Alcuni anni
fa, a Merano, in una libreria di lingua tedesca sfogliai un libro interamente
dedicato ad Astrid Lindgren. Un volume costoso, di grandi dimensioni, di
centinaia di pagine, corredato da bellissime foto documentarie. Sfogliandolo,
saltava fuori (anche) l’immagine di una signora anziana, male in arnese,
vestita come capita, con un volto inquietante, due occhi un po’ folli, tutte le
rughe in bella vista: una vecchiaia dichiarata, uno sguardo e un tipo di
aspetto che in Italia non è molto frequentato in libri, riviste, film, in cui
la rappresentazione del femminile continua a essere soggetta a stereotipi
evidenti: addomesticata, rassicurante, familiare, definita da una chiara
preoccupazione di accettabilità e piacevolezza che esclude elementi di
disturbo, di realtà dissonanti.
Questo
libro, in seguito, in Italia non è stato pubblicato, e a mio avviso l’assenza
di un’edizione italiana della biografia di Astrid Lindgren non è da attribuirsi
al caso. Se da noi Astrid Lindgren è accettabile come ‘mamma di Pippi’, al
contrario come figura tout court, da conoscere e approfondire,
porta con sé una fisionomia che il mercato e il costume ancora non assorbono,
fra indifferenza e diffidenza. In poche parole, è ancora un corpo estraneo, una
figura troppo distante e aliena per essere metabolizzata.
Diverso è il
destino del suo personaggio più noto, Pippi Calzelunghe, reso globalmente
celebre dall’omonima e bella serie televisiva, in onda dal 1969, esportata ai
quattro angoli del pianeta e diretta da Olle Hellbom, amico fraterno di Astrid,
regista che girò 17 fra film e telefilm tratti dai libri della scrittrice.
Come
Pinocchio, Alice, Harry Potter –, a Pippi, ovvero Pippilotta Viktualia
Rullgardina Krusmynta Efraimsdotter Långstrump (tradotto Pippilotta Viktualia
Rullgardina Succiamenta Efraimsilla Calzelunghe) toccò in sorte una
fraterna intimità con milioni di bambini e ragazzi, finendo per vivere di vita
propria e diventando più famosa della sua creatrice. L'opera della Lindgren,
infatti, fu quasi oscurata dalle sue avventure: vero asso pigliatutto, proprio
come lo è Pippi personaggio, inesauribile, spiazzante, costantemente al centro
dell'attenzione.
Nata nel
1941, Pippi deve nome ed esistenza alla fantasia di una bambina di sette anni,
Karin, figlia della Lindgren, che, a letto per una polmonite, chiese alla madre
di raccontarle la storia di Pippi Calzelunghe. Fu, dunque, Karin a inventare il
nome geniale. Ma tutto il resto è opera di Astrid e da lei fu scritto nel 1944,
dopo che, costretta all’immobilità a causa di una caduta sul ghiaccio, trovò il
tempo per trascrivere le storie che aveva raccontato alla figlia, pubblicate
poi nel 1945. Parlando di Pippi, Karin, ormai adulta, racconta di essersi
sempre identificata più che con la protagonista, - troppo diversa da lei, così
forte, coraggiosa, ribalda -, con Tommy e Annika, i fratellini amici di Pippi.
Questa
osservazione che potrebbe sembrare marginale mette in luce un aspetto
fondamentale delle avventure costruite intorno alla esplosiva identità di
Pippi. Astrid Lindgren che come molti autori per ragazzi ha potuto contare su
una conoscenza sottilissima dell’infanzia, una sorta di orecchio assoluto per i
bambini, ha composto una partitura narrativa pressoché perfetta, che orchestra
in un corpo coerente armonie e dissonanze, contrasti e accordi, differenze e
analogie, simmetrie e asimmetrie.
A fare da
contraltare alla natura selvaggia e anticonformista di Pippi ci sono, appunto,
Tommy e Annika che sono l’immagine stessa della domesticità e della normalità.
La scombinata famiglia di Pippi è controbilanciata dalla tradizionalissima
famiglia Settergren: opposto al pirata Efraim Calzelunghe, capitano della
Saltamatta e re dell'isola di Taka Tuka, è l’affidabile avvocato Settergren.
