Non ci sono più parole in grado di dar voce al dolore e alla rabbia di fronte a quest’ultima, immane strage di migranti, peraltro prevedibile e prevista. Non ci sono più parole perché inevitabile si affaccia l’idea che altre analoghe stragi seguiranno, di cui molte neanche percepite dall’opinione pubblica, perché avvenute nel nulla mediatico in cui a partire dall’esternalizzazione delle frontiere, sempre più a Sud, si attua ormai il momento tragico del respingimento che spesso vuol dire condanna a morte.
Dobbiamo ripetercelo, anche se a rischio di non venir ascoltati: siamo di
fronte alla sistematica attuazione di una linea politica concordata dall’intera
compagine dell’Unione europea, sempre più divisa e declinata quanto ad
orizzonte in chiave atlantica, come deterrente del flusso di migranti che
continua a voler varcare i confini dell’Europa Fortezza. Come d’altronde
avviene in America del Nord e in Australia.
Ripetiamolo ancora una volta: la globalizzazione non
è stata e non è l’internazionalizzazione degli esseri umani e delle loro lotte
contro le disuguaglianze; la «globalizzazione reale» non è altro che il
neocolonialismo che il mondo occidentale ha avviato a partire dalla fine della
Guerra Fredda e che ancora tenta di imporre a quanta più parte possibile del
resto del mondo, ricorrendo in un modo o nell’altro ancora una volta alla
guerra per modificare gli equilibri geopolitici a proprio favore.
I migranti, che da quelle guerre e dalla loro miseria da noi provocata
arrivano, ne sono l’altra faccia, coloro cui non è più neanche dato attestarsi
sulla soglia della povertà a casa loro, perché saccheggiamo le loro risorse
naturali, sfruttiamo la loro mano d’opera, devastiamo il loro ambiente,
finanziamo guerre, dittature o governi corrotti che ci fanno comodo.
I migranti sono l’altra faccia di un mondo orwelliano, in cui si fa la guerra
per la pace, in cui le vittime sono i colpevoli, in cui il nostro benessere
posa sulla legge della giungla tutto intorno a noi.
Occorre dirselo: nulla è più contrario oggi ai diritti umani del
neoliberismo, non a caso prodotto, come in un laboratorio politico, a partire
dal secolo scorso con i colpi di Stato in Cile e in Argentina. Perché
un sistema politico che fa del profitto individuale il suo unico dio e della
riduzione della spesa pubblica (tranne che per le armi, beninteso) il suo
Vangelo, non può accogliere le nude vite di chi viene da noi depredato: sono,
nel migliore dei casi, cioè se muoiono nel viaggio, dei vuoti a perdere, nel
peggiore, cioè se malgrado tutto arrivano, i sovversivi che accampano diritti:
il diritto a venir salvati, il diritto a venir assistiti, il diritto
all’inclusione in un mondo che dei diritti si riempie la bocca, salvo poi
calpestarli appena può.
Dobbiamo ripeterlo: le singole morti, i singoli naufragi non sono
altro che i tasselli attraverso cui si attua una politica concordata tra i
Governi dell’Occidente tutto: l’adozione di un complesso di misure
pattizie, di controllo delle frontiere o di omissione di soccorso che, attraverso
anche la creazione di un sistema di campi di concentramento a macchia di
leopardo, hanno esclusivamente finalità di deterrenza nei confronti dei flussi
migratori che noi stessi provochiamo, costi quello che costi, in termini di
vite umane.
È per dare un nome a questo aberrante nuovo operare degli Stati che è stato
coniato il termine migranticidio, che si richiama, quanto alla
carica di orrore che suscita, a quello di genocidio, nelle cui categorie,
tassativamente elencate, non può essere incluso. Dipende da noi trovare la
forza per opporvisi, se non in nome del sempre più attualissimo quanto
dimenticato monito «Socialismo o barbarie», almeno in nome di quell’etica
socratica che accompagna le democrazie fin dal loro primo apparire.
Fonte: il manifesto
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