Oggi ne avrebbe compiuti 71, oggi saranno venti anni che manca. Quando penso a Dino mi ricordo perchè sono stato comunista e che fu giusto esserlo. Penso a tutte le persone nel mondo che hanno un suo ricordo. Nel mondo, letteralmente nel mondo. E le immagino tutte con un sorriso mentre evocano un momento trascorso con lui, una sigaretta fumata insieme tra un’assemblea e un’altra, tantissime sigarette, mannaggia a te, tra un corteo e un altro, tra un boccone mangiato insieme e un altro. E sono migliaia, mica decine. Italiani, palestinesi, pakistani, bengalesi, marocchini, tunisini, curdi ancora di più, tanti altri, tantissimi, con una caratteristica in comune: non avevano niente, nè cibo nè terra nè casa. Niente. Mai come con Dino l’idea di stare accanto agli ultimi è diventata pratica politica. Però non mi va proprio di contribuire al santino di Dino, lo lascio ad altri che ne ricorderanno l’importanza politica.
Io volevo bene a Dino perchè era Dino e basta. Per me Dino era la materializzazione del comunismo, era “il” comunista. Una persona che ha sempre messo se stessa all’ultimo posto per stare con gli ultimi che avevano bisogno di lui nella lotta come nella vita. Ma non voglio santificarlo, credo che ne riderebbe.
Quando è morto avevo proposto a un gruppo di compagni di fare un libro da intitolare “Quella volta che Dino …”, ma per carità, i comunisti sono diventati più bacchettoni dei preti, raccontare un essere umano per la sua incredibile e disarmante fallibilità, che lo rendeva unico e irripetibile insieme alla sua irripetibile e disarmante capacità politica sembrava peccato mortale. E’ uscito pochi giorni fa un libro curato da Senza Confine che parla del Dino Frisullo pubblico. Io ho amato in lui l’uomo, la persona, e di quell’uomo dolce, ironico, determinato, rivoluzionario e surreale voglio parlare.
Chiunque abbia conosciuto Dino ha un aneddoto su di lui. Col tempo magari un po’ “arricchito”, ma nemmeno tanto, perchè a mettere l’incanto in quei momenti era Dino stesso, con Dino poteva succedere di tutto. E siccome quel libro non si è mai fatto, volevo condividere qualche storia qua, in ordine sparso, frutto di vissuti diretti, di chiacchiere con Dino e di racconti di altri compagni.
Con Aurelia, una mia carissima amica e compagna che purtroppo anche lei non c’è più, ci occupavamo di psichiatria e andammo a proporre alla federazione romana di DP di fare una mostra con dati e immagini da portare nei quartieri. La dirigente che se ne occupava ci organizzò un incontro con questo compagno che ne aveva già fatta una, che si trattava soltanto di aggiornare. Per telefono il compagno ci diede un appuntamento. A cui non venne. Ce ne diede una decina di appuntamenti. Non venne mai e noi c’incazzavamo ogni volta di più, immaginando cose terribili di questo grandissimo stronzo che ci trattava con supponenza. Infine ce ne diede un altro di appuntamento, ma non in federazione, ci diede un appuntamento in una casa vicino a piazza Malatesta a Roma. Ci andammo pensando che se non veniva l’avremmo mandato affanculo definitivamente. Arrivammo in una casa e ci trovammo davanti a un appartamento svuotato, con decine di pacchi chiusi. Nemmeno il tempo di dirgli “Ciao, noi siamo quei due …” che ci mise in mano uno scatolone per uno e iniziammo a fare il trasloco di casa di Dino Frisullo. Così, col fiatone, sudando e salendo queste scale senza ascensore a un piano alto, sbuffando e smadonnando, ci spiegò come dovevamo fare la mostra e dove recuperare quella che aveva fatto lui. Fu amore a prima vista, pochi secondi dopo che ci aveva messo gli scatoloni in mano ridevamo insieme con questo pazzo furioso che della forma non sapeva che farsene.
