sabato 22 febbraio 2020

Idlib non deve cadere. Al via la cacciata dei curdi - Alberto Negri




Idlib non deve cadere: gli americani stavolta sono d’accordo, e in modo mai così esplicito, con Erdogan. «La Turchia ha diritto a difendere i suoi interessi in Siria e gli Usa sostengono sempre un alleato Nato»: così ha detto anche alla tv turca Ntv James Jeffrey, inviato speciale per la Siria.
Nel triangolo Usa-Turchia-Russia per la divisione delle zone di influenza, Washington, a quanto pare, ha deciso di sparigliare inserendosi nelle crepe sempre più evidenti di quel dialogo tra Mosca e Ankara su cui sembravano reggersi le sorti di vasto un arco strategico che va dalla Siria alla Libia.
Una mossa americana da leggere in chiave anti-russa ma soprattutto anti-Iran, l’alleato storico di Assad che dopo l’uccisione in Iraq da parte degli Usa del generale Qassem Soleimani e l’avanzata dell’esercito siriano nel Nord sta rafforzando la sua presenza in appoggio al regime baathista.
A Idlib si combatte quella che potrebbe essere l’ultima grande battaglia dell’agonia siriana o la prima di un conflitto più ampio che opponendo la Turchia ad Assad, quindi a Mosca e a Teheran, si riverbera dal Medio Oriente alla Libia e oltre. Gli Stati Uniti, già presenti con le loro truppe, tornano adesso, dopo il disastroso ritiro dal Rojava in ottobre, nel cuore della partita siriana appoggiando quella Turchia che in questi anni ha giocato in maniera spericolata le sue carte, prima sostenendo la rivolta contro Assad dei Fratelli Musulmani e dei jihadisti, poi tra Mosca e l’Occidente, stringendo accordi con i russi – bellici (S-400), economici (Turkstream) e diplomatici (Astana) – quindi intervenendo militarmente con tre grandi operazioni contro i curdi (agosto 2016, gennaio 2018 e ottobre 2019), infine manovrando i jihadisti siriani per inviarli nel quadrante libico. Idlib è l’epicentro non solo di una battaglia ma anche di una crisi umanitaria di grandi dimensioni che comprende giganteschi spostamenti di popolazioni dentro e fuori la Siria e una sorta di pulizia etnica che coinvolge entrambi i fronti di guerra.
Questo è in fondo l’obiettivo ultimo del conflitto siriano: una ricomposizione demografica dove la Turchia vuole sostituire con gli arabi sunniti i curdi siriani nei territori strappati al Rojava mentre Assad intende diminuire il peso della componente sunnita maggioritaria che aveva innescato la rivolta del 2011.
L’idea di Erdogan – che «ospita» 3,5 milioni di rifugiati siriani – esposta a Trump ma anche all’Unione europea, è di ricollocare dentro al confine siriano un milione di rifugiati arabi che dovrebbero rimpiazzare i curdi. Tra questi i jihadisti armati da Ankara. La cancelliera Merkel ha già aderito alla richiesta di Erdogan di co-finanziare 10mila alloggi ma nessuno qui ha detto una parola. Ecco dove è finita la solidarietà ai curdi siriani, maggiori alleati nella lotta contro l’Isis, di un’Europa che dopo il massacro a opera dei turchi nel Rojava prometteva di imporre sanzioni ad Ankara.
E tutto questo è avvenuto mentre la Turchia ha spostato circa 2mila jihadisti dalla Siria alla Libia per sostenere Tripoli contro il generale Haftar appoggiato da Mosca. Ecco perché gli accordi sulla tregua in Libia sono fragili, benché appena sanzionati dal Consiglio di Sicurezza Onu con l’astensione proprio di Mosca. Prima della guerra nella provincia di Idlib vivevano un milione di persone, ora sono oltre tre milioni con 600 mila di profughi ammassati in campi di raccolta e tendopoli di fortuna: in questa area negli ultimi tre anni di guerra sono confluiti siriani provenienti da ogni parte del Paese e Idlib è diventata la roccaforte dell’ex fronte al Nusra affiliato ad Al Qaida, insieme ad altri gruppi ribelli che obbediscono a Erdogan.
Finora il gioco delle parti tra Putin ed Erdogan aveva retto, dopo che Mosca e Ankara erano arrivati nell’autunno del 2015 sull’orlo del conflitto per l’abbattimento di un caccia su Sukhoi. Pur di mantenere in sella Assad, la Russia era giunta ad accordi con la Turchia e per oltre due anni questa strana alleanza ha funzionato, messa alla prova anche dal ritiro americano dal Nord della Siria che aveva lasciato campo libero ai turchi per massacrare i curdi siriani. La Russia quindi è intervenuta insieme alle truppe siriane per contenere l’avanzata turca nel Rojava limitando la “fascia di sicurezza” di Ankara.
Da qualche giorno è esplosa l’escalation degli scontri tra turchi e siriani.
Putin è furibondo perché Erdogan non rispetta i patti per l’evacuazione da Idlib di ribelli e jihadisti e la riapertura delle autostrade che collegano Damasco ad Aleppo e all’area costiera. Anzi la Turchia ha inviato in queste settimane truppe e rifornimenti. Ankara è inferocita perché la truppe siriane stanno prendono di mira oltre ai ribelli anche i militari turchi. Così adesso gli americani hanno preso posizione a favore di Erdogan – che ha consegnato la pelle di Al Baghadi a Trump in cambio del Rojava – e quindi anche dei qaidisti di Idlib: alla faccia della guerra al terrorismo e dei curdi siriani che hanno combattuto l’Isis e i jihadisti.

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