…sulla denazificazione dell’Ucraina
articoli, video, disegni di Raniero La Valle, Jesùs López Almejo, Michele Santoro, Raniero La Valle, Massimo Cacciari, Manlio Dinucci, Ariel Umpierrez, Alessandro Marescotti, Antonio Mazzeo, Rete Italiana Pace e Disarmo, Stefano Orsi, Giuseppe Masala, Giulio Palermo, Nicolai Lilin, Sergei Lavrov, Donatella Di Cesare, Francesco Masala, Clara Statello, Fabio Mini, Alessandro Somma, Alessandro Di Battista, Fabrizio Poggi, Diego Ruzzarin, Fabrizio Verde, Carlos Latuff, Jeremy Corbyn, Demostenes Floros, Elena Basile, Seymour Hersh
Simboli nazisti in Ucraina: il NYT apre (finalmente) il vaso di Pandora
Inizia così un sorprendente articolo del New York Times di Thomas Gibbons-Neff segnalato con giusta enfasi dal grande giornalista d’inchiesta Glenn Greenwold su Twitter.
Nel proseguo dell’articolo il NYT sottolinea correttamente come quelli che per anni hanno massacrato la popolazione del Donbass dopo il golpe di Maidan utilizzano simboli nazisti chiari.
Quello, cioè, che la propaganda liberal ha cercato di nascondere emerge ora con estrema forza nel giornale tempio della propaganda Nato.
“L’iconografia di questi gruppi, tra cui una toppa con teschio e ossa incrociate indossata dalle guardie dei campi di concentramento e un simbolo noto come Sole Nero, appare ora con una certa regolarità sulle uniformi dei soldati che combattono in prima linea … l’ambivalenza dell’Ucraina nei confronti di questi simboli, e talvolta persino la sua accettazione, rischia di dare nuova vita mainstream a icone che l’Occidente ha passato più di mezzo secolo a cercare di eliminare. … Tuttavia, ha lasciato diplomatici, giornalisti occidentali e gruppi di difesa in una posizione difficile: Richiamare l’attenzione sull’iconografia rischia di fare il gioco della propaganda russa. Persino i gruppi ebraici e le organizzazioni contro l’odio … sono rimasti in gran parte in silenzio.”, prosegue il giornalista del NYT.
Finora, prosegue Gibbons-Neff nella sua analisi, queste immagini “non hanno eroso il sostegno internazionale alla guerra” con diplomatici, politici e giornalisti occindentali che hanno preferito il silenzio per non fare eco alla “propaganda russa”. Persino i gruppi ebraici e le organizzazioni “anti-odio” che tradizionalmente sono particolarmente attenti al tema, sottolinea correttamente il giornalista del NYT, “sono rimasti in gran parte in silenzio”…
L’improbabile riconquista non vale l’autogenocidio – Raniero La Valle
Nel summit a Singapore sulla sicurezza nell’indo-Pacifico, l’Indonesia – che con Brasile, Cina, altri Paesi del Sud e Santa Sede ha mantenuto la lucidità e la magnanimità di cercare alternative alla guerra – ha proposto un piano di pace per l’Ucraina. Il piano prevede l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle truppe russe e ucraine di 15 km per parte, il territorio così smilitarizzato presidiato da forze di pace Onu e nei territori contesi un referendum indetto dall’Onu stessa per accertare la volontà delle popolazioni sul loro futuro.
Il ministro della Difesa indonesiano ha detto che misure simili si sono mostrate efficaci nella storia, come in Corea, dove certo non si è raggiunta una soluzione definitiva, ma “da 50 anni abbiamo almeno un po’ di pace, molto meglio della distruzione e della morte di innocenti”: concetti fruibili anche da un bambino, se non da illustri e maturi statisti. Ha aggiunto che le nazioni asiatiche (si pensi al Giappone!) “conoscono i costi della guerra quanto e meglio delle controparti europee”, mentre da questa sono già colpiti nella loro economia e sufficienza alimentare.
La proposta indonesiana è stata immediatamente respinta dall’Alto Rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, perché non introdurrebbe un discrimine tra aggressore e aggredito e non postulerebbe la pace “giusta” che “l’Europa vuole”.
