Sabbia. È tutto quello che resta. Ci è voluto così poco per
buttare giù quello che era, veramente, un castello di sabbia. Un castello, e
cioè un bell’edificio. Pulito, accogliente, pieno di sole. Verde, perché
alimentato a pannelli solari, che aiutavano non solo il ‘nostro’ castello ma
anche le case del contado. Le povere case del contado. Dentro c’era persino un
giardino, innaffiato attraverso un sistema di riciclo delle acque. E nel
castello, fenomeno davvero singolare, faceva fresco. Anche di giugno, quando
girai per le sue stanze.
Il castello di sabbia non c’è più. È ridiventato polvere, perché
sul castello sono arrivate le cannonate che hanno distrutto questi lunghi,
grandi salsicciotti di tessuto particolare pieni di sabbia e disposti come una
serpentina. Erano i muri del castello di sabbia: una ingegnosa costruzione
realizzata da Vento di Terra, la stessa ong della Scuola di Gomme di Khan El
Akhmar, appena fuori da Gerusalemme. Ecosostenibile, bella, pulita, la
scuoletta di Umm al Nasser ospitava 130 bambini palestinesi, ed era ben di più
di un luogo di istruzione e sostegno ai bambini. Era il punto di riferimenti
per una zona, quella nell’area nord della Striscia di Gaza, appena a ridosso
del lungo e alto muro di cemento armato che divide Gaza da Israele, più
vulnerabile di altre. Una scuola-gioiello accanto al quartiere-martire di Beit
Hanoun, che ho avuto l’onore e la fortuna e il piacere di visitare.
Il castello dei sacchi di sabbia non ci è voluto molto a
buttarlo giù. Qualche cannonata tirata dall’esercito israeliano il 20 luglio
scorso, ed è stato raso al suolo. La sua fragilità era la sua forza culturale.
Il suo era un simbolo da eliminare, come già avevano dimostrato di poter fare i
caccia nel 2012. L’asilo era stato allora sfiorato dai bombardamenti
israeliani. Bastava sporsi dal cancello della scuola per vedere quello che le
bombe avevano provocato poco più in là. Scuotendo, appunto, una struttura che
non poteva essere così pericolosa, visto com’era stato costruita.
Ora la scuola di Umm al Nasser non c’è più. La scuola di gomme
di Khan El Akhmar è da sempre a rischio. E io mi chiedo che cosa faccia paura,
di queste scuole. Cosa fa paura di una scuola? È una domanda per la quale
pretendo una risposta, da noi italiani e dalla politica. Quelle scuole sono
state tra i prodotti migliori delle nostre ong e della nostra Cooperazione:
risultati di cui si conosce pochissimo, nel pubblico più largo. Risultati di
cui sono certa conosca poco anche il Palazzo (esclusa Laura Boldrini, che era
andata a visitarla, all’inizio di quest’anno).
Perché ci manca il coraggio di dire che il bombardamento della
scuola di Umm al Nasser è uno scandalo e una vergogna? Polvere è ritornata, Umm
al Nasser. E anche noi lo saremo un giorno. La memoria di questo gesto, però, è
già diventato un seme. Triste, pericoloso e tragico. La strage degli innocenti
di Gaza la pagheremo perché non abbiamo saputo difendere la dignità umana. Di
ciascuno e di tutti, a Gaza, a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Roma.
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