domenica 9 febbraio 2020

Foibe e menzogne


due articoli di Angelo d’Orsi, le considerazioni di Gigi Bettoli e alcuni link

La “questione foibe” e la storia governativa
di Angelo D’Orsi (*)
Sotto l’insegna del politicamente corretto stiamo compiendo grandi passi verso la eliminazione di ogni spazio di dissenso dal pensiero dominante, che è, come insegna Marx, il pensiero delle classi dominanti. Basterebbe questa considerazione per renderci più attenti e critici. La tendenza in atto su scena internazionale, nel mondo occidentale, a cominciare dall’Unione Europea e degli Stati Uniti, è quella di una trasformazione del potere politico in organo giudicante della legittimità delle interpretazioni storiografiche e dello stesso dibattito delle idee: e distrattamente, colpevolmente, troppi di noi hanno trascurato le implicazioni di questa tendenza.
La lotta contro l’antisemitismo ha portato, talora innocentemente, talaltra capziosamente, alla persecuzione giudiziaria, in sede penale, delle forme di negazione o persino di “banalizzazione” della Shoah. Una legislazione in tal senso si sta imponendo sulle due sponde dell’Atlantico, nel silenzio ignaro o ignavo di troppi. La risoluzione UE dello scorso settembre di equiparazione nazismo/comunismo, con allusione a sanzioni penali verso chi non rimuove simboli di quei “regimi”, è stata criticata, ma rimane come un macigno e può essere lo strumento politico prima che legale per perseguitare coloro che credono ancora nel socialismo e che non aborrono, anzi, la Falce e Martello. Un panpenalismo internazionale sta percorrendo l’Occidente da decenni, ormai, e in Italia si connette essenzialmente al tema del “negazionismo”, un termine su cui varrà la pena di riflettere, al più presto, dato il suo carattere ampio quanto evanescente. E in effetti viene adoperato a destra e a manca, in modo completamente privo di scientificità. Negazionismo, esecrando, è quello di chi nega le camere a gas, e i campi di sterminio nazisti; ma per una sciagurata estensione di un “non-concetto” viene bollato come “negazionismo” l’atteggiamento di chi, su qualsivoglia tema, provi a ragionare seriamente sui fatti della storia, rimanendo ostinatamente aggrappato ai documenti, come invitava a fare Marc Bloch, uno storico ebreo, è opportuno precisare, militante antifascista, ucciso dai nazisti. In sintesi, occorre non farsi coartare dal senso comune e men che meno dalle disposizioni di legge, nel campo tanto della ricerca scientifica quanto della discussione intellettuale.
E su questo passaggio siamo stati davvero poco attenti, ed è tempo di reagire con vigore. Intanto, va ribadito che nessuna idea deve essere impedita a furia di norme giuridiche. Il dibattito delle idee deve essere assolutamente libero, e questo ce lo ha insegnato la grande tradizione umanistica, e poi illuministica e liberale, da Lorenzo Valla a John Locke, da Voltaire a Tocqueville. E per quanto concerne i fatti storici, solo la storiografia, ossia la comunità estesa di chi studia professionalmente, scientificamente, e più in generale la comunità intellettuale, rappresenta il “tribunale” che può e deve accogliere o respingere le tesi storiche o pseudo-storiche. Le cattive idee vanno tenute a bada, contrastate con buone idee, le tesi infondate vanno contestate con ricostruzioni scientificamente fondate. Nessun organo politico, nessuna legislazione, possono essere tirati in campo per combattere idee: questo deve essere un punto irrinunciabile. Tanto più se si entra nel campo della storia: se si accetta che siano il potere legislativo o esecutivo, i parlamenti e i governi, a decidere della fondatezza di una tesi storiografica, si finisce per accogliere il principio che la storia sia un campo di opinioni, invece che, come è e come deve essere, un campo di ricerca scientifica. Gli elogi postumi a Giampaolo Pansa, anche da parte di chi in vita lo aveva criticato, sono stati solo l’ultimo esempio di come la moneta cattiva (l’opinionismo, la “doxa”, presentato come valida alternativa alla ricerca) abbia finito per scacciare dal mercato intellettuale la moneta buona (la storia vera e propria fondata sul principio dell’“episteme”, del sapere scientifico). E Pansa ha avuto responsabilità gravissime in tal senso, anche a prescindere dalle tesi farlocche da lui proposte al pubblico che se ne è abbeverato.
