In Etiopia
sono i giorni della memoria in ricordo dei massacri italiani - Claudio Geymonat
Il 19 febbraio 1937 durante una cerimonia per
festeggiare la nascita del primogenito di Umberto di Savoia scoppiò un ordigno,
preparato da due eritrei della resistenza contro l’opposizione straniera,
destinato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani, reo fra le molte nefandezze
anche di aver autorizzato l’utilizzo di gas lanciato dagli aerei per far strage
di truppe e popolazione etiopi.
Le vittime dell’attentato furono otto e lo stesso
Graziani venne gravemente ferito. La rappresaglia iniziò immediatamente: in tre
giorni vennero messi a ferro e fuoco Addis Abeba. I morti furono alcune
migliaia, probabilmente non le trentamila rivendicate dalle stime etiopiche, ma
certo la tragedia fu enorme, i morti migliaia e migliaia (saranno centinaia di
migliaia alla fine dell’occupazione italiana). Oltre ai militari furono gli
italiani residenti a rendersi a loro volta complici del massacro.
Etiopia come la ex Jugoslavia, dove in due anni di
occupazione (1941-1943) le truppe italiane si macchiarono di crimini gravissimi
che causarono migliaia di morti e almeno 30mila sloveni finiti nei campi di
concentramento: dal movimento di resistenza jugoslavo scaturì la replica degli
anni seguenti che portarono a una nuova tragedia, quella delle foibe e
dell’esodo forzato di tanti connazionali che in Istria e Dalmazia si erano nel
frattempo stanziati.
Quelle etiopi e jugoslave furono reazioni ad
un’occupazione italiana forzata, violenta e plasmata sugli esempi messi in atto
dalla Germania nazista. Gioverebbe a un dibattito forse più sereno sul tema non
raccontare sempre e comunque una parte della storia. Altrimenti il nostro paese
sarà destinato ancora una volta a non fare i conti a fondo con il proprio
passato. Con il rischio di perpetuare ancora l’idea degli “italiani brava
gente”, che migliaia e migliaia di pagine di inchieste hanno smentito fin da
subito, addirittura già dal 1946-47 quando ad esempio venne istituita
una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto,
Ministro della difesa nel III° Governo De Gasperi dedicata proprio a
raccogliere informazioni e testimonianze sui crimini italiani in Jugoslavia.
Segnale che allora la consapevolezza di cosa
accaduto era chiara.
Poi cadde l’oblio: decine e decine di gerarchi e
burocrati fascisti vennero riciclati alla causa repubblicana e occuparono ruoli
di primo piano nelle forze armate e nella politica degli anni seguenti,
contribuendo a mantenere nascosta la verità. Emblematico da questo punto di
vista il caso de “l’armadio della vergogna”, scoperto da un’inchiesta
giornalistica de “L’Espresso” soltanto nel 1999, e dai cui fascicoli nascosti
emersero le troppe responsabilità italiane in molti dei momenti più tragici del
secondo conflitto mondiale. MIgliaia di pagine sono destinate solo ai crimini
italiani in Grecia, per fare un esempio. Per non strumentalizzare occorre
conoscere, anche se la verità è dolorosa. Ma non farne mai i conti non aiuta
una nazione a diventare adulta.
E si finisce con il dedicare
mausolei a Graziani come ad Affile, 80 km a est di Roma, o a fare
monumento della casa del fascio a Predappio che diede i natali a Mussolini.
Qualche consiglio di lettura: "I gas di
Mussolini" di Angelo Del Boca; "Italiani brava
gente?" sempre di Angelo Del Boca; "L'occupazione italiani dei
Balcani" di Davide Conti.
Negazionismo:
anche l’Etiopia ha il suo ‘Giorno del Ricordo’, ma l’Italia fa finta di niente
Il 19, 20 e 21
febbraio 1937 furono massacrati più di 30mila cittadini etiopi, quasi tutti
civili: anziani, donne, bambini e mendicanti.
ASCOLTA L’INTERVISTA
CON GABRIELLA GHERMANDI: QUI
La data del 19 febbraio per il popolo
etiopico è il “Giorno della Memoria”: ricorda le atrocità terribili commesse
durante il periodo dell’aggressione e poi dell’occupazione – fra il 1935 e il
1941 – da parte dell’Italia fascista. Una giornata che è stata assunta a
simbolo di tutti quegli anni in cui gli etiopi dovettero subire sofferenze,
sacrifici e lutti indimenticabili.
30 mila almeno furono le vittime – in soli
tre giorni – come rappresaglia per l’attentato compiuto contro il viceré
Rodolfo Graziani e altri gerarchi del suo seguito nella città di Addis Abeba.
Una giornata tragica che viene celebrata
anche nelle maggiori città del mondo dove sono presenti numerosi cittadini
della diaspora etiopica.
