Idlib non
deve cadere: gli americani stavolta sono d’accordo, e in modo mai così
esplicito, con Erdogan. «La Turchia ha diritto a difendere i suoi interessi in
Siria e gli Usa sostengono sempre un alleato Nato»: così ha detto anche alla tv
turca Ntv James Jeffrey, inviato speciale per la Siria.
Nel
triangolo Usa-Turchia-Russia per la divisione delle zone di influenza,
Washington, a quanto pare, ha deciso di sparigliare inserendosi nelle crepe
sempre più evidenti di quel dialogo tra Mosca e Ankara su cui sembravano
reggersi le sorti di vasto un arco strategico che va dalla Siria alla Libia.
Una mossa
americana da leggere in chiave anti-russa ma soprattutto anti-Iran, l’alleato
storico di Assad che dopo l’uccisione in Iraq da parte degli Usa del generale
Qassem Soleimani e l’avanzata dell’esercito siriano nel Nord sta rafforzando la
sua presenza in appoggio al regime baathista.
A Idlib si
combatte quella che potrebbe essere l’ultima grande battaglia dell’agonia
siriana o la prima di un conflitto più ampio che opponendo la Turchia ad Assad,
quindi a Mosca e a Teheran, si riverbera dal Medio Oriente alla Libia e oltre. Gli
Stati Uniti, già presenti con le loro truppe, tornano adesso, dopo il
disastroso ritiro dal Rojava in ottobre, nel cuore della partita siriana
appoggiando quella Turchia che in questi anni ha giocato in maniera spericolata
le sue carte, prima sostenendo la rivolta contro Assad dei Fratelli Musulmani e
dei jihadisti, poi tra Mosca e l’Occidente, stringendo accordi con i russi –
bellici (S-400), economici (Turkstream) e diplomatici (Astana) – quindi
intervenendo militarmente con tre grandi operazioni contro i curdi (agosto
2016, gennaio 2018 e ottobre 2019), infine manovrando i jihadisti siriani per
inviarli nel quadrante libico. Idlib è l’epicentro non solo di una battaglia ma
anche di una crisi umanitaria di grandi dimensioni che comprende giganteschi spostamenti
di popolazioni dentro e fuori la Siria e una sorta di pulizia etnica che
coinvolge entrambi i fronti di guerra.
Questo è in
fondo l’obiettivo ultimo del conflitto siriano: una ricomposizione demografica
dove la Turchia vuole sostituire con gli arabi sunniti i curdi siriani nei
territori strappati al Rojava mentre Assad intende diminuire il peso della
componente sunnita maggioritaria che aveva innescato la rivolta del 2011.
L’idea di
Erdogan – che «ospita» 3,5 milioni di rifugiati siriani – esposta a Trump ma
anche all’Unione europea, è di ricollocare dentro al confine siriano un milione
di rifugiati arabi che dovrebbero rimpiazzare i curdi. Tra questi i jihadisti
armati da Ankara. La cancelliera Merkel ha già aderito alla richiesta di
Erdogan di co-finanziare 10mila alloggi ma nessuno qui ha detto una parola.
Ecco dove è finita la solidarietà ai curdi siriani, maggiori alleati nella
lotta contro l’Isis, di un’Europa che dopo il massacro a opera dei turchi nel
Rojava prometteva di imporre sanzioni ad Ankara.
E tutto
questo è avvenuto mentre la Turchia ha spostato circa 2mila jihadisti dalla
Siria alla Libia per sostenere Tripoli contro il generale Haftar appoggiato da
Mosca. Ecco perché gli accordi sulla tregua in Libia sono fragili, benché
appena sanzionati dal Consiglio di Sicurezza Onu con l’astensione proprio di
Mosca. Prima della guerra nella provincia di Idlib vivevano un milione di
persone, ora sono oltre tre milioni con 600 mila di profughi ammassati in campi
di raccolta e tendopoli di fortuna: in questa area negli ultimi tre anni di
guerra sono confluiti siriani provenienti da ogni parte del Paese e Idlib è
diventata la roccaforte dell’ex fronte al Nusra affiliato ad Al Qaida, insieme
ad altri gruppi ribelli che obbediscono a Erdogan.
Finora il
gioco delle parti tra Putin ed Erdogan aveva retto, dopo che Mosca e Ankara
erano arrivati nell’autunno del 2015 sull’orlo del conflitto per l’abbattimento
di un caccia su Sukhoi. Pur di mantenere in sella Assad, la Russia era giunta
ad accordi con la Turchia e per oltre due anni questa strana alleanza ha
funzionato, messa alla prova anche dal ritiro americano dal Nord della Siria
che aveva lasciato campo libero ai turchi per massacrare i curdi siriani. La
Russia quindi è intervenuta insieme alle truppe siriane per contenere
l’avanzata turca nel Rojava limitando la “fascia di sicurezza” di Ankara.
Da qualche
giorno è esplosa l’escalation degli scontri tra turchi e siriani.
Putin è
furibondo perché Erdogan non rispetta i patti per l’evacuazione da Idlib di ribelli
e jihadisti e la riapertura delle autostrade che collegano Damasco ad Aleppo e
all’area costiera. Anzi la Turchia ha inviato in queste settimane truppe e
rifornimenti. Ankara è inferocita perché la truppe siriane stanno prendono di
mira oltre ai ribelli anche i militari turchi. Così adesso gli americani hanno
preso posizione a favore di Erdogan – che ha consegnato la pelle di Al Baghadi
a Trump in cambio del Rojava – e quindi anche dei qaidisti di Idlib: alla
faccia della guerra al terrorismo e dei curdi siriani che hanno combattuto
l’Isis e i jihadisti.
Nessun commento:
Posta un commento