Va aggiunto che l’insipienza non sempre innocente della nostra classe politica ha realizzato un micidiale combinato disposto fra il 27 gennaio e il 10 febbraio, quasi fondendo le due date, in una melassa politicamente corretta rispetto alla quale chi prova a ragionare, documenti alla mano rischia di essere bollato come “negazionista”, in una inaccettabile estensione del “non concetto”, e una sua torsione dal campo antifascista a quello fascistoide o decisamente fascista, nella narrazione delle tormentate vicende del Confine orientale.
Ne è esempio la censura preventiva a cui viene sottoposta, da tempo, ma con una progressione inquietante, colei che è, con pochissimi altri, la più informata studiosa della vexata quaestio foibe/esodo, Claudia Cernigoi, la quale ormai trova difficoltà a parlare in pubblico, fatta oggetto di campagne denigratorie, e di intimidazioni al limite della vera e propria persecuzione. L’ultimo episodio è il ritiro della concessione di spazi per conferenze sul tema, prima a Cologno Monzese, poi a Pistoia, località naturalmente, entrambe, in mano alla destra; ma va aggiunto che se ciò è stato possibile è perché la sinistra ufficiale, o il cosiddetto centrosinistra, è stata finora silente o corriva, sul tema, nella paura di urtare una parte dell’elettorato. Il comunicato dell’Amministrazione comunale pistoiese rappresenta un inquietante e rozzo esempio paradigmatico degno dell’infausto Ventennio. Il titolo dice già tutto: “Dramma foibe – nessuno spazio pubblico per chi propaganda odiose tesi negazioniste”. Nel testo vi è poi un volgare attacco personale contro la Cernigoi:
tristemente nota alle cronache per aver definito il dramma delle foibe una “montatura gigantesca” e che ha pubblicato un “libro” dal titolo piuttosto eloquente: “Operazione “Foibe” tra storia e mito”
Ora proprio quel lavoro di Claudia Cernigoi, che il comunicato tenta di dileggiare con le virgolette che racchiudono il termine “libro”, è una pietra miliare degli studi sull’argomento. Ma nella campagna contro la verità della storia, il potere politico, la parola di un amministratore ignorante o di un conduttore televisivo contano infinitamente più del rigoroso, diligente, faticoso lavoro di ricerca negli archivi e nelle biblioteche. La “verità politica” (si pensi a certi discorsi recenti di autorità dall’ex presidente del Parlamento UE, Tajani, allo stesso presidente Mattarella, che ha finito per accogliere le posizioni del suo predecessore Napolitano che avevano rischiato di creare conflittualità con le confinanti repubbliche ex-jugoslave) diventa la verità tout court. Con tanti saluti alla storia, ai documenti, alle analisi e alla stessa onestà intellettuale. Nel comunicato dell’amministrazione comunale di Pistoia si insiste nell’accusare la Cernigoi di “negazionismo”, con parole che vorrebbero essere infamanti ma appaiono grottesche, parlando di “farneticazioni”. E si rivendica la giustezza della decisione assunta di negare i locali alla conferenza, asserendo che sindaco e direttrice della Biblioteca (dove avrebbe dovuto svolgersi la conferenza)
nello scongiurare che una tale manifestazione d’odio si svolgesse in un luogo pubblico, hanno tutelato con serietà e professionalità non solo la Legge dello Stato e la dignità delle Istituzioni Repubblicane, ma anche la sensibilità di quei discendenti degli esuli istriani, fiumani e dalmati che vivono sul nostro territorio.
La Cernigoi, doverosamente, ha inviato una lettera di precisazioni e contestazioni, dal tono assai misurato, in cui prova a esporre le sue ragioni, che sono quelle della ricerca, e del diritto all’accertamento della verità. (**) Ammesso che venga letta, non credo possa sortire alcun effetto. Ormai siamo a un passo dal delirio e chi non accetta il mainstream politico-mediatico viene bollato con marchio d’infamia. Invece della “lettera scarlatta”, la famigerata A (per “adultera”), dell’immorale romanzo di Hawthorne, avremo una “N” per “negazionista” e magari pure un simbolino? Possibile che la storia non insegni?