All’assenza di madre di Pippi, orfana, fa da contrappunto l’apprensivissima
signora Settergren. L’autonomia e il ribellismo di Pippi sono l’altra faccia
dell’ubbidienza e della mitezza di Tommy e Annika. A Villa Villacolle, casa
scalena e sghimbescia quante altre mai, che vive fra alterne vicende di caos
abissali e bizzarre pulizie, è contrapposta la linda casetta di Tommy e Annika,
in cui la routine quotidiana è scandita dall’ordine più rassicurante,
prevedibile e rigoroso. Alla nordicissima cittadina di Visby fa riscontro la
tropicale isola di Taka Tuka. Insomma, una architettura infallibile per sedurre
qualsiasi bambino o bambina, fra bisogno di trasgressione e necessità di sicurezza,
scatenata immaginazione e sano realismo, libertà sconfinata e senso del limite,
burbera selvatichezza ed educata urbanità, rischiosa avventura e confortevole
abitudine, anarchismo sfrenato e rispetto delle regole, umorismo e serietà,
follia del rischio e senso di responsabilità.
Astrid
Lindgren spiegò in diverse occasioni che il giacimento a cui attinse per tutta
la vita i suoi personaggi e le sue storie fu l'infanzia con la sua grande
famiglia, nella fattoria di Näs, a Vimmerby, nella contea dello Småland, di
proprietà dei genitori, dove nacque nel 1907, e crebbe con i suoi fratelli
rispettata e amata, con mansioni, compiti e doveri precisi, ma anche con la
possibilità di godere di tutta la libertà del gioco in un ambiente naturale che
dai suoi ricordi risulta un paradiso terrestre. Una proprietà, quella di Näs, a
cui la scrittrice fu legatissima, di cui si prese cura per tutta la vita, e in
cui non più bambina, trascorse lunghi periodi di vacanza insieme ai fratelli,
alle sorelle, ai figli e ai nipoti. È in questo terreno la radice prima
dell’immaginario della scrittrice. Una esperienza che permette di trarre da
dimensioni apparentemente contraddittorie le energie vitali, l’intelligenza, lo
spazio mentale per condurre un’esistenza propizia alla crescita, all’infanzia,
ma anche all’età adulta. In una parola, alla felicità.
Come tutti i
personaggi della Lindgren, Pippi è uno specchio fedele della psicologia
infantile. Dotata di un istinto infallibile nei confronti del male e
dell'ingiustizia, più di tutto ama ridere, ma sa anche mutarsi senza imbarazzo
in giudice impietosa e severa. La contraddistingue una capacità mercuriale di
cambiamento: attraversa e manifesta gli stati d'animo più diversi, vivendo
emozioni cangianti, per nulla preoccupata di doversi mostrare coerente. Dalla
gioia alla rabbia, dal coraggio alla paura, dalla serietà alla sfrenatezza, dal
piacere al disgusto, in pochi istanti. Con la levità di una provetta meditante
si abbandona al flusso della vita senza temerne le conseguenze, spinta da una
curiosità divorante, fortemente ancorata all'essenza delle cose, capace di
vivere nel presente con naturalezza, concretezza, intensità, senza tradirsi,
senza soccombere alle convenzioni, alle circostanze.
Allo stesso
tempo, tuttavia, Pippi, è poco infantile. Dei bambini le manca la timidezza, il
pudore, i mille timori, i dubbi, l'insicurezza, la fragilità. In alcuni episodi
del libro sappiamo che con la signora Settergren, Pippi contratta direttamente
il permesso perché i figli possano stare con lei. Permesso sempre accordato,
perché questa madre ansiosa si fida ciecamente della bambina apparentemente più
irresponsabile della Terra.
Dagli
adulti, Pippi, spesso dopo aver dato prova della propria personalità, è
trattata da pari. Al contrario degli altri bambini, infatti, possiede tutto il
potere e le abilità degli adulti. È forte fisicamente e intellettualmente (una
forza spropositata, maggiore di quella del padre pirata), è autonoma, non teme
la solitudine, non ha bisogno di essere accudita, è abilissima in ogni faccenda
pratica, sa cucinare, fare regali meravigliosi, inventare giochi, eseguire
riparazioni domestiche, prendersi cura degli animali, tenere testa a prepotenti
di ogni sorta, combattere soprusi, remare, camminare sui tetti, fare la spesa
eccetera. Pippi è una sorta di super eroe. Ma è un supereroe atipico
perché è piccola e femmina. Una corrente di magia attraversa le sue membra: è
quella che le fa sollevare un cavallo, o la fa conversare alla pari con alberi
e animali (per esempio con il brocco Zietto e la scimmietta signor Nilsson).
Dunque è anche fata o, forse, meglio, dea: una dea protettrice dell'infanzia. I
bambini (che la frequentino da lettori o da coprotagonisti) sono legati a lei
da un patto di reciproca fiducia: sono liberi di essere quello che sono perché
si sentono compresi, sicuri e amati. Insieme a lei scoprono di poter fare da
soli, di essere capaci di reggersi sulle proprie gambe. Come spiega Pippi a suo
padre: «Il giorno in cui mi capiterà di sentire che un bambino si rattrista
all'idea di arrangiarsi da solo, senza l'intrusione dei grandi, giuro che
imparerò l'intera tavola piragotica all'inverso.»
