Si chiama Moussa Yusef e si racconta in modo pacato, con voce
morbida, quasi incredulo per la situazione in
cui si è trovato. “In Libia ho conosciuto Mayssa, mia moglie,
che è medico dentista e come me palestinese. O meglio, una ‘palestinese del
48’, di Haifa, la cui famiglia cioè è dovuta emigrare in Libano per via
dell’espansione di Israele sul finire degli anni Quaranta”.
Ma non è meglio tornare a Gaza, piuttosto che vivere in un campo
profughi?
“Non è così semplice. Una norma proibisce agli abitanti di Gaza
di contrarre matrimonio nei paesi arabi e quindi di rientrare a Gaza e comunque
mia moglie non potrebbe accompagnarmi. A questo si aggiunge il fatto che Rimas,
nostra figlia, è nata qui, in territorio tunisino: l’ambasciatore dell’Autorità
nazionale palestinese ha prospettato come unica soluzione possibile al nostro
caso lo smembramento della famiglia:
io sarei potuto rientrare a Gaza, mia moglie sarebbe dovuta andare a vivere in
Libano, mentre nostra figlia non avrebbe potuto lasciare la Tunisia”.
Quindi, per rimanere uniti, avete deciso di rimanere nel campo.
In attesa di cosa?
“Da poco l’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni unite che si occupa
dei rifugiati, ndr.) ci ha procurato lo status di rifugiati
politici, confidiamo che presto un paese europeo ci possa
ospitare”…
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