lunedì 24 febbraio 2020

ricordando ricordando



Il 19 febbraio 1937 durante una cerimonia per festeggiare la nascita del primogenito di Umberto di Savoia scoppiò un ordigno, preparato da due eritrei della resistenza contro l’opposizione straniera, destinato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani, reo fra le molte nefandezze anche di aver autorizzato l’utilizzo di gas lanciato dagli aerei per far strage di truppe e popolazione etiopi. 
Le vittime dell’attentato furono otto e lo stesso Graziani venne gravemente ferito. La rappresaglia iniziò immediatamente: in tre giorni vennero messi a ferro e fuoco Addis Abeba. I morti furono alcune migliaia, probabilmente non le trentamila rivendicate dalle stime etiopiche, ma certo la tragedia fu enorme, i morti migliaia e migliaia (saranno centinaia di migliaia alla fine dell’occupazione italiana). Oltre ai militari furono gli italiani residenti a rendersi a loro volta complici del massacro.
Etiopia come la ex Jugoslavia, dove in due anni di occupazione (1941-1943) le truppe italiane si macchiarono di crimini gravissimi che causarono migliaia di morti e almeno 30mila sloveni finiti nei campi di concentramento: dal movimento di resistenza jugoslavo scaturì la replica degli anni seguenti che portarono a una nuova tragedia, quella delle foibe e dell’esodo forzato di tanti connazionali che in Istria e Dalmazia si erano nel frattempo stanziati. 
Quelle etiopi e jugoslave furono reazioni ad un’occupazione italiana forzata, violenta e plasmata sugli esempi messi in atto dalla Germania nazista. Gioverebbe a un dibattito forse più sereno sul tema non raccontare sempre e comunque una parte della storia. Altrimenti il nostro paese sarà destinato ancora una volta a non fare i conti a fondo con il proprio passato. Con il rischio di perpetuare ancora l’idea degli “italiani brava gente”, che migliaia e migliaia di pagine di inchieste hanno smentito fin da subito, addirittura già dal 1946-47 quando ad esempio venne istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto, Ministro della difesa nel III° Governo De Gasperi dedicata proprio a raccogliere informazioni e testimonianze sui crimini italiani in Jugoslavia.
 Segnale che allora la consapevolezza di cosa accaduto era chiara. 
Poi cadde l’oblio: decine e decine di gerarchi e burocrati fascisti vennero riciclati alla causa repubblicana e occuparono ruoli di primo piano nelle forze armate e nella politica degli anni seguenti, contribuendo a mantenere nascosta la verità. Emblematico da questo punto di vista il caso de “l’armadio della vergogna”, scoperto da un’inchiesta giornalistica de “L’Espresso” soltanto nel 1999, e dai cui fascicoli nascosti emersero le troppe responsabilità italiane in molti dei momenti più tragici del secondo conflitto mondiale. MIgliaia di pagine sono destinate solo ai crimini italiani in Grecia, per fare un esempio. Per non strumentalizzare occorre conoscere, anche se la verità è dolorosa. Ma non farne mai i conti non aiuta una nazione a diventare adulta.
E si finisce con il dedicare mausolei a Graziani come ad Affile, 80 km a est di Roma, o a fare monumento della casa del fascio a Predappio che diede i natali a Mussolini.
Qualche consiglio di lettura: "I gas di Mussolini" di Angelo Del Boca; "Italiani brava gente?" sempre di Angelo Del Boca; "L'occupazione italiani dei Balcani" di Davide Conti.


Negazionismo: anche l’Etiopia ha il suo ‘Giorno del Ricordo’, ma l’Italia fa finta di niente

Il 19, 20 e 21 febbraio 1937 furono massacrati più di 30mila cittadini etiopi, quasi tutti civili: anziani, donne, bambini e mendicanti.
ASCOLTA L’INTERVISTA CON GABRIELLA GHERMANDI: QUI

La data del 19 febbraio per il  popolo etiopico è il “Giorno della Memoria”: ricorda le atrocità terribili commesse durante il periodo dell’aggressione e poi dell’occupazione – fra il 1935 e il 1941 – da parte dell’Italia fascista. Una giornata che è stata assunta a simbolo di tutti quegli anni in cui gli etiopi dovettero subire sofferenze, sacrifici e lutti indimenticabili.
30 mila almeno furono le vittime – in soli tre giorni – come rappresaglia per l’attentato compiuto contro il viceré Rodolfo Graziani e altri gerarchi del suo seguito nella città di Addis Abeba.
Una giornata tragica che viene celebrata anche nelle maggiori città del mondo dove sono presenti numerosi cittadini della diaspora etiopica.