La proposta è stata subito respinta anche da Zelensky che ha ribadito, come già riguardo al Papa, di non aver bisogno di mediatori, e ha dichiarato imminente la tanto annunciata controffensiva, del cui successo si è detto certo con la riconquista dei territori perduti, anche al costo di un gran numero di soldati uccisi.
In questo triangolare gioco con la morte si sono così delineate tre posizioni su guerra e pace.
1) Quella indonesiana non promette la luna, ma ha cura di porsi al di sopra di un livello pur minimo di razionalità, preferendo una pace imperfetta e magari provvisoria (50 anni?) alla distruzione e alla morte di persone “innocenti”.
2) Quella dell’Ue si fa giudice della pace altrui e rovescia completamente quella rigenerazione ideale a cui deve la sua nascita. Essa doveva essere una comunità di popoli e ordinamenti giuridici che, andando oltre gli Stati, nello stesso tempo li demitizza e li depone dal trono: invece si erge invece come un SuperStato che reprime le differenze, si dà un’identità contrapponendosi a un Nemico (la Russia, o “il resto del mondo”, come scrive il Corriere della Sera), vuole crearsi un esercito, si immerge in un’alleanza militare e si pavoneggia nel mondo come Potenza tra le Potenze.
3) Quella ucraina di Zelensky, di fronte a due valori in gioco – i confini supposti come suoi e la vita di un gran numero di soldati – li mette in scala gerarchica l’uno sull’altro e sceglie i confini a spese (dice il ministro indonesiano) “della distruzione e della morte di innocenti”. La scelta sarebbe tra una nuova spartizione dei territori e la vita di persone e popoli. Per il diritto internazionale la scelta è chiara: al centro ci sono i popoli, il bando della guerra, la condanna del genocidio.
L’Europa dovrebbe ricordare con orrore la sua storia di guerre per ridisegnare i confini, da cui, unendosi, ha voluto uscire; dovrebbe ricordarsi dell’Alsazia e Lorena nel 1870-’71, di Danzica nel 1939, del Kosovo nel 1999, per non parlare delle “terre irredente” della propaganda fascista per l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Per contro gli accordi di Helsinki proclamavano l’intangibilità dei confini, ma ne ammettevano il cambiamento pacifico in nome dell’autodeterminazione (i referendum?) dei popoli.
Ma più ancora si può dire che la lotta per la spartizione delle terre appartiene a un’epoca primitiva e pregiuridica della storia umana: come ha spiegato Carl Schmitt il nomos, che si è poi tradotto nel diritto e nella legge, viene da un verbo, nemein, che significa tre cose, appropriarsi, dividere e sfruttare, per cui il “nomos della Terra” da allora consisterebbe nel processo di appropriazione, spartizione e produzione che giunge, come diceva il filosofo economista Claudio Napoleoni, fino all’attuale espropriazione e alienazione dell’uomo ridotto a merce, a prodotto e a cosa. La lotta per stabilire il dominio su territori spartiti, la lotta per i confini, senza tener conto dalla vita e dalla pace delle persone, è dunque una lotta ferina, barbarica, di età tribale, ben diversa dalle lotte per la liberazione dei popoli, che ha a che fare con la pace se – come Giovanni XXIII scriveva nella Pacem in Terris – questa liberazione appartiene ai “segni del tempo” che annunciano la pace: “Non più popoli dominatori e popoli dominati”. Ed è fuorviante e puerile intendere questa guerra innescata dalla disputa sulla Nato non come una guerra in cui ne va della vita dei popoli, che siano ucraini, russi o del Donbass, ma per stabilire confini tra territori che intanto vengono contaminati, resi inabitabili e distrutti.
La riconquista non vale un genocidio, non del proprio popolo.
Il ministro degli Esteri della Germania, Annalena Berbock, ha chiesto ai media di non chiamare i Leopardi “carri armati tedeschi”.