Parecchio tempo prima che nascesse Democrazia Proletaria Dino venne a Roma, mandato da Avanguardia Operaia per aprire una sede, che credo sarà poi quella usata a via Buonarroti da DP, e piantare le radici del partito. Non sappiamo esattamente quanto gli dava AO come “stipendio”, grande eufemismo, da funzionario. Di certo quei soldi non bastavano nemmeno a coprire le spese dell’affitto della sede. E poi c’erano i volantini, il ciclostile, le iniziative, tante spese per tenere in piedi la presenza del partito a Roma, tutte sulle sue spalle. Ma c’era grande fermento di militanza a quel tempo e si contava sulle sottoscrizioni dei compagni che avrebbero aderito ad AO. Le cose però andarono diversamente e le difficoltà furono maggiori del previsto. A un certo punto di Dino non si seppe più niente. Non c’erano i cellulari all’epoca e così, dopo molti giorni di silenzio, almeno due o tre settimane, da Milano AO mandò un compagno a vedere che fine avesse fatto Frisullo. Lo trovò dopo qualche altro giorno in un ospedale. Lo avevano ricoverato per una grave forma di malnutrizione. Aveva speso tutto per l’attività politica e non aveva più soldi per mangiare, non aveva una casa e dormiva direttamente nella sede.
Assemblea di DP, mi sembra fosse una Conferenza d’Organizzazione, una roba del genere. Si discute una mozione di cui onestamente non ricordo il contenuto. Dopo tre ore di dibattito la mozione viene approvata, una cosa tipo 150 voti a favore e 20 contro. A quel punto arriva Dino, che non era presente al dibattito. Incazzatissimo, disperato quasi. Prende la parola, spiega perchè quella mozione era sbagliata. Parla almeno un’ora e mezzo. Molti si arrabbiano fanno presente che c’era già stato un voto. Dino insiste, qualcuno inizia a intervenire in suo favore. Si vota di nuovo. La mozione viene respinta.
Congresso di DP, credo Roma 84, forse Milano 82. Il partito è molto diviso tra la maggioranza de “l’alternativa di sinistra”, i capanniani e altre tristezze del genere, e movimentisti per la “sinistra alternativa”, guidati dal nostro “mentore” Giovanni Russo Spena. Si discute un emendamento allo statuto che avrebbe permesso anche ai non iscritti al partito ma comunque militanti di contare con il voto nelle assemblee, per noi era molto importante per caratterizzare DP. L’emendamento è formulato talmente bene che quando la presidenza chiama, come di consueto, un intervento contro e uno a favore, per l’intervento contro non si presenta nessuno. Ci accingiamo a votare convinti di vincere quando a sorpresa Dino si presenta sul palco per l’intervento a favore, mentre qualcuno lo scongiura di venire giù dal palco, di non farlo. Niente. Frisullo fa un intervento di mezz’ora, molto ma molto polemico verso la maggioranza, che in precedenza aveva valutato che poteva farlo passare per darci un “contentino”. Si vota e, naturalmente, perdiamo.
Scioperi di Danzica 1980. Mentre in Italia gli operai combattono l’ultima grande battaglia ai cancelli della Fiat, in Polonia gli scioperi operai assumono un valore importantissimo che avrà conseguenze epocali nel futuro del blocco sovietico. DP, che non aveva mai avuto nessuna simpatia per l’Urss, tranne un’ala estremamente minoritaria, capisce subito quanto sta avvenendo e investe molto della sua iniziativa politica a fianco dell’ala marxista di Solidarnosc guidata da Kuros. Dino Frisullo è uno dei maggiori sostenitori del sindacato polacco. Non ricordo se andò proprio in Polonia a seguire gli avvenimenti, sta di fatto che insieme ad altro materiale di propaganda, avevamo fatto un libro “Capire Danzica”, con cui organizzavamo banchetti per le strade, convince il partito a investire parecchi soldini nell’acquisto di migliaia di musicassette con quelli che ci presenta come “canti di lotta” degli operai. Qualche tempo dopo capita alla direzione di DP un compagno polacco che parla bene l’italiano. Vede le musicassette, ne ascolta una e inorridito ci spiega che erano canti di chiesa dei cattolici. Per almeno dieci anni ho continuato a vedere quelle montagne di scatoloni pieni abbandonate in un angolo, chissà che fine hanno fatto. Una leggenda narra che qualcuno in Direzione propose l’allontanamento in Siberia di Frisullo.