Se la
memoria mi aiuta… - Benigno Moi
Le polemiche (seppure annacquate, distorte, in parte
nascoste e comunque ridotte ai propri fini) che accompagnano anche quest’anno
il “giorno della memoria” il 27 gennaio e, ancor più, il “giorno del ricordo”
il 10 febbraio, mi han fatto ripensare ad alcune delle riflessioni che fa il
nostro amico cantautore Andrea Andrillo (1) fra una canzone e l’altra,
raccontando origine e aspetti delle cose che scrive o decide di reinterpretare.
In particolare sul come dobbiamo porci davanti alla
schematizzazione delle categorie vittima-carnefice, e sul quanto possiamo fare,
noi semplici testimoni, testimoni nel senso proprio di chi vuol testimoniare la
propria volontà e il proprio desiderio che “non accada mai più”.)
Andrea, se non ho frainteso, ci chiede di concentrarci sulla figura del
“carnefice”, su cosa ha determinato la sua scelta. Perché è su quello che
dovremmo lavorare, non certo per assolvere, ma per capire i meccanismi che
possono portare a tale ”scelta”. La vittima invece non ha scelto di
essere vittima, non ha molti margini per cambiare il proprio stato, tutt’al
più può attrezzarsi meglio per difendersi o sfuggire al suo aguzzino.
Ovviamente quando parliamo di “carnefici” stiamo parlando della moltitudine di
“brave e normali persone” che in determinate situazioni si ritrovano
disponibili a divenire carnefici, e su cui tanto si è discusso nel dopoguerra,
soprattutto in Germania, e che viene sintetizzato nella famosa definizione di
Hannah Arendt (2).
Riflettendo su questo ho immaginato un approccio nuovo
alle commemorazioni varie di cui abbiamo riempito i calendari, e che lasciano
perplessità e alimentano schieramenti. Non voglio neanche soffermarmi sul
tentativo di appiattire il senso della memoria storica, con analogie forzate
fra la tragedia causata dalla politica di sterminio nazifascista e altri
drammi, pur reali ma ingigantiti e distorti. Quel che mi piacerebbe proporre è
l’istituzione di giornate in cui ci ricordiamo di quando (e quanto) siamo stati
carnefici. Momenti in cui cerchiamo di svelare e rielaborare i nostri crimini.
In cui il ricordo non sia finalizzato alla nostra “autocommiserazione”, ognuno
con la sua memoria. Ma ci costringa a prendere atto del nostro essere
carnefici, e non per “farci perdonare” (sarebbe certo più utile smettere di essere
aguzzini nelle maniere in cui ancora lo siamo, anche verso le ex colonie
italiane), ma per capire quanto siamo in grado di cambiarci. O, quantomeno,
riusciamo a guardarci allo specchio.
Ci sono una miriade di date che potremmo scegliere per
ricordarci di quando, come e quanto siamo stati aguzzini. Ne elenco alcune,
scelte un po’ a caso, fra quelle legate alle mire colonialiste dell’Italia.
Ottobre 1911. Libia. «Nel corso della battaglia di
Sciara Sciatt per la conquista di Tripoli, due compagnie
di bersaglieri italiani, composte da circa 290 uomini, furono
accerchiate e, dopo la resa, annientate nei pressi del cimitero di Rebab dai
militari ottomani e irregolari libici. Nella repressione che
seguì, furono uccisi almeno un migliaio di libici e si dispose la
deportazione in Italia dei “rivoltosi” arrestati. L’operazione riguardò circa
quattromila libici, che furono trasferiti nelle colonie penitenziarie
delle Isole Tremiti, di Ustica, Gaeta, Ponza, Caserta e Favignana. Gli
scarsi dati rimasti rilevano che, per le pessime condizioni igieniche e lo
scarso cibo, alla data del 10 giugno 1912, alle Tremiti, erano già deceduti 437
reclusi, cioè il 31% del totale. A Ustica, nel solo 1911, ne morirono 69; a
Gaeta e Ponza, nei primi sette mesi del 1912, altri 75. Nel corso del 1912,
furono rimpatriati 917 libici, ma le deportazioni continuarono, con punte
notevoli intorno al 1915.