“Capite, non fa assolutamente differenza dove viene prodotto qualcosa. Non si dice che il proprio iPhone è americano o di Tim Cook. Dite che è vostro. Lo stesso vale per i carri armati… Quelli tedeschi sono in Germania e questi sono ucraini. E quello che fanno con loro non ha nulla a che fare con noi. Grazie!”. – Ha dichiarato ai giornalisti il ministro degli Esteri tedesco Annalena Berbock.
L’ennesima lezione d’ipocrisia.
dice, fra le altre cose, Ariel Umpierrez:
non sarà una terza guerra mondiale, ma una guerra civile fra europei (la Nato contro la Russia, che è Europa)
gli anglosassoni stanno preparando la terza guerra mondiale
gli anglosassoni (gli inglesi soprattutto) odiano l’Europa e soprattutto la Germania
è una guerra fra bianchi, se la facciano fra di loro
signori europei se volete suicidarvi, come sembra, e suicidare i vostri popoli, fatelo, ma non rompete le scatole al Sud America, all’Africa, all’Asia
ha detto bene Lula, non ci interessano le sanzioni, né mandare armi
questa guerra non doveva succedere, bastava che l’Ucraina restasse neutrale e non continuassero ad ammazzare i russofoni del Donbass
gli inglesi sono ancora peggio degli Usa, sono loro che odiano l’Europa e i tedeschi
la foto della tavola rotonda del G7, a Hiroshima, è patetica, a quel tavolo non ci sono statisti, solo pagliacci, l’ultima arrivata è Meloni, sono il nulla
l’Europa ha il 7% del territorio e della popolazione del mondo, e il 12% del PIL del mondo, sono patetici, si si credono importanti, sono pieni di basi militari Usa, sono paesi occupati.
Zelensky ha rubato 400 milioni di dollari, secondo la tv francese
in geopolitica non esistono le coincidenze
Borrell ministro della sottomissione
Questi soldati ucraini sono stati mandati al massacro – Alessandro Marescotti
La controffensiva di Kiev è cominciata. Ed è andata male per gli ucraini. I sopravvissuti raccontano di essere stati usati come carne da cannone. Era stato raccontato loro che non avrebbero incontrato resistenze e invece sono stati bersagliati. Uno su tre non ce l’ha fatta a ritornare indietro.
Questi sono i soldati ucraini sopravvissuti a un assalto. Protestano con un video per essere stati mandati allo sbaraglio.
Era stato detto loro che non avrebbero incontrato resistenza sulle linee di difesa russe, e invece sono stati massacrati.
(Aquí están las palabras de los soldados, después del minuto 38: https://www.youtube.com/watch?v=0AgJFtsqD3I)
Gli assalti ordinati da Zelensky e sostenuti dalla NATO stanno fallendo tragicamente.
La controffensiva si sta rivelando un bagno di sangue.
Uno su tre non torna più indietro.
Viene da pensare agli assalti impossibili ordinati dal generale Cadorna nella prima guerra mondiale, raccontati da Emilio Lussu in “Un anno sull’Altipiano” e descritti magistralmente nel film di Francesco Rosi “Uomini contro”.
Queste immagini ritornano drammaticamente alla mente oggi.
«Morire, non ripiegare», era la frase celebre del generale Cadorna.
Gli assalti frontali allo scoperto, attacchi suicidi che sotto il comando di Cadorna erano la regola: nelle undici battaglie dell’Isonzo, oltre 120 mila morti, per spostare il fronte di pochi metri.
Oggi rischiamo di rivedere lo stesso copione di sangue.
E le armi inviate dall’Europa e dagli Stati Uniti, ben lungi dall’avere come scopo la protezione dei civili, sono uno strumento messo in mano a giovani che conosceranno la morte nelle prossime ore.
Servano a mandare allo sbaraglio i militari ucraini in un’assurda quanto sanguinosa controffensiva contro quelle che sono probabilmente, in questo momento, le linee militarmente più fortificate del mondo.
Zelensky come Cadorna.
La società civile internazionale da Vienna: “Servono negoziati che possano rafforzare la logica della Pace invece dell’illogica della guerra” – Rete Italiana Pace e Disarmo
Dopo due intensi giorni di lavoro e confronto è stata diffusa dai Promotori del Vertice di Vienna per la Pace la Dichiarazione finaledella società civile internazionale, che verrà inviata ai leader politici di tutto il mondo invitandoli ad agire in sostegno di un cessate il fuoco e di negoziati in Ucraina.