Basti pensare che negli stessi giorni giunge la notizia, ancora più preoccupante, che un rappresentante triestino del partito neofascista di Giorgia Meloni, tale Walter Rizzetto, ha avanzato una proposta di legge, così intitolata: “Nuove misure per punire il negazionismo e attribuzione alle associazioni di esuli Fiumani, Istriani e Dalmati di un ruolo primario per difendere la storia del confine orientale”, proposta sottoscritta da tutti i suoi sodali del Gruppo parlamentare. Ad abundantiam, Rizzetto ha dichiarato:
Chiediamo che le associazioni di esuli siano interpellate dagli enti locali prima di autorizzare o concedere spazi per lo svolgimento di eventi sulle foibe, e che siano le sole ad essere coinvolte nell’elaborazione dei piani di formazione ed insegnamento nelle scuole, per garantire una testimonianza autentica di quegli accadimenti per troppo tempo occultati. Ciò anche allo scopo di estromettere enti e soggetti che in passato, nell’intraprendere tali iniziative sulle foibe, hanno rappresentato quei tragici fatti in modo distorto per meri fini politici. Chiediamo inoltre una modifica al codice penale affinché sia previsto specificamente come reato l’apologia e negazione degli eccidi delle foibe.
La proposta di legge, a tal fine, chiede la variazione dell’Art. 604-bis, terzo comma, del Codice Penale, con l’inserimento accanto all’apologia della Shoah, quella “dei massacri delle foibe”. Ecco appunto si arriva al cuore della questione: punire il negazionismo o il riduzionismo o la banalizzazione della Shoah, apre la strada ad altri analoghi divieti, che presumibilmente cresceranno, e nondimeno potranno cambiare in base alle maggioranze politiche.
Ecco, quindi, la storia governativa, degna dei peggiori regimi dittatoriali.
Tutto questo non fa risonare un campanello d’allarme? La comunità intellettuale, a cominciare da quella degli storici, non ritiene di avere nulla da dire?
30 gennaio 2020
(*) ripreso da Micromega
(**) https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/storia/Analisi_1580935674.htm con la risposta di Claudia Cernigoi al sindaco di Pistoia




La questione foibe e la verità di Stato
di Angelo D’Orsi (***)
Ho voluto attendere che il 10 febbraio fosse alle nostre spalle, prima di scriverne. Sapevo ovviamente che la “questione foibe” sarebbe ritornata puntualmente, come ogni anno, all’onore (o meglio al disonore) delle cronache. Sapevo che come per il Venezuela, come per il Tav (solo per fare due esempi), si sarebbe verificato il bombardamento mediatico-politico, e le tifoserie si sarebbero eccitate, scendendo in campo, ma a differenza di questi due esempi, in cui comunque i due campi hanno la possibilità di esprimersi, sia pure con uno dei due svantaggiato dalla schiacciante forza del mainstream, per “le foibe” la sproporzione è immensa: si tratta di un’autentica “guerra ineguale”.
La narrazione delle foibe, mendace e infondata, anticomunista “a prescindere”, è divenuta, in quest’anno di grazia 2019, verità di Stato, con tanto di sanzioni per coloro che se ne distacchino. La situazione è stata aggravata dalla convergenza tra opinionisti (che di regola non sanno nulla di ciò su cui opinano) e politici (i quali prescindono completamente dalla verità). E a dispetto dei risultati della ricerca storica seria, che ha certificato qualche centinaio di infoibati, spesso semplicemente cadaveri (vittime “naturali” della guerra, ma anche persone giustiziate) che sono stati gettati in quelle cavità per ragioni di “praticità” in tempi difficili, dove non c’era spesso modo né tempo di dare degna sepoltura ai morti.
Certo vi sono stati italiani trucidati, e infoibati, ma dobbiamo tener conto del contesto, e soprattutto stiamo parlando di cifre che sono davvero imparagonabili alle migliaia e decine di migliaia di cui il discorso che si è imposto parla senza alcun fondamento. Ma tant’è.
