima di addormentarmi era perché diavolo
dovrebbero importare a uno come me.6
Bibliografia
Orwell G. (2021), Una boccata d’aria, RL edizioni, Milano,
trad. it. di F. Vitellini (Coming up for air, Victor Gollancz
Edition, UK, 1939).
1 Orwell 2021: 222.
2 Orwell 2021: 223.
3 Orwell 2021: 185.
4 Orwell 2021: 70.
5 Orwell 2021: 221-222.
6 Orwell 2021: 225.
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