Un risultato importante – a cui hanno contribuito le realtà italiane della coalizione “Europe for Peace” tra gli organizzatori del Vertice – che permetterà al movimento pacifista internazionale di lavorare congiuntamente nei prossimi mesi a percorsi di Pace giusta e possibile. Con un cammino verso la Pace che deve basarsi sui principi della sicurezza comune, del rispetto internazionale dei diritti umani e dell’autodeterminazione di tutte le comunità. E con un prossimo appuntamento già definito: nella Dichiarazione finale del Vertice si legge infatti l’invito alla società civile di tutti i Paesi ad unirsi per la realizzazione di “una settimana di mobilitazione globale (da sabato 30 settembre a domenica 8 ottobre 2023) per un cessate il fuoco immediato e per negoziati di Pace che pongano fine a questa guerra”.
Nei due giorni di dibattito si è lavorato per costruire un’alternativa politica ad una guerra che continua ad impressionare il Mondo intero per la sua malvagità e capacità di distruzione delle vite e dell’ambiente. Gli interventi in plenaria e i gruppi di lavoro hanno affrontato da diversi punti di vista ciò che determina questa guerra in termini di sofferenze, disastri, crisi e rischi di incidente o guerra nucleare. Oltre che, ovviamente, come riuscire a solidarizzare concretamente con la popolazione ucraina sotto assedio e bombardamenti da 16 mesi. Perché salvare le vite umane è la priorità, e la guerra non è certamente una risposta.
“Abbiamo ascoltato, commossi, le testimonianze di Yuri, Olga, Oleg, Karina, Nina che ci hanno trasmesso cosa significa vivere sotto le bombe o in esilio, dover decidere in pochi secondi dove andare, se fuggire dal proprio Paese o nascondersi per non finire in galera con l’accusa di terrorismo. Chi ha partecipato al Vertice di Vienna si misura con questa realtà, ricercando strade di dialogo per ricostruire reciproca fiducia, riaffermare solidarietà. La strada che chiediamo sia intrapresa da tutti i movimenti della società civile per rendere possibile l’alternativa alla guerra” sottolinea Sergio Bassoli della Rete Pace Disarmo e tra i coordinatori di “Europe For Peace”.
Nella Dichiarazione finale le organizzazioni dell’ampia coalizione presente evidenziano di essere “fermamente uniti nella convinzione che la guerra sia un crimine contro l’umanità e che non esista una soluzione militare alla crisi attuale”, esprimendo allarme per la guerra in corso.
Viene ribadita esplicitamente la condanna per l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia, sottolineando come “le istituzioni create per garantire la Pace e la sicurezza in Europa hanno fallito e il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine al conflitto armato prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità”.
La richiesta condivisa su cui convergerà il lavoro di tutte le organizzazioni della società civile coinvolta è quella di “negoziati che possano rafforzare la logica della Pace invece dell’illogica della guerra”.
Di seguito il testo della “Dichiarazione di Vienna per la Pace” elaborata dalle organizzazioni partecipanti al Vertice
Pace con mezzi pacifici. Cessate il fuoco e negoziati ora!
Noi, organizzatori del Vertice internazionale per la Pace in Ucraina, chiediamo ai leader di tutti i Paesi di agire a sostegno di un immediato cessate il fuoco e di negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina.
Siamo una coalizione ampia e politicamente diversificata che rappresenta i movimenti per la Pace la società civile, compresi i credenti, in molti Paesi. Siamo fermamente uniti nella convinzione che la guerra sia un crimine contro l’umanità e che non esista una soluzione militare alla crisi attuale.
Siamo profondamente allarmati e rattristati dalla guerra. Centinaia di migliaia di persone sono state uccise e ferite, e milioni di persone sono sfollate e traumatizzate. Città e villaggi in tutta l’Ucraina, così come l’ambiente naturale, sono stati distrutti.
