Questa è una storia di lettori, e di lettori algerini. Mi sembra
bellissima, e credo che ai lettori italiani piacerà perché la passione per i
libri non ha confini.
A raccontarla è Paola Caridi, una donna acuta, curiosa e generosa, una storica e una scrittrice esperta di Medio Oriente e Nord Africa. Il suo blog si chiama Arabi invisibili. È appena tornata da Algeri e mi sta dicendo quel che ha visto lì.
Ferma, ferma.– le dico – Fammi prendere qualche appunto. Così, una chiacchierata tra amiche si trasforma in questa intervista
A raccontarla è Paola Caridi, una donna acuta, curiosa e generosa, una storica e una scrittrice esperta di Medio Oriente e Nord Africa. Il suo blog si chiama Arabi invisibili. È appena tornata da Algeri e mi sta dicendo quel che ha visto lì.
Ferma, ferma.– le dico – Fammi prendere qualche appunto. Così, una chiacchierata tra amiche si trasforma in questa intervista
.
Dunque, siamo ad Algeri.
Siamo all’inizio della periferia a est di Algeri, dalla parte opposta alla Casbah, vicino a un’enorme moschea in costruzione. È la grande moschea d’Algeria, realizzata da un’impresa di costruzioni cinese su progetto tedesco. Il minareto è già finito: è alto 240 metri e si vede dall’altra parte della città. Sarà la più grande moschea d’Africa.
Siamo all’inizio della periferia a est di Algeri, dalla parte opposta alla Casbah, vicino a un’enorme moschea in costruzione. È la grande moschea d’Algeria, realizzata da un’impresa di costruzioni cinese su progetto tedesco. Il minareto è già finito: è alto 240 metri e si vede dall’altra parte della città. Sarà la più grande moschea d’Africa.
Lì vicino c’è la fiera di Algeri, un gruppo di grandi edifici beige dove,
in occasione del Salone del Libro, centinaia di migliaia di persone arrivano da
tutto il paese: sono i lettori algerini. Studenti delle scuole, famiglie con
bambini, moltissime ragazze.
Il 10 novembre, dopo 12 giorni di fiera, gli organizzatori dichiarano
questa cifra iperbolica: due milioni e duecentomila visitatori, mezzo milione in più
dell’anno precedente. Sono numeri importanti perfino se paragonati con quelli
dell’imponente e più antica Fiera internazionale del Libro del Cairo, una fra le maggiori
manifestazioni librarie del mondo. Però l’area metropolitana del Cairo da sola
fa venti milioni di abitanti.
Tutto ciò vuol dire (faccio il conto) che ad Algeri
arrivano più di 15 volte i visitatori del Salone del Libro di Torino, in un
paese dove (trovo il dato del 2015) ci sono meno di 40 milioni di abitanti.
Come è possibile?
Anche se i visitatori fossero la metà, la cifra resterebbe enorme. Ma ha un senso. Bisogna sapere che fuori Algeri le librerie sono pochissime, e nei piccoli centri proprio non ne esistono: per i lettori algerini, al massimo, c’è qualche negozietto che vende libri usati e ci sono persone di buona volontà che raccolgono libri da far leggere a chi non li può comprare.
Anche se i visitatori fossero la metà, la cifra resterebbe enorme. Ma ha un senso. Bisogna sapere che fuori Algeri le librerie sono pochissime, e nei piccoli centri proprio non ne esistono: per i lettori algerini, al massimo, c’è qualche negozietto che vende libri usati e ci sono persone di buona volontà che raccolgono libri da far leggere a chi non li può comprare.
Per i lettori algerini non c’è neanche la possibilità di comprare libri su
Amazon, che non accetta la moneta algerina e in Algeria non vende direttamente:
bisogna far sponda sulla Francia, ovviamente pagando in euro.
Dunque, ogni anno i lettori algerini si mobilitano e viaggiano fino alla
capitale in occasione del Salone del libro. Le persone mettono pazientemente da
parte i soldi per comprare i libri che dovranno durare per l’intero anno
successivo. Meglio precisare che, nonostante i nostri stereotipi, nessuno si
sposta più in cammello. Tutti arrivano in auto, e si creano lunghe file in
autostrada nei fine settimana. C’è gente che parte dal sud del paese e che per
comprarsi i libri viaggia due giorni, dormendo in macchina.
Bisogna anche sapere che il libro è importante nella cultura algerina. È
proprio l’oggetto in sé ad avere valore. È il segno e lo strumento dell’ascesa
sociale delle famiglie, perché gli algerini sono convinti che si legge e si
impara per avere una vita migliore, e che i bambini devono crescere coi libri.
Dunque, anche se ormai tutti hanno il telefonino, e tutti i ragazzi hanno
lo smartphone e si scattano raffiche di selfie, il libro è ancora un oggetto
sacrale. Un talismano che serve ad appropriarsi della realtà.
Per questo il Salone del libro viene considerato un evento di rilevanza e
interesse nazionale, e si tiene durante il periodo di vacanza delle scuole, in
occasione della Festa della rivoluzione, in modo che intere scolaresche, da
ogni parte del paese, possano andarci.
Che cosa si vede al Salone?
Si vedono diverse cose rimarchevoli, e un intero mondo in divenire. E si vede l’intersezione tra cultura e politica estera. Vedi la produzione francofona africana, anzi, sbirci da Algeri l’intero continente africano.