Alla fine del conflitto nel 1912, alcune stime
indicarono un totale di 10.000 vittime tra turchi e libici a
causa di esecuzioni e rappresaglie italiane, dovute alla resistenza
turco-libica che sarebbe durata almeno fino al 1932». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia
Gennaio 1931. Libia «La città di Cufra è rioccupata dagli italiani;
ne seguirono tre giorni di violenze ed atrocità impressionanti che provocarono
la morte di circa 180-200 libici e innumerevoli altre vittime tra i
sopravvissuti:17 capi senussiti impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati
morire dissanguati, 50 donne stuprate, 50 fucilazioni, 40 esecuzioni con
accette, baionette, sciabole. Le atrocità non risparmiarono neanche i bambini e
le donne incinte (…) Dal 1930 al 1931 le forze italiane scatenarono un’ondata
di terrore sulla popolazione indigena cirenaica; tra il 1930 e il 1931 furono
giustiziati 12 000 cirenaici e tutta la popolazione nomade della Cirenaica
settentrionale fu deportata in enormi campi di concentramento lungo
la costa desertica della Sirte, in condizione di sovraffollamento,
sottoalimentazione e mancanza di igiene» https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia
Dicembre 1935-gennaio 1936. Etiopia L’aviazione italiana usa le armi chimiche,
«furono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte
rilevante caricate a gas, tra cui l’iprite che
provoca leucopenia». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia
Febbraio 1937. Strage Addis Abeba «La strage compiuta
dagli italiani, civili e militari, sulla popolazione
inerme di Adis Abeba costituisce uno degli esempi più
brutali della sanguinosa storia delle dominazione coloniale in Africa. E una
delle più criminali imprese realizzate dai nostri concittadini nella già
vergognosa occupazione dell’Etiopia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il
governo etiopico riferì che erano stati massacrati 30.000 cittadini nella
strage di Adis Abeba». http://www.me-dia-re.it/la-strage-di-adis-abeba-una-vergogna-tutta-italiana/
Maggio 1937. Etiopia – Massacro di Debre Libanos «nella mattinata del 21 maggio (il
generale) Maletti trasferì nella piana i monaci, i quali furono scaricati a
gruppi dagli autocarri e fucilati dagli ascari libici e somali di fede
musulmana e dagli uomini di etnia Galla della banda
di Mohamed Sultan (45º Battaglione coloniale musulmano). In poche ore vennero
giustiziati sommariamente 297 monaci e 23 laici, anche con l’utilizzo di
mitragliatrici». https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Debre_Libanos
Aprile 1939 Etiopia. «Teatro della strage
dell’aprile del ’39 fu una zona a qualche centinaio di
chilometri dalla capitale Addis Abeba. Alla fine di marzo, un gruppo di ribelli
etiopici, inseguito da una colonna italiana, era riuscito a trovare rifugio in
una grotta nella regione del
Gaia Zeret-Lalomedir. L’assedio alla grotta durava diversi
giorni. Gli italiani non riuscivano ad avere la meglio. Fu così
richiesto l’intervento di un plotone del reparto chimico.
L’iprite – un gas proibito dalle convenzioni internazionali
dell’epoca ma già usato massiciamente nel corso della guerra
d’Etiopia – fu lanciato nella grotta. Oltre mille persone morirono. Gli uomini
sopravvissuti all’attacco furono fucilati sul ciglio di un burrone. Donne,
anziani e bambini, morirono un poco alla volta, fiaccati dai gas». https://www.lavocedinewyork.com/onu/2014/04/16/un-altro-aprile-quello-del-1939-litalia-in-etiopia-prove-di-un-genocidio/
Ottobre 1940. Grecia «Di fronte al fallimento dell’offensiva,
Mussolini reagì ordinando all’aviazione di bombardare incessantemente,
distruggere e radere al suolo tutte le città con più di 10 000 abitanti,
con l’intento dichiarato di seminare il panico ovunque” (…) “I bombardamenti
portarono morte e distruzione, ma non modificarono l’esito della guerra; la
sconfitta militare della Grecia e la conseguente occupazione del Paese si ebbe
solo dopo l’intervento tedesco avvenuto nell’aprile 1941».
Gennaio-marzo1942. Grecia. «A fronte delle rivolte, vennero emesse
ordinanze e bandi militari molto rigidi, decretate confische nei villaggi,
arresti, fucilazioni e deportazioni nei campi di concentramento (Larissa,
Hadari e Atene o al confino italiano, per quanto riguarda gli oppositori
politici). Le autorità greche segnalarono stupri di massa. Il comando tedesco
in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle
violenze contro i civili. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris,
scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa
internazionale: “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini
come questi sono commessi solo da barbari”; fu internato, torturato, deportato
in Italia. Migliaia di donne prese per fame vennero reclutate in bordelli per
soddisfare soldati e ufficiali italiani. Nel 1946 il ministero greco della
Previdenza sociale, nel censire i danni di guerra, calcolò che 400 villaggi
avevano subìto distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità
italiane e tedesche, 200 dai soli italiani». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani
Marzo 1942 Jugoslavia «A Lubiana nel solo mese del marzo
’42 gli italiani fucilarono 102 ostaggi”. Un soldato italiano in una lettera
inviata a casa il 1º luglio 1942 scrisse: “Abbiamo distrutto tutto da cima a
fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni sera,
picchiandoli a morte o sparando contro di loro. Se cercano soltanto di muoversi
tiriamo senza pietà e chi muore muore”».