Morti e sofferenze ben più gravi potrebbero ancora verificarsi se il conflitto dovesse degenerare fino all’uso di armi nucleari, un rischio che oggi è più alto di qualsiasi altro momento dalla crisi dei missili di Cuba.
Condanniamo l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia. Le istituzioni create per garantire la Pace e la sicurezza in Europa hanno fallito e il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine al conflitto armato prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità.
Il cammino verso la Pace deve basarsi sui principi della sicurezza comune, del rispetto internazionale dei diritti umani e dell’autodeterminazione di tutte le comunità.
Sosteniamo tutti i negoziati che possano rafforzare la logica della Pace invece dell’illogica della guerra.
Affermiamo il nostro sostegno alla società civile ucraina che difende i propri diritti. Ci impegniamo a rafforzare il dialogo con coloro che in Russia e Bielorussia mettono a rischio la propria vita per opporsi alla guerra e proteggere la democrazia.
Invitiamo la società civile di tutti i Paesi a unirsi a noi in una settimana di mobilitazione globale (da sabato 30 settembre a domenica 8 ottobre 2023) per un cessate il fuoco immediato e per negoziati di Pace che pongano fine a questa guerra.
Vienna, 11 giugno 2023
“Tutti dobbiamo fare la nostra parte, per essere all’altezza del compito della Pace”
(Albert Einstein).
“La strategia imperialistica Usa in Europa ha radici lontane. In Ucraina assistiamo all’ultimo atto”
Alessandro Bianchi intervista Giulio Palermo
“La distruzione delle risorse materiali dell’Ucraina è la prerogativa per l’accaparramento delle sue risorse materiali e umane nella fase di ricostruzione”. Giulio Palermo, economista autore con la nostra casa editrice di “Il conflitto russo-ucraino” (LAD, 2023), ci rilascia una lunga e illuminante intervista per argomentare e attualizzare le sue tesi ad oltre un anno dall’inizio dell’operazione speciale russa.
“Il continente europeo costituisce la scacchiera ma gli scacchi sono per lo più americani e russi e, sullo sfondo, cinesi. La strategia europea per l’Europa semplicemente non esiste. Esistono interessi economici convergenti e divergenti tra settori e tra stati”. Stiamo vivendo una fase di cambiamenti epocali ma per quel che riguarda i processi finanziari Giulio Palermo invita alla prudenza perché il ruolo del dollaro nel breve e medio periodo resta ancora forte. Ma nel lungo periodo i movimenti tellurici saranno inevitabili. “Anche se per il momento questo processo sembra portare alla progressiva chiusura tra blocchi contrapposti, la crescita di un sistema di relazioni internazionali meno sbilanciata su un singolo attore è vista da molti paesi con interesse. La Cina e la Russia hanno le carte in regola per guidare questo processo, sia economicamente, sia politicamente, sia anche militarmente. E a un certo punto anche i paesi europei dovranno fare le loro scelte. È nel corso di queste trasformazioni reali dei rapporti economici, politici e militari che si ridefinirà nel tempo il ruolo del dollaro, il suo ridimensionamento e la fine della sua egemonia, non attraverso semplici accordi per denominare i contratti in rubli o in renminbi.”, chiosa l’economista.
* * * *
- Nel suo “Conflitto russo-ucraino” porta avanti la tesi che l’imperialismo Usa abbia come obiettivo principale l’Europa attraverso il pretesto ucraino. Ad oltre un anno dall’inizio del conflitto a che punto siamo?
- La strategia imperialistica Usa in Europa ha radici lontane ed è tutt’uno con la politica antisovietica prima e antirussa poi. Un anno di conflitto ufficiale tra Russia e Ucraina (e già, perché otto anni di aggressione armata nel Donbass e in altre parti del paese da parte delle forze golpiste armate dalla Nato non contano come guerra nella narrazione occidentale) non cambia veramente i termini del problema. Stati uniti e Unione europea sono le aree economiche con il più alto grado di integrazione nel mondo. Questo è il risultato di un lungo processo. Nella fase imperialistica del capitalismo, i rapporti tra stati sono sempre più condizionati dai rapporti tra capitali. Per questo, invece di cercare l’origine dei rapporti Usa/Europa e la nascita stessa dell’Unione europea negli alti valori liberali, nell’unità dei popoli e nella solidarietà internazionale, conviene ripercorrere il processo di integrazione economica sotto la guida dei capitali transnazionali.