È di qualche
mese fa la notizia che in questo 2020, in occasione dei suoi 75 anni, uscirà un
film dedicato a Pippi, realizzato in collaborazione fra la Fondazione Lindgren
e il produttore di Harry Potter, David Heyman. Inoltre, da qualche giorno Save
The Children, in collaborazione con Astrid Lindgren Company, ha inaugurato la
campagna Pippi of
Today voluta per sensibilizzare l’opinione pubblica sul
tema delle ragazze migranti, oggi più che mai esposte a violenza e
sfruttamento, abusi sessuali e matrimoni precoci, sfide e pericoli.
Una cosa
importante restituire Pippi ai bambini e agli adulti del nostro tempo, perché
l’infanzia di oggi, che sia abbandonata o accudita, povera o benestante, più
che mai ha bisogno della profonda lungimiranza di questo personaggio e di
quella della sua autrice.
Come la gran
parte delle bambine della mia generazione ho conosciuto Pippi, attraverso la
serie televisiva. Al libro, ai libri della Lindgren, sono arrivata dai
telefilm. Pippi, nei libri e nei film, ci ammaliava. Con “ci” intendo me e mia
sorella, dato che la nostra è stata un’infanzia totalmente condivisa. Figlie di
progressisti illuminati e illuministi, siamo state educate in un clima
libertario, secondo i dettami di una pedagogia aperta e nuova. Leggevamo i libri
e gli autori più moderni, gran parte dei classici per ragazzi ci erano
preclusi: ritenuti retrogradi, reazionari, tristi, con il loro corredo di
disgrazie, orfanezze, lutti. Pippi era l’unica orfana che ci era consentita.
Era orfana, sì, ma in seconda battuta. In prima, era emancipata, libera,
rivoluzionaria. Per due ragazzine che invece degli scout frequentavano i Centri
Rousseau, centri vacanze ispirati alle idee del grande Jean Jacques, da cui i
bambini tornavano a casa inselvatichiti e ribelli, Pippi era una sorella, più
che un sogno, un modello, un obiettivo da raggiungere. Noi vivevamo sugli
alberi, allevavamo animali di tutti i tipi, ci vestivamo da maschi,
confezionavamo filtri magici, per i nostri giochi ci costruivamo lance e
capanne, mettevamo in piedi spettacoli circensi e fondavamo circoli ecologici.
Non abbiamo mai frequentato un’ora di religione in vita nostra, dalle
elementari al liceo. Eravamo invitate a esprimerci e a essere creative. A
essere pienamente ‘noi stesse’.
Allora,
cos’era ad affascinarci in questa figlia di pirata dalle trecce orizzontali?
Non la libertà, ne avevamo abbastanza della nostra, che confinava, a volte, con
la solitudine. Non la trasgressione: trasgressive lo eravamo non per scelta, ma
per educazione. Pippi, nella sua meravigliosa Villa Villacolle, ci indicava,
semplicemente, una possibilità, una via d’uscita. Pippi, ci rassicurava. Ci
diceva che la diversità, minacciosa, perché penalizzata, nel nostro mondo, era
possibile. Poteva addirittura trasformarsi in autonomia, in felicità, in forza
(la prodigiosa forza fisica di Pippi). Noi eravamo ragazzine selvatiche ed
eccentriche, sì, ma timidissime, impaurite da un mondo che, ovviamente,
percepivamo “altro”. Vivevamo anche noi, in realtà, in un recinto costruito da
adulti, come i bambini allevati nella pedagogia tradizionale da genitori
“autoritari”. Pippi ci infondeva coraggio. Ci faceva ridere, ma ci piaceva per
come sapeva essere seria e inflessibile, severa nel far trionfare la giustizia
e la verità. Ci spiegava, con le sue regole tutte al contrario, che avere
principi e rispettarli è importante. Che, in assenza di appoggi sicuri, si può
crescere con le proprie forze. In Italia, questo è ancora un messaggio
dirompente.
In questo
paese, dove l’antico culto della famiglia ha assunto l’aspetto inquietante di
una narcisistica simbiosi fra nonni, genitori, figli e nipoti, Astrid Lindgren
è un’eretica. Ai bambini e agli adulti, con nordico rigore, segnala una presa
di distanza, una assunzione di responsabilità: quelle necessarie a diventare
persone serie, forti e felici.
(Questo
articolo contiene alcuni passi rielaborati tratti da Astrid
Lindgren. Una dea per l’infanzia, Doppiozero 16 febbraio 2016, e
da Astrid l’eretica, in Per Astrid, Giannino Stoppani
edizioni, 2007)
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