Qualche giorno fa l’ISPI ha
pubblicato questi dati sul Niger:
Fonte: ISPI
Da questi dati risulta chiaro che pur usufruendo della quantità maggiore di
aiuti da parte dell’EU Trust Fund, in Niger la ricaduta degli aiuti sulla
popolazione è scarsissima se non nulla: il 70% della gente vive in baracche e
dal 2018 al 2019 il tasso di reati violenti (indice di malessere sociale e
scarsissima qualità della vita) è aumentato del 40%.
Quindi quell’aiuto “a casa loro” non produce risultati sulla qualità della
vita dei nigerini.
Sarebbe poi interessante capire come mai il Niger è il primo destinatario
di aiuti europei, di certo sappiamo che accetta che vengano rimpatriati
dall’Europa sul proprio territorio migranti anche di altre nazionalità, lecito
quindi pensare che alla base ci sia la politica di esternalizzazione dei
confini, la stessa che ha permesso la delibera di 6 miliardi di euro di aiuti
alla Turchia.
Quali sono gli effetti degli aiuti alla Turchia? L’invasione del nord della
Siria per creare una zona cuscinetto dove collocare i siriani attualmente
rinchiusi nei campi profughi turchi, per la verità non è l’unica ragione
dell’invasione turca, ma certamente una delle ragioni.
La scarsa efficacia degli aiuti “a pioggia” gestiti a livello governativo è
nota, anche quando si tratta di aiuti materiali (anche medicinali quindi), che
spesso invece che venire distribuiti, vengono venduti a mercato nero.
Ecco che, per quanto riguarda una reale ricaduta sulle popolazioni, sono
ben più efficaci gli aiuti delle “famigerate” ONG, che creando micro progetti
sul posto (anche ospedali o presidi sanitari) riescono ad operare in modo
efficace.
Quindi la retorica dell’aiuto a casa loro non funziona, salvo poi il fatto
che chi la utilizza, una volta al governo, taglia significativamente i fondi
destinati agli aiuti.
Impossibile però pensare ad una collaborazione tra stati e ONG, sarebbe
troppo lungimirante.
Tuttavia si può cominciare con l’individuare i due principali problemi dei
paesi disagiati: il lavoro e l’istruzione, che poi sono strettamente correlati.
Ecco che da parte dell’Europa e non solo, occorrerebbe creare dei progetti
di scolarizzazione e posti di lavoro: lavoro disciplinato, non sfruttamento,
non scordiamo che l’OIL (Organizzazione
Internazionale del Lavoro), organismo delle Nazioni Unite, disciplina a livello
internazionale i diritti del lavoratore e che la Convenzione ONU sui
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza lo fa per quanto riguarda il lavoro
minorile, che sappiamo essere molto diffuso in quei Paesi.
Certo occorrerebbe anche un attento monitoraggio sull’operato delle
multinazionali, ma conosciamo tutti la capacita di questi colossi di fare lobby
e quindi di influenzare e “dirigere” le politiche.
La Banca Mondiale, non certo una cellula comunista
combattente, stima che entro il 2050 ci saranno 143 milioni di profughi
ambientali, lecito quindi pensare che un buon modo di aiutarli a casa
loro non sia continuare a deteriorare il clima obbligandoli ad emigrare, ma chi
usa questo abbietto slogan nega l’esistenza di un’emergenza climatica.
Insomma: i detrattori dell’immigrazione dovrebbero per primi sollecitare
seri progetti (in collaborazione con le ONG) con efficaci ricadute sulla
popolazione e politiche molto efficaci che contrastino l’emergenza climatica.
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