L’asimmetria economica tra i capitali sulle due sponde dell’Atlantico — che è alla base del disegno imperialistico Usa in Europa — si definisce all’indomani della sconfitta nazista nella Seconda guerra mondiale.
Storicamente, non si può dire che gli Stati uniti abbiano dimostrato una grande reattività all’avanzata nazista in Europa. Per tutta la prima fase della guerra, la disfatta dei paesi capitalistici di fronte all’esercito tedesco è totale e la resistenza al nazismo riposa quasi interamente sulle spalle dell’Unione sovietica. Stalin chiede ripetutamente agli alleati l’apertura di un secondo fronte contro la Germania — il fronte occidentale — per costringere Hitler ad allentare la presa a est. Ma gli Stati uniti e l’Inghilterra tergiversano.
Decidono di passare all’azione nel giugno del 1944, con lo sbarco in Normandia, dopo che l’Armata rossa ha stroncato le truppe naziste e avanza ormai inarrestabile verso Berlino. E soprattutto dopo aver organizzato minuziosamente la conferenza di Bretton Woods (New Hampshire, Usa), che si terrà nel mese successivo: un mega-incontro di tre settimane tra le principali potenze capitalistiche in cui si definisce il quadro economico-finanziario postbellico, incentrato sul dollaro e sul capitale finanziario statunitense.
Da allora, la penetrazione dei capitali americani in Europa è aumentata sensibilmente, prima attraverso il piano Marshall — un colossale piano di investimenti Usa in Europa — poi attraverso ulteriori esportazioni di capitali e fusioni con i capitali europei.
Finché è convenuto, gli Stati uniti hanno imposto un regime di tassi di cambio incentrato sul dollaro — che ha consentito alla valuta statunitense di imporsi come riferimento internazionale — e quando non è più servito, lo hanno abolito, nel 1971, con un gesto unilaterale del presidente Nixon, in violazione degli accordi che proprio gli Stati uniti avevano imposto. Risultato: il più grande default della storia del capitalismo (il rifiuto degli Stati uniti di onorare i propri impegni finanziari) si è risolto con nuovi accordi valutari tra i principali paesi capitalistici per scaricare i problemi finanziari degli Stati uniti sul resto del mondo.
È in questo quadro di rapporti asimmetrici di forza che si sviluppa l’unificazione europea, un’unificazione commerciale, monetaria e finanziaria voluta proprio dal capitale Usa, al fine di penetrare e soggiogare ordinatamente l’intera area economica europea.
Nel libro, dedico un intero capitolo a ricostruire il lungo processo che porta alla creazione dell’Unione europea e dell’euro, sottolineando il ruolo cruciale degli Stati uniti. Parallelamente, sul piano politico e militare, analizzo il processo di espansione della Nato, come braccio armato del processo di espansione economico-finanziaria.
In quest’ottica più generale, l’Ucraina è poco più di un tassello, per quanto decisivo, di un lungo processo di espansione dei capitali e delle forze armate statunitensi in Europa.
La distruzione delle risorse materiali dell’Ucraina è la prerogativa per l’accaparramento delle sue risorse materiali e umane nella fase di ricostruzione, un bottino allettante per tutte le potenze occidentali. Ma il vero obiettivo strategico degli Stati uniti non è affatto la conquista economica dell’Ucraina bensì quella dell’Europa. La guerra contro la Russia deve essere lunga e costosa. È questo il modo migliore per allentare i rapporti tra la Russia e l’Unione europea, indebolendole entrambe.
Ma gli Stati uniti non vogliono veramente la fine dell’Unione europea e dell’euro. Sarebbe un autogol clamoroso. L’Europa è già americana, sia economicamente che militarmente. Non conviene affatto ingaggiare una guerra economica a tutto campo contro i capitali europei. Conviene invece stringere alleanze selettive, in determinati settori e in determinati paesi, e assicurarsi che l’Europa nel suo complesso agisca secondo gli interessi dei capitali statunitensi. Da questo punto di vista, la crescita di un asse russo-tedesco o addirittura russo-europeo costituiva un ostacolo oggettivo alla strategia Usa.