Se la memoria mi aiuta… - Benigno Moi

Le polemiche (seppure annacquate, distorte, in parte nascoste e comunque ridotte ai propri fini) che accompagnano anche quest’anno il “giorno della memoria” il 27 gennaio e, ancor più, il “giorno del ricordo” il 10 febbraio, mi han fatto ripensare ad alcune delle riflessioni che fa il nostro amico cantautore Andrea Andrillo (1) fra una canzone e l’altra, raccontando origine e aspetti delle cose che scrive o decide di reinterpretare.
In particolare sul come dobbiamo porci davanti alla schematizzazione delle categorie vittima-carnefice, e sul quanto possiamo fare, noi semplici testimoni, testimoni nel senso proprio di chi vuol testimoniare la propria volontà e il proprio desiderio che “non accada mai più”.) Andrea, se non ho frainteso, ci chiede di concentrarci sulla figura del “carnefice”, su cosa ha determinato la sua scelta. Perché è su quello che dovremmo lavorare, non certo per assolvere, ma per capire i meccanismi che possono portare a tale ”scelta”. La vittima invece non ha scelto di essere vittima, non ha molti margini per cambiare il proprio stato, tutt’al più può attrezzarsi meglio per difendersi o sfuggire al suo aguzzino. Ovviamente quando parliamo di “carnefici” stiamo parlando della moltitudine di “brave e normali persone” che in determinate situazioni si ritrovano disponibili a divenire carnefici, e su cui tanto si è discusso nel dopoguerra, soprattutto in Germania, e che viene sintetizzato nella famosa definizione di Hannah Arendt (2).
Riflettendo su questo ho immaginato un approccio nuovo alle commemorazioni varie di cui abbiamo riempito i calendari, e che lasciano perplessità e alimentano schieramenti. Non voglio neanche soffermarmi sul tentativo di appiattire il senso della memoria storica, con analogie forzate fra la tragedia causata dalla politica di sterminio nazifascista e altri drammi, pur reali ma ingigantiti e distorti. Quel che mi piacerebbe proporre è l’istituzione di giornate in cui ci ricordiamo di quando (e quanto) siamo stati carnefici. Momenti in cui cerchiamo di svelare e rielaborare i nostri crimini. In cui il ricordo non sia finalizzato alla nostra “autocommiserazione”, ognuno con la sua memoria. Ma ci costringa a prendere atto del nostro essere carnefici, e non per “farci perdonare” (sarebbe certo più utile smettere di essere aguzzini nelle maniere in cui ancora lo siamo, anche verso le ex colonie italiane), ma per capire quanto siamo in grado di cambiarci. O, quantomeno, riusciamo a guardarci allo specchio.
Ci sono una miriade di date che potremmo scegliere per ricordarci di quando, come e quanto siamo stati aguzzini. Ne elenco alcune, scelte un po’ a caso, fra quelle legate alle mire colonialiste dell’Italia.

Ottobre 1911. Libia. «Nel corso della battaglia di Sciara Sciatt per la conquista di Tripoli, due compagnie di bersaglieri italiani, composte da circa 290 uomini, furono accerchiate e, dopo la resa, annientate nei pressi del cimitero di Rebab dai militari ottomani e irregolari libici.  Nella repressione che seguì, furono uccisi almeno un migliaio di libici e si dispose la deportazione in Italia dei “rivoltosi” arrestati. L’operazione riguardò circa quattromila libici, che furono trasferiti nelle colonie penitenziarie delle Isole Tremiti, di Ustica, Gaeta, Ponza, Caserta e Favignana. Gli scarsi dati rimasti rilevano che, per le pessime condizioni igieniche e lo scarso cibo, alla data del 10 giugno 1912, alle Tremiti, erano già deceduti 437 reclusi, cioè il 31% del totale. A Ustica, nel solo 1911, ne morirono 69; a Gaeta e Ponza, nei primi sette mesi del 1912, altri 75. Nel corso del 1912, furono rimpatriati 917 libici, ma le deportazioni continuarono, con punte notevoli intorno al 1915.
Alla fine del conflitto nel 1912, alcune stime indicarono un totale di 10.000 vittime tra turchi e libici a causa di esecuzioni e rappresaglie italiane, dovute alla resistenza turco-libica che sarebbe durata almeno fino al 1932». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia

