L’attacco di interessi privati alle risorse pubbliche per il
diritto alla casa e allo studio si manifesta nel linguaggio del Pnrr e dei suoi
decreti attuativi, con la comparsa di nuove definizioni e di dati che non
tornano.
La vicenda dei posti letto per studenti finanziati con
960 milioni di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finora
destinati soprattutto a studentati privati anziché agli enti per il diritto
allo studio, consente di osservare all’opera, nei dettagli, l’espansione dell’ideologia
neoliberale.
La lettura del Pnrr e dei suoi decreti attuativi è un esercizio che vale la
pena fare perché consente di cogliere i meccanismi di penetrazione parassitaria
di interessi privati che colonizzano la sfera pubblica per appropriarsi delle
sue risorse.
Questi meccanismi si manifestano nel linguaggio: congiunzioni e avverbi che
compaiono da un decreto attuativo all’altro in paragrafi altrimenti identici,
nuove definizioni che entrano nel lessico istituzionale, sfumature, piccoli
aggiustamenti; la scomparsa di parole che vincolano le risorse economiche a un
obiettivo preciso e di pubblico interesse, come il diritto allo studio e
all’abitare. Ancora: parole che creano incertezza e che aprono a nuovi principi
e interessi. Così le norme dello stato diventano espressione di interessi
privati. L’avanzata avviene nei dettagli, nella discrepanza di dati, nel loro
occultamento, e produce effetti devastanti. La scelta della lingua, poi, è
determinante: tutto quello che è poco chiaro, perché così deve restare, poco
chiaro, lo si nomina in inglese. Questa è la sfera dove avviene la
colonizzazione. «Abitare» diventa «housing», come se si trattasse di
un’innovazione. Il diavolo sta nei dettagli.
Giochi di parole
La premessa è questa: il Pnrr ha stanziato 960 milioni di euro per
triplicare il numero di posti letto per studenti universitari, portandoli da
40mila a 100mila entro la metà del 2026. La prima fase della misura si è
conclusa a febbraio con l’assegnazione a soggetti pubblici e privati di 287
milioni di euro per la «creazione» di oltre 9mila posti. Due terzi di queste
risorse sono andate a gestori privati come Camplus e Campus X.
La seconda fase del Pnrr prevede l’assegnazione di 660 milioni di euro,
confluiti in un fondo che si chiama Fondo «housing» universitario, per circa
52mila posti: si tratta di un contributo di 12mila euro a posto letto, o 350
euro a posto per tre anni, l’arco temporale per cui il Pnrr prevede la
copertura dei costi di gestione dei posti. Questo contributo, erogato a gestori
di studentati, agirebbe con un «effetto leva»: non coprirà infatti i costi di
realizzazione di nuovi posti, ma sarà un incentivo al finanziamento dei posti
da parte di privati che beneficiano anche di importanti agevolazioni fiscali e
la possibilità di locare le stanze ad altri utenti, come turisti
Secondo il ministero anche gli enti pubblici potrebbero partecipare al bando
per l’assegnazione delle risorse del Fondo housing universitario. Ma non lo
faranno, perché gli enti pubblici non hanno la disponibilità economica per
creare nuovi posti con un contributo che copre solo una parte delle spese. Così
le risorse saranno destinate ai soggetti privati «anche in
convenzione» con le università e gli enti per il diritto allo studio». La
comparsa di «anche», congiunzione che esprime possibilità,
prima di «in convenzione» significa che i privati potranno beneficiare delle
risorse anche non in convenzione con gli enti pubblici:
con quella congiunzione piazzata al posto giusto questo vincolo è caduto.
Infine, se il ministero parla di partenariato pubblico-privato, con il Fondo
housing universitario la maggior parte delle risorse le metterebbe il privato;
il pubblico si limiterà a erogare un contributo. Non si tratta, insomma, di un
partenariato ma della destinazione di risorse pubbliche a soggetti privati a
scopo di lucro, senza alcun vincolo sulla destinazione dei posti agli studenti
nelle graduatorie per il diritto allo studio.