A un anno dall’intervento russo, la situazione economica e militare dell’Ucraina è disperata. L’Ucraina non ha futuro: militarmente, conta sulle armi inviate sempre più generosamente dai paesi Nato a un esercito mal addestrato, che ha subito già ingenti perdite; economicamente, è tenuta a galla dai prestiti internazionali, senza nessuna possibilità di ripagarli. Insomma, gli ucraini che non muoiono in guerra sotto l’artiglieria russa, saranno schiacciati in tempi di pace dal capitale Usa/Ue.
La guerra può e deve durare. Finché Stati uniti e paesi Nato hanno armi e denaro con cui sostenere l’Ucraina, the show must go on e finché l’Ucraina ha uomini deve mandarli a morire. Un anno e mezzo di sostegno aperto all’esercito ucraino e ai suoi battaglioni nazisti (che, per la verità, dettano legge su gran parte del territorio ucraino ormai da nove anni) non è che l’inizio. Si deve fare in modo che i rapporti economici tra la Russia e l’Unione europea si interrompano per sempre, che si ridefinisca l’intero sistema di approvvigionamento energetico e di materie prime in Europa e che saltino definitivamente lo scambio tecnologico e i progetti di sviluppo congiunti con la Russia e con la Cina.
Insomma, gli Stati uniti vogliono creare una muraglia americana nel cuore dell’Europa per isolarla a est e costringerla ad accettare come referente la sola e unica superpotenza occidentale. Questo è in definitiva l’obiettivo della strategia Usa in Europa: forzare il divorzio tra Russia e Unione europea. Sulla pelle del popolo ucraino…
Lavrov: L’Occidente cerca di aprire un secondo e un terzo fronte contro la Russia
Parlando ieri al contingente militare russo schierato in Tagikistan, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha affermato che, a parte il conflitto in Ucraina, l’Occidente cerca di aprire nuovi fronti contro Mosca, compresa la regione dell’Asia centrale.
“È significativo che, dopo aver allentato il guinzaglio al regime ucraino e aver continuato a pomparlo con le armi più moderne, l’Occidente sia costantemente alla ricerca di ulteriori direzioni da cui possa ‘irritare’ la Russia, aprendo un ‘secondo’ e un ‘ terzo fronte. Già molti politologi e politici parlano direttamente dell’obiettivo di smembrare la Russia”, ha osservato il ministro degli Esteri.
In questo senso, ha sottolineato che tra i fronti che si intende aprire c’è non solo la regione transcaucasica, ma anche l’Asia centrale. Il ministro russo ha ricordato in particolare la situazione in Afghanistan, dove ” si stanno verificando vicende difficili dopo la fuga della coalizione [dalla Nato, guidata dagli Usa]”, che non ha potuto apportare qualcosa di “costruttivo” a quel Paese e ha scelto di andarsene sotto lo status di “crescente minaccia di terrorismo”.
“Si sa con certezza”, ha sottolineato Lavrov, che Washington sostiene “attivamente” lo Stato islamico, Al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche ancora presenti sul suolo afghano. “L’obiettivo è semplice: […] non lasciare che l’Afghanistan si calmi. È nell’interesse degli Stati Uniti che ci sia una sorta di processo destabilizzante in corso tutto il tempo”, ha detto.
Riferendosi al conflitto ucraino, il capo della diplomazia russa ha ribadito che Mosca tiene conto che una delle modifiche apportate ai caccia F-16 , di cui Kiev attende la fornitura, è quella di poter trasportare armi nucleari. “Si stanno preparando a continuare l’escalation della guerra che è stata intrapresa contro di noi”, ha lamentato.
Ha anche sottolineato che Washington “ha nutrito” le attuali autorità di Kiev per garantire che l’Ucraina non sia mai più dalla parte della Russia. “Non abbiamo dubbi che quei piani non si avvereranno mai”.