Gennaio 1931. Libia  «La città di Cufra è rioccupata dagli italiani; ne seguirono tre giorni di violenze ed atrocità impressionanti che provocarono la morte di circa 180-200 libici e innumerevoli altre vittime tra i sopravvissuti:17 capi senussiti impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati, 50 donne stuprate, 50 fucilazioni, 40 esecuzioni con accette, baionette, sciabole. Le atrocità non risparmiarono neanche i bambini e le donne incinte (…) Dal 1930 al 1931 le forze italiane scatenarono un’ondata di terrore sulla popolazione indigena cirenaica; tra il 1930 e il 1931 furono giustiziati 12 000 cirenaici e tutta la popolazione nomade della Cirenaica settentrionale fu deportata in enormi campi di concentramento lungo la costa desertica della Sirte, in condizione di sovraffollamento, sottoalimentazione e mancanza di igiene» https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia

Dicembre 1935-gennaio 1936. Etiopia L’aviazione italiana usa le armi chimiche, «furono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas, tra cui l’iprite che provoca leucopenia». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Guerra_di_Libia

Febbraio 1937. Strage Addis Abeba «La strage compiuta dagli italiani, civili e militari, sulla popolazione inerme di Adis Abeba costituisce uno degli esempi più brutali della sanguinosa storia delle dominazione coloniale in Africa. E una delle più criminali imprese realizzate dai nostri concittadini nella già vergognosa occupazione dell’Etiopia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il governo etiopico riferì che erano stati massacrati 30.000 cittadini nella strage di Adis Abeba». http://www.me-dia-re.it/la-strage-di-adis-abeba-una-vergogna-tutta-italiana/

Maggio 1937. Etiopia – Massacro di Debre Libanos «nella mattinata del 21 maggio (il generale) Maletti trasferì nella piana i monaci, i quali furono scaricati a gruppi dagli autocarri e fucilati dagli ascari libici e somali di fede musulmana e dagli uomini di etnia Galla della banda di Mohamed Sultan (45º Battaglione coloniale musulmano). In poche ore vennero giustiziati sommariamente 297 monaci e 23 laici, anche con l’utilizzo di mitragliatrici». https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Debre_Libanos

Aprile 1939 Etiopia. «Teatro della strage dell’aprile del ’39 fu una zona a qualche centinaio di chilometri dalla capitale Addis Abeba. Alla fine di marzo, un gruppo di ribelli etiopici, inseguito da una colonna italiana, era riuscito a trovare rifugio in una grotta nella regione del Gaia Zeret-Lalomedir. L’assedio alla grotta durava diversi giorni. Gli italiani non riuscivano ad avere la meglio. Fu così richiesto l’intervento di un plotone del reparto chimico.  L’iprite – un gas proibito dalle convenzioni internazionali dell’epoca ma già usato massiciamente nel corso della guerra d’Etiopia – fu lanciato nella grotta. Oltre mille persone morirono. Gli uomini sopravvissuti all’attacco furono fucilati sul ciglio di un burrone. Donne, anziani e bambini, morirono un poco alla volta, fiaccati dai gas». https://www.lavocedinewyork.com/onu/2014/04/16/un-altro-aprile-quello-del-1939-litalia-in-etiopia-prove-di-un-genocidio/

Ottobre 1940. Grecia «Di fronte al fallimento dell’offensiva, Mussolini reagì ordinando all’aviazione di bombardare incessantemente, distruggere e radere al suolo tutte le città con più di 10 000 abitanti, con l’intento dichiarato di seminare il panico ovunque” (…) “I bombardamenti portarono morte e distruzione, ma non modificarono l’esito della guerra; la sconfitta militare della Grecia e la conseguente occupazione del Paese si ebbe solo dopo l’intervento tedesco avvenuto nell’aprile 1941».

Gennaio-marzo1942. Grecia. «A fronte delle rivolte, vennero emesse ordinanze e bandi militari molto rigidi, decretate confische nei villaggi, arresti, fucilazioni e deportazioni nei campi di concentramento (Larissa, Hadari e Atene o al confino italiano, per quanto riguarda gli oppositori politici). Le autorità greche segnalarono stupri di massa. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa internazionale: “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari”; fu internato, torturato, deportato in Italia. Migliaia di donne prese per fame vennero reclutate in bordelli per soddisfare soldati e ufficiali italiani. Nel 1946 il ministero greco della Previdenza sociale, nel censire i danni di guerra, calcolò che 400 villaggi avevano subìto distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità italiane e tedesche, 200 dai soli italiani». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani

