«Sono decenni che gli studenti del Sud fanno l’Erasmus
al Nord: ma si chiama emigrazione interna, e non è una libera scelta»: è in
sostanza questa la risposta che dal Mezzogiorno è subito arrivata, sulla rete,
alla prima proposta concreta avanzata dalle Sardine al Governo. Ed è una
risposta giusta, inevitabile. Chiunque conosca la sperequazione di
finanziamento che colpisce gli atenei meridionali non può, in effetti, che
trovare lunare quella proposta: perché essa, implicando una parità che non
esiste, parte da una completa ignoranza dello stato delle cose.
E anche perché, diciamolo con le parole di Christopher
Lasch, scaturisce da una «visione turistica della democrazia»: da una visione,
cioè, che non contempla conflitti, ignora fratture secolari (la “questione
meridionale”, per esempio) e pensa in termini di ottimismo, buoni sentimenti e
comunicazione positiva.
Ancora peggiori, poi, gli esempi con cui le Sardine
hanno spiegato la proposta: «Perché un napoletano non può farsi sei mesi al
Politecnico di Torino e un torinese sei mesi a Napoli o a Palermo per studiare
archeologia, arte, cultura o diritto?». Peggiori perché implicano
l’accettazione e la perpetuazione dei peggiori stereotipi, ormai in parte falsi
e comunque da ribaltare ove siano veri: e cioè una dicotomia tra il Nord votato
all’innovazione tecnologica e un Sud destinato a occuparsi della sua bellezza o
a formare avvocati e pubblici funzionari. O peggio, secondo l’interessata
profezia di Oscar Farinetti, a diventare un grande resort di lusso per ricchi
di tutto l’Occidente.
Ma la domanda che mi faccio è più radicale: perché un
gruppo di giovani evidentemente svegli (alcuni dei quali – come la, peraltro
meridionale, Jasmine Cristallo – vanno dicendo anche cose giuste) quando ha
l’opportunità di dire al Governo cosa cambiare di questo Paese orrendo (e
orrendo soprattutto verso le loro generazioni), tira fuori una simile
sciocchezza, o meglio una simile pochezza?
La risposta sta forse nella affascinante risposta che
le Sardine toscane (elettoralmente schierate con il peggio dello stato delle
cose…) hanno dato a un giornalista della redazione fiorentina di Repubblica che
ha chiesto loro come si ponessero sul tema cruciale delle Grandi Opere: «Non ci
spaccheremo sui temi, non siamo nati per questo, saremo rispettosi. La
posizione del movimento è non avere una posizione sui punti divisivi». Ora, se
non vuoi prendere posizione sui “temi” (ecco già il politichese…), cioè sulle
cose concrete – cose urgenti: come la giustizia sociale, l’eguaglianza, il
diritto allo studio, la difesa dell’ambiente, la sostenibilità … – è difficile
cambiare alcunché: ed è anche difficile fare una qualunque proposta al Governo
che non sia un pensierino edificante che, siccome non vuol dire nulla, non dà
noia a nessuno.
Non è un caso se le Sardine piacciono così tanto al
sistema, all’establishment: perché ce l’hanno (a ragione) con chi da destra
vorrebbe prendere il potere in questo sistema (beninteso, senza cambiarne di
una virgola i rapporti di forza economici), ma non dicono nulla sulle ragioni
per cui la destra ha tutto questo consenso.
Dire che l’università è stata uccisa dall’autonomia
fatta in questo modo, dalla riforma Berlinguer, e poi dalla Moratti e dalla
Gelmini con le loro privatizzazioni e aziendalizzazioni, da un definanziamento
spaventoso al cui perdurare questo stesso Governo ha appena sacrificato un
ministro; e, ancora, dire che se i meridionali devono andare a studiare fuori è
a causa di scelte fatte a tavolino da chi ormai il Sud lo dava per morto: ecco,
dire queste e le altre cose vere che si devono dire, è terribilmente divisivo,
perché mostrerebbe a tutti le responsabilità del mondo che oggi plaude alle Sardine,
cioè quello del vecchio Centrosinistra di governo con il suo apparato
mediatico.
Uno stagno troppo stretto e maleodorante per chi dice
di voler nuotare liberamente.
Care Sardine, non abbiate paura di dire le cose come
stanno: come ha detto un grande rivoluzionario, «la verità vi farà liberi».
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