L’obiettivo non è il diritto
allo studio
Per comprendere l’assenza di un vincolo torniamo all’inizio. Il primo
problema riguarda l’interpretazione delle parole del Pnrr. Quale obiettivo
intende realizzare il Pnrr con queste risorse e come lo esprime? La Riforma 1.7
è effettivamente una misura per il diritto allo studio?
Nella prima versione del Pnrr approvata
dal Consiglio dei ministri del governo Conte il 12 gennaio 2021 nel titolo
della Riforma 1.7 compaiono le parole «diritto allo studio». Nella versione definitiva queste
parole sono scomparse. Leggiamo il testo: l’obiettivo della riforma è
«triplicare i posti per gli studenti fuorisede, portandoli da 40mila a oltre
100 mila entro il 2026». Da nessuna parte c’è scritto «diritto allo studio». La
riforma non ha l’obiettivo di incentivare il diritto allo studio, perché questo
obiettivo non è mai citato. Gli studenti definiti «capaci e meritevoli se pur
privi di mezzi», quelli più poveri insomma, che hanno diritto a una borsa di
studio e a un alloggio se sono fuorisede, non sono mai menzionati.
Così nei decreti di attuazione del Pnrr è scomparsa la quota del 20% di posti
cofinanziati dal pubblico che i privati devono riservare agli studenti meno
abbienti, che era invece presente nei bandi precedenti negli articoli sulla
destinazione dei posti. Adesso questa percentuale di posti riservati agli
studenti più poveri è stata sostituita con le diciture «prioritariamente» e
«ove possibile».
Il Pnrr parla di «incentivare la realizzazione» e di «creazione» di «nuove
strutture di edilizia residenziale universitaria». I target sono «almeno 7.500
posti letto aggiuntivi» il primo, e «creazione e assegnazione di almeno 60.000
posti letto aggiuntivi» il secondo. Nelle schede inviate alla Commissione
europea si parla di posti sia «nuovi» che «aggiuntivi». Non ci sono dubbi:
l’obiettivo è per posti nuovi. «Se l’italiano non inganna, creare
significa produrre dal nulla», si legge nel
report «Diritto al profitto, come sperperare i fondi del Pnrr» presentato a
Roma il 18 maggio dall’Unione degli universitari.
Ma nei decreti attuativi le parole «creare» e «nuovi», riferito ai posti letto,
sono scomparse, sostituite dalla definizione di posti letto «aggiuntivi». Così
i primi 278 milioni di euro del Pnrr hanno finanziato posti già esistenti,
perlopiù in studentati privati, per rispettare formalmente la scadenza del
primo target (dicembre 2022, prorogata a febbraio 2023) e non perdere i fondi.
Il criterio applicato è stato questo: se al momento della presentazione dei
progetti i posti letto fossero o meno già censiti nella banca dati del
ministero.
Questo è detto esplicitamente in un decreto di luglio:
«nel caso di ristrutturazione di immobili già nella disponibilità dei soggetti
proponenti deve essere specificato nella manifestazione di interesse che i
posti letto non sono stati computati nella baseline Ustat adottata in sede di
definizione dei target del Piano nazionale di ripresa e resilienza».
Erano dunque ammessi a cofinanziamento posti già esistenti.
Il ministero ha equiparato tutti i posti negli studentati privati non censiti
nella propria banca dati come «nuovi». E quindi li ha finanziati. Alcuni di
questi posti sono gestiti dagli stessi operatori, negli stessi edifici, a volte
da oltre dieci anni.
La differenza è che adesso rientrano nel perimetro dell’offerta «istituzionale»
(definizione mia): restano privati, ma ricevono contributi pubblici che sono
serviti all’acquisto e alla locazione di immobili, da parte dei gestori
privati.
I fondi pubblici sono finiti a banche, società edili, fondi immobiliari (come a
Milano, Ferrara e Torino) per l’acquisto e l’affitto degli edifici da parte di
gestori come Camplus e Campus X che poi locano le stanze agli studentati.
Si tratta di immobili che restano di proprietà dei soggetti gestori degli
studentati e hanno un vincolo d’uso che dura nove anni.
L’offerta di posti prima del Pnrr
Questi posti letto, si legge nei decreti, sarebbero «aggiuntivi».
Aggiuntivi a cosa?