Si vedono diverse cose rimarchevoli, e un intero mondo in divenire. E si vede l’intersezione tra cultura e politica estera. Vedi la produzione francofona africana, anzi, sbirci da Algeri l’intero continente africano.
Vedi mescolarsi tra gli stand tutte le anime dell’Algeria. Vedi l’anima
islamista, che riconosci dalle copertine dei libri e dall’abbigliamento delle
persone, intrecciarsi con l’anima laica. Vedi la lingua araba intrecciarsi con
quella francese, e con l’inglese. Vedi anche nei lettori algerini un desiderio
di lingua italiana e di scrittori italiani, che resta in parte insoddisfatto.
Com’è la dinamica tra le diverse lingue, e come se la
cava l’italiano?
Anche se il francese è la lingua delle élite, tutti un po’ lo masticano, e la stessa lingua araba algerina è una specie di grammelot che incorpora moltissimi termini francesi. Per questo vengono alla fiera anche tutti i maggiori editori di Francia. Ma ci sono anche molti autori algerini, che pubblicano in lingua francese in Algeria: il passato coloniale è ormai lontano, e usare il francese non è più segno di sudditanza.
Anche se il francese è la lingua delle élite, tutti un po’ lo masticano, e la stessa lingua araba algerina è una specie di grammelot che incorpora moltissimi termini francesi. Per questo vengono alla fiera anche tutti i maggiori editori di Francia. Ma ci sono anche molti autori algerini, che pubblicano in lingua francese in Algeria: il passato coloniale è ormai lontano, e usare il francese non è più segno di sudditanza.
Al Salone c’è anche un bel po’ di inglese. Le maggiori scuole di lingua
inglese hanno uno stand: i ragazzi le frequentano perché pensano che l’inglese
li aiuterà a trovarsi un lavoro. E ci sono diversi editori anglosassoni.
L’italiano è la terza lingua straniera nelle scuole in Algeria. L’Italia è
generalmente amata e non viene accomunata alla ex potenze coloniali, e molti
genitori dei ragazzi che oggi studiano l’italiano hanno lavorato in Italia nel
passato, e ne conservano un buon ricordo. Non si può incontrare un gruppo
di algerini senza che qualcuno dica Ehi, in Italia io ci sono
stato.
Noi ad Algeri abbiamo un Istituto Italiano di cultura dinamico, che
organizza corsi di italiano molto frequentati e, per esempio, ha di recente
organizzato la rappresentazione di Arlecchino servitor di due
padronicon la compagnia del Piccolo Teatro di Milano.
Ci sono i lettori di italiano nelle università, ma manca l’opportunità di
comprare libri italiani. Per esempio, tutti vorrebbero leggere Elena Ferrante,
così come ai tempi leggevano Moravia, ma Ferrante non c’è. E questa è
un’occasione perduta.
Dicevi: cultura e politica.
L’Algeria è da sempre considerata la porta culturale africana. Su mille editori e istituti di cultura presenti al Salone, 276 sono algerini, e tutti gli altri sono stranieri. Il mondo arabo è naturalmente molto presente.
L’Algeria è da sempre considerata la porta culturale africana. Su mille editori e istituti di cultura presenti al Salone, 276 sono algerini, e tutti gli altri sono stranieri. Il mondo arabo è naturalmente molto presente.
Ma la Cina è arrivata in massa, con una delegazione ufficiale di 150
persone, portando il premio Nobel Mo
Yan e molti altri autori. Ha fatto un grosso investimento,
occupando un’intera sezione del salone, assai affollata anche perché si sono
distribuite tele stampate in cinese e altri gadget. Questo ci dice che
l’attenzione cinese non si rivolge solo all’Africa subsahariana.
Ci dice inoltre quanto ormai è diffusa l’idea che la cultura sia un
eccellente strumento di promozione politica: è il soft power,il potere morbido. Noi, che ci scordiamo
sempre di essere un paese assai più amato e seduttivo di molti altri,
avremmo ottimi strumenti per esercitarlo, il potere morbido culturale,
se solo non fossimo così distratti e ripiegati su noi stessi.
Quest’idea di persone che, letteralmente, attraversano
il deserto per comprare libri mi sembra affascinante. Bisognerebbe farci un
film.
La cosa curiosa è che il film più famoso in Algeria è italiano: è La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, che viene trasmesso dalla tv pubblica algerina due volte l’anno nelle due feste nazionali, a novembre e a giugno. Un mito, in tutto il paese.
La cosa curiosa è che il film più famoso in Algeria è italiano: è La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, che viene trasmesso dalla tv pubblica algerina due volte l’anno nelle due feste nazionali, a novembre e a giugno. Un mito, in tutto il paese.
E sì, sarebbe da raccontare questa specie di pellegrinaggio culturale
dei lettori algerini che partono da posti lontanissimi per potersi portare a
casa un prezioso tesoro di carta, che duri un anno intero. Immagina un lettore,
o un gruppo di lettori, che parte all’alba da Tamanrasset, a quasi duemila
chilometri a sud di Algeri, facendosi la Transahariana.
I lettori algerini girano assorti tra gli stand, stanno in fila per ore per
scambiare due parole o farsi un selfie con gli autori, si caricano di libri e
poi se ne vanno tutti fuori, a mangiare all’aperto il kebab algerino di carne
di pollo, infilato non nel pane arabo ma in una baguette. Per i bambini, ci
sono crepes al cioccolato e zucchero filato. È una gran
festa, molto antica e molto moderna. Peccato che noi proprio non ci siamo, e
non sappiamo neanche che c’è.
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