Marzo 1942 Jugoslavia «A Lubiana nel solo mese del marzo ’42 gli italiani fucilarono 102 ostaggi”. Un soldato italiano in una lettera inviata a casa il 1º luglio 1942 scrisse: “Abbiamo distrutto tutto da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni sera, picchiandoli a morte o sparando contro di loro. Se cercano soltanto di muoversi tiriamo senza pietà e chi muore muore”».
https://it.wikipedia.org//wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Gli_italiani_in_Slovenia_e_Croazia

Maggio 1942. Albania  «a seguito del fallito attentato contro il Re Vittorio Emanuele III a Tirana e la fucilazione del giovane operaio albanese Vasil Laci, autore dell’azione, scoppiò una dura rivolta della popolazione contro l’occupante italiano, che in risposta eseguì con l’esercito, le milizie fasciste e il governo collaborazionista albanese numerose e pubbliche rappresaglie a scopo di monito verso la popolazione civile. (…) In importanti centri come Valona la resistenza partigiana divenne fenomeno di massa obbligando l’amministrazione italiana all’impiego di centinaia di militari per operazioni di ordine pubblico. Città come FieriBerat e Argirocastro, divenuti centri attivi di lotta partigiana, subirono da parte dei miliziani filo-fascisti albanesi rappresaglie e rastrellamenti particolarmente cruenti tanto che nella zona di Skrapari i villaggi investiti dalle operazioni di polizia vennero completamente rasi al suolo e dati alle fiamme, dopo la razzia dei beni civili». https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Occupazione_dell’Albania

1941. Unione Sovietica «Esiste ben poca documentazione accessibile sul comportamento dei 230 000 soldati italiani inviati da Mussolini in Unione Sovietica per affiancare, in posizione subalterna, le armate tedesche. In questa prospettiva gli ordini di Hitler autorizzavano ogni eccesso, ogni eccidio, ogni bestialità. La memoria italiana dimentica questi aspetti, di cui le truppe al fronte ebbero, tra l’altro, una conoscenza limitata (e rimossa): l’ARMIR ebbe infatti la buona sorte di essere dislocata in una regione in cui la guerra partigiana era di bassa intensità. Quindi non furono necessari combattimenti su larga scala, bensì operazioni di polizia condotte con notevole durezza, con rastrellamenti, distruzioni di villaggi e buon numero di fucilazioni, nonché la depredazione delle risorse alimentari. I prigionieri russi furono impiegati come manodopera e fu anche studiata la loro deportazione in Italia, poi arenatasi dinanzi alle difficoltà pratiche. In almeno un caso un gruppo di ebrei fu consegnato a un Sonderkommando per la loro eliminazione. Lo storico tedesco Thomas Schlemmer, pur non paragonando i crimini dei nazisti a quelli compiuti dal corpo di spedizione fascista, precisa tuttavia che l’anticomunismo degli italiani “mescolato al razzismo e all’antisemitismo, finì per produrre una miscela aggressiva”. […] Effettivamente si sa di efferatezze commesse da soldati italiani non solo sulla popolazione civile, ma soprattutto nei confronti dei prigionieri di guerra. Nel dicembre del 1941 il membro di un’unità di riparazioni fu testimone di un terribile delitto: alcuni soldati sovietici furono bagnati con la benzina e poi bruciati da un gruppo di carabinieri italiani».
https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Occupazione_dell’Unione_Sovietica

NOTE
2.      di che colpa si sono macchiati i Tedeschi? Per rispondere a questa domanda, Jaspers elabora una casistica con quattro tipi di colpa: 1) colpa criminale è la trasgressione della legge; 2) colpa politica è quella che riguarda diversamente i cittadini a seconda della loro posizione (sudditi, capi, ecc), benché resti vero che chi obbedisce e non si oppone è comunque corresponsabile; 3) colpa morale è quella che si commette quando si violano le leggi prescritte dalla propria coscienza (come nel caso in cui si uccide una persona benché la coscienza ci inviti a non farlo); 4) colpa metafisica è quella per cui, in quanto uomini, siamo tutti corresponsabili di ogni torto perpetrato nel mondo, cosicché Jaspers può affermare che “il fatto di essere ancora vivi [dopo Auschwitz] è una colpa”. Arendt, attenta lettrice e grande amica di Jaspers, intende la sua nozione di “colpa metafisica” equivalente a quella di “colpa collettiva” e obietta al filosofo tedesco che dire che tutti sono colpevoli è, in fin dei conti, come dire che nessuno lo è, quasi come se, dalla colpevolezza generalizzata, risultasse una altrettanto generalizzata assoluzione. Si tratta invece – prosegue Arendt – di accertare i singoli gradi di responsabilità nei singoli casi.” Primo Levi e Hannan Arendt http://www.filosofico.net/auschwitz/ausch8.htm

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