Qual è la «baseline Ustat adottata in sede di definizione dei target del Piano
nazionale di ripresa e resilienza»?
L’obiettivo definito nel Pnrr è «triplicare i posti per gli studenti
fuorisede, portandoli da 40mila a oltre 100 mila entro il 2026». Il dato di
partenza sono quindi 40mila posti: sembrerebbero quelli degli enti per il
diritto allo studio. I posti degli enti regionali per il diritto allo studio
(Dsu) nell’anno accademico 2019-2020 (anno accademico di riferimento per il
Pnrr) erano infatti 42.732 (erano 41.500 l’anno successivo), si legge nel focus annuale 2019-2020 sul
diritto allo studio.
Di fatto l’offerta è composta anche da posti resi disponibili in
maniera autonoma da alcuni atenei, «seppur in misura minore». Poi ci sono i
posti nei Collegi universitari di merito, statali e accreditati: «centri per
gli studenti universitari che alla funzione abitativa associano un progetto di
formazione umana, accademica e professionale».
Tre collegi di merito sono pubblici, mentre gli altri sono privati. I posti nei
collegi di merito sono censiti nella banca dati
Ustat divisi per ogni città: nel 2019-2020 erano 4.475 (5.056
l’anno successivo).
Di questi, non si sa quanti siano stati destinati a studenti nelle graduatorie
per il diritto allo studio (questo dato è pubblicato solo per gli enti
pubblici, le Dsu). In ogni caso, i posti nei collegi universitari sono
riservati ai soli ospiti dei collegi. Ricapitolando, l’offerta di posti letto è
costituita da alloggi gestiti da tre soggetti: gli enti per il diritto allo
studio (gli unici che sarebbero considerati dal Pnrr), gli atenei, e i collegi
di merito.
I collegi di merito sono definiti come «legalmente riconosciuti» e se
posseggono determinati requisiti
possono essere accreditati e quindi accedere al contributo statale (circa
11 milioni di euro l’anno).
La Conferenza dei Collegi
universitari di merito (Ccum) è stata fondata nel 1997
da Maurizio Carvelli, l’amministratore delegato della Fondazione
Ceur, dietro il marchio Camplus. Oggi gli enti gestori dei collegi di merito
privati accreditati sono 17. Gli enti che hanno più collegi accreditati sono la
Fondazione Ceur (proprietaria del marchio Camplus) con dieci collegi, e la
Fondazione Rui con 13. Le fondazioni stipulano convenzioni con le università
per l’erogazione di borse di studio per studenti meritevoli.
La Fondazione Rui, per esempio, ha una convenzione con l’università La Sapienza
per dieci borse di studio annuali che prevedono un’agevolazione di mille euro
della retta per un posto letto. La retta per un posto presso un collegio della
Fondazione Rui a Roma costa fino a 15mila euro l’anno; comprende una varietà di
servizi e un progetto formativo personalizzato.
L’invenzione
dell’offerta «strutturata» e i collegi di «ispirazione
cristiana»
La seconda fase del Pnrr, quella legata al Fondo housing
universitario, prevede «la ricognizione dei fabbisogni territoriali dei posti
letto, funzionali alla assegnazione delle risorse, in base all’offerta oggi
disponibile».
Che non coincide, però, con la «baseline» individuato dal Pnrr (40mila posti).
Nel decreto che istituisce il
Fondo housing universitario, infatti, compare per la prima volta una
nuova definizione dell’offerta esistente: si chiama offerta «strutturata» e, si
legge nel decreto, è composta di strutture pubbliche e/o convenzionate.
I posti di questa offerta «strutturata» (riportati nell’allegato A al
decreto) sono molti di più dei 40mila usati come «baseline» del Pnrr: sono 54.810
posti (secondo il mio calcolo, perchè nell’allegato al decreto manca la somma
totale dei posti elencati per città).
Si tratta di 12mila posti in più rispetto a quelli degli enti per il diritto
allo studio disponibili nel 2020; 15mila in più rispetto alla «baseline» del
Pnrr (40mila posti).
È una differenza sostanziale.
Perché l’offerta di posti esistenti è aumentata così tanto?
E come è stata calcolata?