Comiso, agosto 83. Andiamo a fare i blocchi contro i Pershing e i Cruise di Reagan e della Nato. La zona è più che militarizzata. Chiunque sbarchi in Sicilia viene fermato, identificato, perquisito. Siamo determinati ma preoccupati. Al campo che ospita tutti, dall’autonomia al pdup, Dino non c’è. Si fanno dei corsi su come resistere alle cariche degli sbirri. Sappiamo che useranno gli idranti con la pressione molto alta. Si studia un tipo di formazione che può limitare i danni, una base con quattro persone sotto poi tre sopra e sopra ancora altri due a chiudere, tutti tenendosi per l’incavo delle dita, quelli della parte più esposta sopra con quelli a terra, impermeabilizzando quelli del “secondo piano”. Una sorta di “igloo” umano con una solida base ancorata al suolo. Il problema è capire il momento in cui, mentre siamo ancora in piedi, apriranno il getto d’acqua, quanto tempo c’è per correre il più lontano possibile e gettarsi a terra. Il momento arriva e da qui in poi riferisco racconti di altri. I compagni iniziano a correre, divisi nei gruppi da nove che formano ognuno una montagnola umana. Da dietro le camionette di polizia e carabinieri si sentono le urla di Dino Frisullo, che nessuno sa quando e come abbia fatto a raggiungere la Sicilia e poi Comiso e poi l’aeroporto Magliocco dove siamo ora, dove è ormai quasi impossibile passare e dove soltanto tra il campo e l’aeroporto ci sono quattro chilometri a piedi. Sta di fatto che Dino scavalca l’orda degli sbirri, urlando di aspettarlo all’ultimo gruppo che sta per gettarsi in terra e quando la montagnola è pronta Dino fa appena in tempo a saltarci sopra che arriva il getto fortissimo dell’acqua, ma la montagnola si sfalda, nel tentativo di agganciare Dino, e vengono trascinati via dall’acqua per diversi metri. Qualcuno sostiene che nonostante tutto stavano ridendo come matti.
La stessa notte non riesco a dormire, ho fame, sono due giorni che mangio quasi niente, esco dalla tenda e trovo Dino che guarda le stelle, sereno, come fosse a un campeggio da vacanza. Fumiamo una cifra, Dino era quello classico che con un cerino ci accende solo la prima sigaretta del mattino e le altre le accende con quella che sta finendo, mannaggia a te Dino. Quando gli dico che ho fame, si fruga le tasche, manco fosse Eta Beta, e tira fuori due belle cipolle. Neanche lui aveva mangiato. Nel dubbio che fossero un po’ passate decidiamo di fare una brace. Solo che non troviamo altro che una vecchia rete da letto arrugginita, molto arrugginita, per metterle sopra. Accendiamo il fuoco, le cuociamo, le mangiamo. Lui vomita subito a me viene la febbre durante la notte, molto alta. La mattina dopo dovevamo muoverci comunque e andiamo esausti a un ristorante a Comiso paese, eravamo una ventina, tutti senza una lira. Ci penso io, non preoccupatevi, ci rassicura Dino. Mangiamo come lupi. Quando finiamo Dino ci dice di andare, intanto che lui sistemava con l’oste. Non l’abbiamo più visto al campo e neanche l’oste l’ha più visto. Nessuno ha mai saputo come fosse arrivato, nessuno sa come se ne sia andato.