D’altro canto, ha ricordato che Mosca “ha raggiunto la determinazione” a “non seguire mai” le regole dettate da Washington, che sta “progressivamente” perdendo il suo ruolo a livello mondiale. Invece, la Russia sostiene l’avanzamento di accordi come i BRICS o l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, scommettendo sulla sua cooperazione con l’Africa e l’America Latina.
L’Occidente ha unito i russi
Secondo Lavrov, Il popolo russo ha chiuso i ranghi solo di fronte alle azioni dell’Occidente.
Ha osservato che il popolo russo, a causa dei suoi “codici storici, radici, memoria degli antenati”, si è trovato in prima linea nello scontro scatenato dall’Occidente.
“Quello che hanno fatto ci ha unito ancora di più. Se c’erano sentimenti contrastanti nella società quando qualcuno si sentiva rilassato su certe tendenze intorno a noi, principalmente in Ucraina, questi sentimenti ora sono completamente scomparsi o persistono solo tra gruppi marginali”, ha concluso Lavrov.
…“TEAM LEADER” CHE COMANDANO DAI CINQUE AI SETTE SOLDATI… MANDATI A ORGANIZZARE UN BATTAGLIONE!!! CON GLI ISTRUTTORI AL TELEFONO CHE GLI DANNO LE DRITTE!!!!!!!!!! MA DOVE SIAMO, AL CENTRO DI ASSISTENZA TELEFONICO??????????????????
Perdio, ma ci rendiamo conto di cosa è successo in questi giorni? Di cosa vuol dire “carne da cannone” mandata completamente allo sbaraglio? PER AMMISSIONE STESSA NON DELLA PRAVDA, MA DEL WP??? Con quei quattro mentecatti ripresi ieri notte con la cartina davanti a far finta di valutare piani d’attacco??? e oggi ancora, e domani anche??? DA LI’ NON SE NE VA NESSUNO, ANZI, ALTRI VENTIMILA SOLDATI SONO ATTESI ENTRO BREVE PER RINFORZARE IL GRUPPO D’ATTACCO…
…SI TRATTA DELLA MAGGIORE DISFATTA NATO IN BATTAGLIA DA QUANDO ESISTE IL PATTO ATLANTICO. Con, in aggiunta, E A PARTE IL FATTO CHE POLACCHI, BALTICI, ROMENI ABBIANO O MENO PARTECIPATO ALL’AZIONE ESATTAMENTE COME A SETTEMBRE 2022 (per esempio, nelle intercettazioni radio si sentiva parlare polacco), l’ipocrisia di mandare a crepare non cittadini americani, ma loro schiavi, addestrati per l’occasione “to fight like an American army might — but on their own”.
Li avete “formati”? Li avete “educati” a combattere esattamente come voi? Li avete giudicati “pronti”? Li avete imbottiti di vostre armi? Li avete infine mandati a crepare? Quel sangue ricade INTERAMENTE su di voi, anche se tecnicamente nessun aereo viaggerà sull’Atlantico con sacchi neri….
L’Europa si fotta (Fuck the UE) – Francesco Masala
Chissà se Giorgia, donna, madre, italiana e cristiana sa che (anche) grazie alle sue decisioni è complice della morte di centinaia di migliaia di soldati, che combattono per la patria ucraina, che centinaia di migliaia di vedove la ringrazieranno, che forse milioni di orfani cristiani la ricorderanno nelle preghiere.
Chissà se quando va insieme a Ursula Pfizer Von der Leyen, sempre con la permanente perfetta, a pregare che non arrivino migranti poveri dall’Africa e dall’Asia, si ricorda che l’Unione europea è una grande produttrice di migranti, per esempio dalla distrutta Ucraina saranno milioni e milioni di poveri cristi.
Chissà se qualcuno dei potenti europei aveva capito nel 2014 le parole di Victoria Devil Nuland.
Chissà se dell’Europa che si fotte gliene frega qualcosa, a quelle due (e a tutti i loro colleghi, va da sé).
Chissà se un giorno gli europei verranno a chiedere conto dei loro tradimenti, complicità e sottomissione.
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