Si è andata costruendo, in sintesi, nel corso degli anni, una verità “politica” sulla questione, in un processo avviato una quarantina di anni or sono, in televisione, e portato avanti nelle aule parlamentari, processo che ebbe il suo crisma di ufficialità con l’istituzione della “Giornata del ricordo” nel 2004, Berlusconi regnante. Quella decisione, tuttavia, fu bipartisan, e da allora il cosiddetto centrosinistra non ha compiuto il minimo sforzo di differenziazione rispetto alla narrazione che era stata alla base di quella legge, e che a partire da quel momento diventò appunto “ufficiale”, per poi trasformarsi in una sorta di dogmatica rispetto alla quale ogni contestazione, anche limitatamente alle cifre o alle date, correva il rischio di essere bollata come eresia.
Che è precisamente ciò che si è verificato in questo 2019, con la manganellesca esternazione dell’onnipresente ministro Salvini, aduso ad ogni travestimento e a tutte le incombenze, anche quelle che nulla hanno a che fare col ruolo istituzionale, a cui del resto è poco interessato, comportandosi semplicemente da capopartito. A lui si sono accodati immediatamente un po’ tutti i rappresentanti dell’arco ufficiale della politica nazionale, da Giorgia Meloni ad Antonio Tajani, da Pietro Grasso a Nicola Zingaretti, fino al Presidente della Repubblica, ormai divenuto portatore di uno stile interventista che nei primi anni del mandato appariva in ombra: egli ha lodato, sintomaticamente, il suo predecessore Napolitano, il quale aveva provocato con certe dichiarazioni una crisi diplomatica con la Croazia, qualche anno fa. Mattarella, con gesto non si sa se machiavellicamente studiato o semplicemente irresponsabile, non solo ha mostrato di sposare in toto le panzane dei pasdaran dell’“operazione foibe”, ma ha tuonato, sia pure mellifluamente, contro i portatori di qualsiasi forma di “negazionismo” e di “riduzionismo”. E sotto tali fattispecie vengono collocati i tentativi, per quanto pacati e documentati, di inserire le vicende del Confine nordorientale nel contesto proprio: ossia l’occupazione fascista di quelle terre, la politica sterminazionista delle truppe italiane ai danni degli abitanti, la scia di odio e di risentimento che essa ha lasciato.
Analoghe parole venivano intanto proferite dal sullodato Salvini, sia pure con altro tono e in contesto espressivo di ben diversa aggressività (“ i negazionisti mi fanno schifo” e via vomitando ingiurie), mentre Giorgia Meloni si esibiva in una conferenza davanti alla videocamera da diffondere via Facebook, raccontando, da nota studiosa di storia (!), la “verità sulla foiba di Basovizza”.
Quanto a Tajani, presidente del Parlamento Europeo, ricuperava agilmente il paragone foibe-lager nazisti, e non solo ribadiva quelle pseudo-verità come fatti incontrovertibili, ma si spingeva, con un straordinario esempio di stoltezza politica, a rivendicare all’Italia Fiume e la Dalmazia. Parole che hanno provocato l’ira dei governanti sloveni e croati. Qui non si tratta delle ombre residue delle due guerre mondiali, ma del possibile, sciagurato, non si sa quanto involontario, preavviso di una nuova guerra.
In tale clima, determinato dalla nuova santa alleanza dei costruttori della menzogna che si riassume nella parola “foiba”, si è diffuso un clima di caccia alle streghe che quest’anno si è materializzato con aggressioni fisiche, verbali, denunce, dichiarazioni di incompetenti spacciati per esperti, i quali non possono evitare l’urlo sguaiato. E chi non si allinea, viene bollato con l’etichetta di “negazionista”. Strano destino quello della parola: da fase suprema del revisionismo, che si spinge a negare l’esistenza delle camere a gas nei lager nazisti e lo stesso progetto di sterminio del popolo ebraico e degli altri “sottoumani” internati. Ora la parola viene derubricata, con una perdita di senso e di valore rispetto alla quale la prudenza sarebbe obbligatoria. E Salvini, di scempiaggine in scempiaggine, è riuscito a dire, con sfrontatezza, “i bimbi di Auschwitz e quelli delle foibe sono uguali”… Parole che hanno suscitato una vibrata protesta di un grande scrittore testimone ebreo slavo e cosmopolita come Boris Pahor.