In nota nell’allegato che quantifica la nuova offerta «strutturata» si legge
che i dati sono relativi all’anno accademico 2019-2020 perché «la baseline
adottata ai fini del Pnrr» è stata calcolata con dati di giugno 2020. Ma questa
baseline, di oltre 54mila posti, non ha nulla a che fare con quella del Pnrr
(40mila posti). Perché è cambiata? E se proprio si poteva cambiare, perché non
usare dati aggiornati (il decreto è del 27 dicembre 2022), includendo anche i
posti finanziati con il primo bando del Pnrr, i 4.478 posti ammessi a
finanziamento a novembre?
L’offerta «strutturata», si legge nel decreto, include i posti degli
enti per il diritto allo studio, ma anche i posti degli atenei e dei collegi di
merito. Per tutti questi posti «si fa riferimento agli open data del Mur (base
dati Ustat)». Ma accanto a questi tre soggetti, che tradizionalmente compongono
l’offerta di posti, nel decreto è comparso un quarto soggetto i cui posti
sarebbero adesso parte dell’«offerta strutturata»: le strutture
dell’Associazione Collegi e Residenze Universitarie (Acru). Ma il ministero non
pubblica e non ha mai pubblicato i dati su questi posti: qual è allora la fonte
di questi dati? Quanti e dove sono questi posti, a chi sono destinati, a quali
condizioni, da chi sono gestiti? Nel decreto questo non è specificato.
L’Acru, si legge sul sito
dell’Associazione, «riunisce i Collegi e le Residenze universitarie
che si riconoscono nella Charta dei Collegi Universitari di ispirazione cristiana». Ancora: «l’Associazione
opera in costante collegamento con l’Ufficio Nazionale per l’educazione,
la scuola e l’università (Unesu) della Conferenza Episcopale
Italiana (Cei)». L’Unesu «ha lo scopo di approfondire l’insegnamento cristiano
attinente l’educazione e la scuola» e «assicura particolare attenzione alla
Scuola Cattolica di ogni ordine e grado e alla Formazione Professionale» si
legge sul suo sito web.
I posti dell’Acru, scopriamo nel decreto che istituisce il Fondo per l’Housing
universitario, sono ora «convenzionati» con il pubblico. Eppure – ripetiamolo –
questi posti non sono mai stati censiti nella banca dati Ustat del Mur. Meglio:
non lo sono ancora. Perché il fatto che non siano ancora censiti, come
sappiamo, significa che sono buoni candidati a essere considerati dal ministero
come «nuovi», e dunque finanziabili con fondi del Pnrr.
I conti, peraltro, non tornano neanche confrontando la nuova offerta
«strutturata» con i dati del ministero sugli altri tre soggetti gestori
tradizionali (quindi posti Acru a parte) che sarebbero stati usati come base di
calcolo secondo la nota. Secondo l’allegato A che quantifica l’offerta
«strutturata» nel 2019-2020 a Chieti c’erano zero posti letto; eppure i dati Ustat-Mur per
quell’anno registrano 65 posti alloggio, gestiti dall’ente per
il diritto allo studio, di cui 27 assegnati a borsisti. Infatti la residenza
pubblica Benedetto Croce di Chieti ha
65 posti, creati con un finanziamento pubblico di 1.415.000,00 euro nel 2012, a
valere sul terzo bando di attuazione della legge 338. Di più, nel corso del
2020 era programmato l’avvio della ristrutturazione in un’altra residenza
universitaria di 149 posti. Erano dunque 214 i posti letto pubblici a Chieti,
di cui 65 in funzione, a cui si sommano 79 posti convenzionati presso la
residenza di Campus X. C’è anche da dire anche che Campus X ha beneficiato di
oltre 3 milioni di euro di fondi del Pnrr per la locazione di una residenza di
450. Ma l’offerta «strutturata» sarebbe zero. L’Aquila, di contro, avrebbe
un’offerta «strutturata» di 295 posti; ma secondo i dati del ministero
nel 2020 i posti erano 326 (nel 2022 ne aveva zero). In altre città come Roma e
Milano la discrepanza dei dati è macroscopica: se Roma nel 2020 contava 2.550
posti pubblici e 594 posti nei collegi di merito censiti dal ministero,
l’offerta «strutturata» sarebbe il doppio: 4.787 posti. Milano avrebbe
addirittura 8.344 posti.