Era l’estate del ’93 ed era un po’ che non ci vedevamo, Avevo da poco riaperto, in concorso con altri disgraziati come me, Radio Città Futura di Roma. Venne in redazione e mi portò al fast food indiano dall’altra parte di piazza Vittorio. Mi propose di fare dalla settimana dopo un notiziario in quattro lingue per i migranti. E dove cazzo li trovo quattro traduttori?, provai a obiettare. Non c’è problema, lo faccio io, rispose serafico addentando un pollo al curry piccantissimo. Lui sapeva che mi stava rifilando la fregatura. Io sapevo che mi stava rifilando la fregatura. Tutti e due sapevamo che era una bellissima e grandiosa cosa da fare e che andava fatta. Venne per una settimana tutti i giorni e alle 14 di un lunedì cominciò Imminews, il primo giornale radio in quattro lingue per migranti. La seconda settimana scomparve di botto, non lo vidi più per altri due anni. Ma il notiziario era partito. E siccome dove c’era Dino c’era anche un po’ di quella particolare magia che accompagna materialisti e atei, in quegli stessi giorni si radunò in radio una serie di persone che dalla redazione alla traduzione riprese Imminews, che andò in onda per diversi anni tutti i giorni.
Potrei raccontare di quella volta che “prese in prestito” una bicicletta in via Veneto a un turista statunitense perchè stava facendo tardi alla Direzione di DP e poco dopo che era arrivato si presentò la polizia e i compagni fecero appena in tempo a nascondere la bicicletta sotto al tavolo e negare tutto.
Potrei raccontare che ho conosciuto poche persone che leggevano tanto come lui, ma tanto non rende l’idea, era una persona di enorme cultura. Se conosceva una persona del Burkina Faso stai sicuro che avrebbe parlato con lui, come fossero concittadini, della storia, della gastronomia e degli scrittori del Burkina Faso. Ed erano davvero concittadini, perchè Dino non ha nazionalità, è figlio della terra.
Potrei raccontare di quella volta che fu arrestato in Turchia mentre protestava a fianco dei curdi e divenne un caso internazionale e i suoi avvocati curdi a un certo punto vennero in Italia, ci raccontarono che giocava molto a pallavolo in prigione e un gruppo di noi che lo conoscevamo iniziò a ridere di cuore, eravamo increduli, perchè Dino era la negazione dell’attività fisica, e quelli si offesero pensando che mancavamo di rispetto a Dino e ai compagni curdi e se ne andarono incazzati.
Potrei raccontare che aveva vinto un sacco di concorsi pubblici. Peccato che quando lavorava al Ministero dell’Interno iniziò a distribuire volantini contro la repressione e l’emergenza, durante la repressione e l’emergenza, nei corridoi del ministero e lo cacciarono con ignominia, uno dei pochi licenziati da un posto pubblico.
Potrei raccontare di quella volta che venivo dalla Grecia e sbarcato dal traghetto andai a trovarlo a Bari, dove aveva vinto un altro concorso, alla biblioteca pubblica dove lavorava. Erano le dieci del mattino e c’era una fila lunghissima perchè la biblioteca era chiusa. Arrivò trafelato verso le undici e finalmente aprì. Aveva fatto le cinque per sistemare tre immigrati clandestini in altrettante case di compagni, svegliati nel pieno della notte e “convinti”, costretti, con la forza di estenuanti chiacchiere, a ospitare persone attivamente ricercate dalla polizia turca e scappate in Italia.
Potrei raccontare che mi manca tanto.
Chiunque lo abbia conosciuto ha di sicuro da raccontare di “Quella volta che Dino …”
Dino Frisullo 5 giugno 1952 Foggia – 5 giugno 2003 Perugia
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