Certo, anche se pochi, gli studiosi e le studiose professionali di questo tema esistono, ma o si lasciano condizionare dal senso comune (qualcuno in relazione alla famigerata “foiba di Basovizza”, dove cadaveri non sono stati ritrovati, è riuscito a dire che comunque si potrebbero trovare, che è difficile trovarli, e così via: come dire, che non essendoci documenti su di un fatto storico, noi lo ricostruiamo come ci piace, dicendo che comunque le prove si potrebbero trovare…); oppure si cerca di toglier loro la parola, ed è ciò che è capitato a Claudia Cernigoi, che è stata crocifissa, le è stato letteralmente impedito di parlare: in particolare segnalo il caso vergognoso del sindaco di Cologno Monzese e del presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, i quali hanno aggredito colei che, accanto ad Alessandra Kersevan e a Sandi Volk, è a mia conoscenza probabilmente la sola vera studiosa delle foibe. Evidentemente non è questo il tempo di lasciare la parola a chi sa. È invece il tempo degli urlatori, dei demagoghi, dei veri propalatori di false verità. Ma ciò che atterrisce è che stiamo assistendo non solo alla trasformazione della menzogna in verità, ma alla sua istituzionalizzazione.
A maggior ragione, occorre che la comunità intellettuale, in primo luogo quella dei cultori della musa Clio, si stringa intorno a quei pochi, che impavidi, anche se assediati, resistono in difesa della verità storica.
(***) pubblicato il 13 febbraio 2019 su Micromega


Considerazioni di Gigi Bettol
Manca poco al Giorno del Ricordo, pendant revisionistico della Giornata della Memoria (27 gennaio 1945, giorno della liberazione dei superstiti del più grande campo di sterminio, Auschwitz, da parte dell’Armata rossa sovietica) e riprende la rivendicazione di ogni anfratto promosso a “foiba”, in cui sia stato giustiziato un fascista genocida oppure una spia prezzolata, alleati e servi dei nazisti hitleriani.
Di questo passo, temiamo che presto chi rivendica le radici resistenziali della Repubblica Italiana finirà per essere perseguitato per antifascismo. Colpa di ex comunisti staliniani come Giorgio Napolitano, diventati opportunisticamente nazionalisti antislavi, usi a farsi perdonare concedendo medaglie alla memoria di giovani fasciste, come Norma Cossetto.
Sulla vicenda dell’ennesima foiba “scoperta” dalla destra nostalgica, quella del monte Ciaurlec – prima base e matrice della lotta armata partigiana del Friuli occidentale e centrale – pubblichiamo l’articolo della presidente dell’ANPI dello Spilimberghese, Bianca Miniguttihttp://www.storiastoriepn.it/raccontiamola-tutta-la-storia-della-foiba-fous-di-balanceta/
(per un inquadramento della vicenda della Resistenza spilimberghese, cfr. http://www.storiastoriepn.it/davour-la-mont-culla-della-resistenza-nel-friuli-occidentale/)
Sulla sconcertante vicenda del vicino comune di Cavasso Nuovo, medaglia d’argento della Resistenza “a sua insaputa”, consigliamo gli articoli di Renzo Della Valentina: http://www.storiastoriepn.it/?s=Renzo+Della+Valentina
Sull’inquadramento storiografico della vicenda del “confine orientale” d’Italia, pubblichiamo una lunga recensione dello storico Marco Puppini alla seconda edizione del triestino “Vademecum della Giornata del Ricordo”: http://www.storiastoriepn.it/vademecum-dellistituto-per-la-storia-del-movimento-di-liberazione-per-il-giorno-del-ricordo-un-commento/
E per concludere, per ridare dignità alla Storia e fustigare (civilmente!) ogni nostalgico, un’antologia fotografica sulla “civiltà” italica nelle terre jugoslavehttp://www.storiastoriepn.it/documenti-sui-crimini-italiani-e-germanici-in-jugoslavia-durante-la-seconda-guerra-mondiale/


In bottega cfr «Operazione Plutone». Le inchieste sulle foibe triestine (sul libro di Claudia Cernigoi)31 luglio (1942) e dintorni: i falsi sulle foibe (di Piero Purini con la collaborazione del gruppo di lavoro «Nicoletta Bourbaki») , Foibe e pensiero unico e «E le foibe?»: censurati gli storici contro il revisionismo neofascista


Nessun commento:

Posta un commento