https://it.wikipedia.org//wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Gli_italiani_in_Slovenia_e_Croazia
Maggio 1942. Albania «a seguito del fallito attentato
contro il Re Vittorio
Emanuele III a Tirana e la fucilazione del giovane operaio
albanese Vasil Laci, autore dell’azione, scoppiò una dura rivolta della
popolazione contro l’occupante italiano, che in risposta eseguì con l’esercito,
le milizie fasciste e il governo collaborazionista albanese numerose e
pubbliche rappresaglie a scopo di monito verso la popolazione civile. (…) In
importanti centri come Valona la
resistenza partigiana divenne fenomeno di massa obbligando l’amministrazione
italiana all’impiego di centinaia di militari per operazioni di ordine
pubblico. Città come Fieri, Berat e Argirocastro, divenuti
centri attivi di lotta partigiana, subirono da parte dei miliziani
filo-fascisti albanesi rappresaglie e rastrellamenti particolarmente cruenti
tanto che nella zona di Skrapari i
villaggi investiti dalle operazioni di polizia vennero completamente rasi al
suolo e dati alle fiamme, dopo la razzia dei beni civili». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Occupazione_dell’Albania
1941. Unione Sovietica «Esiste ben poca documentazione
accessibile sul comportamento dei 230 000 soldati italiani inviati da
Mussolini in Unione
Sovietica per affiancare, in posizione subalterna, le
armate tedesche. In questa prospettiva gli ordini di Hitler autorizzavano ogni
eccesso, ogni eccidio, ogni bestialità. La memoria italiana dimentica
questi aspetti, di cui le truppe al fronte ebbero, tra l’altro, una conoscenza
limitata (e rimossa): l’ARMIR ebbe
infatti la buona sorte di essere dislocata in una regione in cui la guerra
partigiana era di bassa intensità. Quindi non furono necessari
combattimenti su larga scala, bensì operazioni di polizia condotte con notevole
durezza, con rastrellamenti, distruzioni di villaggi e buon numero di
fucilazioni, nonché la depredazione delle risorse alimentari. I prigionieri
russi furono impiegati come manodopera e fu anche studiata la loro deportazione
in Italia, poi arenatasi dinanzi alle difficoltà pratiche. In almeno un caso un
gruppo di ebrei fu
consegnato a un Sonderkommando per
la loro eliminazione. Lo storico tedesco Thomas Schlemmer, pur non
paragonando i crimini dei nazisti a quelli compiuti dal corpo di spedizione
fascista, precisa tuttavia che l’anticomunismo degli
italiani “mescolato al razzismo e
all’antisemitismo,
finì per produrre una miscela aggressiva”. […] Effettivamente si sa di
efferatezze commesse da soldati italiani non solo sulla popolazione civile, ma
soprattutto nei confronti dei prigionieri di guerra. Nel dicembre del 1941 il
membro di un’unità di riparazioni fu testimone di un terribile delitto: alcuni
soldati sovietici furono bagnati con la benzina e poi
bruciati da un gruppo di carabinieri italiani».
https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Occupazione_dell’Unione_Sovietica
NOTE
1.
Andrea Andrillo (https://www.youtube.com/channel/UC0KPLsAIzx2XYA3uWbCbjbQ?spfreload=5)
2.
“di
che colpa si sono macchiati i Tedeschi? Per rispondere a questa domanda,
Jaspers elabora una casistica con quattro tipi di colpa: 1) colpa criminale è
la trasgressione della legge; 2) colpa politica è quella che riguarda
diversamente i cittadini a seconda della loro posizione (sudditi, capi, ecc),
benché resti vero che chi obbedisce e non si oppone è comunque corresponsabile;
3) colpa morale è quella che si commette quando si violano le leggi prescritte
dalla propria coscienza (come nel caso in cui si uccide una persona benché la
coscienza ci inviti a non farlo); 4) colpa metafisica è quella per cui, in
quanto uomini, siamo tutti corresponsabili di ogni torto perpetrato nel mondo,
cosicché Jaspers può affermare che “il fatto di essere ancora vivi [dopo
Auschwitz] è una colpa”. Arendt, attenta lettrice e grande amica di
Jaspers, intende la sua nozione di “colpa metafisica” equivalente a quella di
“colpa collettiva” e obietta al filosofo tedesco che dire che tutti sono
colpevoli è, in fin dei conti, come dire che nessuno lo è, quasi come se, dalla
colpevolezza generalizzata, risultasse una altrettanto generalizzata
assoluzione. Si tratta invece – prosegue Arendt – di accertare i singoli gradi
di responsabilità nei singoli casi.” Primo Levi e Hannan Arendt http://www.filosofico.net/auschwitz/ausch8.htm
Nessun commento:
Posta un commento