Scampato – e
meno male – il pericolo in Emilia-Romagna, se si suona al citofono
dell’indirizzo «Politica Estera del governo» (alla Farnesina, mica
un’abitazione privata) non risponde nessuno. Silenzio. Eppure ci sono messaggi
urgenti da recapitare, dal Piano Truffa di Trump annunciato ieri «per la pace
in Medio Oriente», alla Libia, all’Iraq, all’Iran.
In Libia – ,
proprio mentre dai «porti sicuri» libici c’è il boom di partenze dei migranti e
solo le navi di soccorso umanitario, Open Arms, Ocean Viking e Alan Kurdi hanno
tratto in salvo in queste ore circa 700 persone – c’è ben altro che la tregua
sbandierata alla conferenza di Berlino, un’operazione mediatica e cosmetica per
far apparire l’Europa ancora importante di fronte a Russia e Turchia. Dopo
Tripoli è sotto assedio anche Misurata dove ci sono oltre 300 soldati italiani
di guardia a un ospedale da campo ma in realtà non si sa davvero che fanno.
Potrebbero diventare bersagli del generale Khalifa Haftar che non ci tiene
proprio in gran simpatia mentre l’alleato di Tripoli al Sarraj ci ha sostituiti
con i mercenari jihadisti della Turchia ma incassa ancora i soldi per la
guardia costiera che lascia morire in mare centinaia di profughi nella sua area
Sar di competenza. L’insuccesso libico è politico ed economico (l’export
petrolifero è quasi bloccato) ma soprattutto umanitario.
Per un Paese
come il nostro che si dibatte ancora con i decreti sicurezza del governo Conte
I: lì al citofono risponde ancora Salvini. Il vicepresidente degli Stati uniti
Mike Pence è venuto a Roma nel week end scorso a darci un buffetto sulla
guancia, minacciando dazi sulle auto europee (l’Italia produce anche il 50%
delle componenti dell’automotive tedesco), sanzioni sui commerci e le
tecnologie con la Cina; e poi, non contento dei venti di guerra alimentati da
Trump con l’uccisione del n.2 di Teheran, Qasem Soleimani, chiede
silenzio-assenso sulle nuove sanzioni che pesano come un macigno sull’economia
e sulla società iraniana, perché fra l’altro colpiscono anche gli interessi
dell’Europa e dell’Italia – il fronte che dovrebbe difendere almeno gli accordi
sul nucleare civile di Teheran voluti da Obama.
Ma
soprattutto Pence ci ha lanciato un avvertimento: armatevi e partite. Gli Usa
stanno allargando a Livorno Camp Darby (40 milioni di dollari di investimento),
la più grande base degli americani fuori dagli Stati Uniti, ma ci chiedono
anche di tenerci pronti per l’Iraq. Qui se gli Stati uniti si ritirano o
riducono le truppe andremo a prendere, con l’elmetto della Nato, il posto dei
marines nella basi per fare da bersaglio quando gli americani decideranno di
colpire con i droni le milizie sciite locali o persino l’Iran. E a sorpresa,
mentre i razzi hanno colpito di nuovo l’ambasciata americana a Baghdad, Trump
ieri ancora aspettava a reagire: in queste ore ha sospeso le operazioni
belliche perché doveva vendere al mondo, con fare ammorbidente e suadente, il
Piano Truffa del secolo «per la pace in Medio Oriente».
Inutile girarci
intorno: il Piano Truffa presentato ieri a Washington è fatto apposta per
essere respinto e mettere in un angolo i palestinesi. E se ci sarà il «gran
rifiuto», spiegava Michele Giorgio sul manifesto, si andrà avanti
lo stesso in modo che il premier Netanyahu e il suo «rivale» Ganz possano
presentare le loro osservazioni prima delle elezioni israeliane del 2 marzo:
poi gli Usa daranno il via libera all’annessione unilaterale allo Stato ebraico
della Valle del Giordano e di vaste parti della Cisgiordania con 150
insediamenti coloniali israeliani.
Di fatto,
con Gerusalemme capitale di Israele, questo Piano Truffa è la pietra tombale
sulla formula «due popoli e due stati», avremo un solo Stato con un bantustan
palestinese, una sorta di soluzione alla sudafricana, come scriveva Zvi
Schuldiner nell’edizione speciale di lunedì, «preludio a più guerra e ancora
più sangue». Mentre i palestinesi sono divisi e così la già scarsa autorità
dell’Autorità nazionale palestinese viene definitivamente cancellata. Quanto ai
miliardi promessi ai palestinesi, chi ci crede è bravo: figuriamoci se dopo
averli lasciati marcire nella miseria in una prigione a cielo aperto come Gaza
e dopo aver bloccato per anni gli aiuti dell’Unrwa, mollano davvero dei soldi
agli arabi.
Altro che la
giusta «collera» palestinese: qui è in corso una violazione palese di ogni
diritto internazionale, delle risoluzioni Onu ed europee, lo sfregio a
qualunque principio di giustizia e del buon senso. Ma se schiacciamo il
pulsante al citofono «Politica Estera» siamo sicuri che il nostro governo
risponda per darci la sua opinione al riguardo? Salvini, il tappetino della
destra al governo d’Israele, è stato temporaneamente battuto, ma Conte, Di Maio
e Zingaretti sulla truffa di Trump e Netanyahu che dicono?
Il tutto
ricorda un po’ l’atmosfera malata che un secolo fa, nell’aprile del 1920,
circondava la Conferenza di Sanremo che a Castello Devachan definì i mandati
delle grandi potenze nella spartizione dell’impero ottomano: il 24 aprile 1920
la Palestina fu così messa sotto mandato britannico.
Il vate
D’Annunzio, sovranista ante-litteram e specialista in slogan pubblicitari e
manifestini – poi imitato dal ministro della difesa La Russa sui cieli afghani
– patriotticamente preoccupato dei destini nazionalisti e anti-slavi
dell’impresa fiumana, ne lanciò centinaia sulla città famosa per il casinò in
cui si definivano i partecipanti «i biscazzieri della pace». Ma in questi
giorni il vero contrabbandiere di una falsa pace che è invece preludio di altra
violenza e guerra, è Donald Trump, gestore di casinò, presidente sotto impeachment in
casa e biscazziere del Piano Truffa.
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