Ancora una volta mi trovo davanti a questo foglio bianco. Non so più quante volte ho provato a scrivere qualcosa, ma qualsiasi parola mi sembra inadatta, approssimativa, sbagliata. Allora cancello e ricomincio. Una volta e un'altra ancora. La verità è forse che ci sono troppe cose da dire e io non so da dove cominciare. Perché vorrei sapere, vorrei capire prima di scrivere qualcosa. E al momento ci sono troppe cose che non so, tante altre che non potrò mai sapere. È proprio vero quello che diceva un antico proverbio: un uomo è prigioniero delle proprie parole e padrone dei propri silenzi. È proprio così che sento le parole che cerco di scrivere: come catene che bloccano quello che sento e penso.
Protagonista è stata l'assenza. Infiniti per me che li ho trascorsi in una sorta di dimensione parallela, dove il mondo che conoscevo è sfumato e le certezze che avevo non servivano più. Infiniti anche per chi non sapeva di quel mio mondo parallelo: tutti voi che mi avete pensata, appoggiata nella distanza e che mai avete lasciato soli i miei cari. Questi infiniti mesi. Ineffabile è la parola che più si avvicina a quello che sono stati e sono. Con che parole descrivervi il mio mondo dall'altra parte del deserto? E viceversa, che parole potrebbero farmi capire cosa nel frattempo è successo qui? Nessuna, forse. L'assenza era di certo la grande protagonista di questa vicenda, qui e nel deserto: laggiù con noi, non c'eravate e noi, non eravamo qui con voi. Tutte quelle parole, quei pensieri, quegli sforzi, quelle preghiere, le marce, le corse, le lettere, le poesie, gli striscioni, i messaggi da questa parte del mare; così come tutte le nostre parole, i nostri sogni, le speranze, i ricordi, le immagini ed i discorsi, laggiù nel deserto, avevano il sapore acre dell'impotenza, della nostalgia, dell'ingiustizia, della speranza...
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