Con il trucco di far aumentare l’offerta di 15mila posti che il ministero
considera disponibili (includendo quelli nei collegi «cristiani») il
«gap» rispetto al target da raggiungere (ovvero la copertura del 20% del
fabbisogno di posti degli studenti fuorisede) diminuisce: si devono realizzare
meno posti «nuovi» entro il 2026, e a parità di importo totale disponibile (660
milioni di euro) il contributo pubblico per ogni posto «nuovo» aumenta.
Camplus ne sa una più del
ministero
La nuova definizione di offerta «strutturata» è comparsa pochi mesi
dopo la pubblicazione del decreto in un report di Scenari Immobiliari e
Camplus, presentato a Roma il 13 aprile. Di più: il report quantifica questa
offerta: sarebbero 9.120 i posti nelle Acru, e poi 4.660 quelli dei collegi di
merito e 40.000 (cifra tonda) quelli degli enti per il diritto allo studio. Iil
report non considera però quelli degli atenei.
Il totale dei posti nel rapporto Camplus è molto simile al totale nell’Allegato
A.
Forse anche nell’offerta «strutturata» ufficiale, quella citata nel decreto che
stanzia le risorse per il Fondo housing universitario e che non sappiamo in
base a quali dati sia stata calcolata, i posti negli atenei sono scomparsi
dall’offerta pubblica?
Il fatto che la definizione di offerta «strutturata» compaia sia
nell’allegato al decreto ministeriale, a dicembre 2022, che nel rapporto curato
da Camplus, presentato ad aprile 2023, fa riflettere, perché in nessuno dei
focus annuali sul diritto allo studio pubblicati dal ministero ed elaborati con
dati della sua stessa banca dati Ustat, compare la definizione di offerta
«strutturata»: i posti dei collegi Acru non sono inclusi né menzionati. Come sono
finiti nel decreto che stanzia 660 milioni di euro per il Fondo housing
universitario? E perchè, se questi posti fanno parte dell’offerta «pubblica e/o
convenzionata» non ci sono dati pubblici? Perchè questi dati si trovano solo
nell’elaborazione «su fonti varie» di Scenari Immobiliari e Camplus, due
soggetti privati?
Che ci sia stato un rapporto tra il mondo Camplus, il principale
operatore privato nel settore dell’ospitalità studentesca, e il ministero
dell’università non è una novità.
Da alcuni decreti pubblicati sappiamo che il presidente della Fondazione Ceur, Patrizio Trifoni, ha fatto
parte su nomina dello stesso ministero della Commissione paritetica alloggi e
residenze: si tratta della commissione ministeriale che ha il compito di
verificare le proposte di cofinanziamento, la scelta degli interventi
ammissibili, la formulazione delle graduatorie e il loro monitoraggio.
La commissione, istituita in applicazione della legge 338 del 2000, è
stata rinnovata nel corso degli anni. Trifoni ha dunque fatto parte della
commissione ministeriale che ha valutato e approvato finanziamenti per almeno
84 milioni di euro al marchio Camplus della Fondazione Ceur da lui presieduta.
Alla galassia Camplus sono andati anche altri 108 milioni di euro del Pnrr.
La necessità di aprire i servizi pubblici al mercato viene sempre
giustificata con l’argomento secondo cui «il pubblico non ce la fa». Ma se il
pubblico oggi funziona poco e male è anche perché le sue istituzioni sono state
parassitate da rappresentanti di interessi privati che stanno possibilmente
cambiando i dati e drenando le risorse necessarie a garantire diritti, come il
diritto allo studio, al di fuori della sfera di un mercato privato, che campa
sulle nostre spalle.
* Tratto da Jacobin
Italia.
Sarah Gainsforth, giornalista freelance, scrive di trasformazioni urbane e
abitare. È autrice di Airbnb città merce (DeriveApprodi 2019), Oltre il turismo,
Esiste un turismo sostenibile? (Eris Edizioni 2020)
e Abitare stanca. La casa: un racconto politico (Effequ, 2022).
Nessun commento:
Posta un commento