Lo ammetto: non sapevo che esistesse una cosa chiamata fobia scolastica. Ma
per raccontarvi bene di che si tratta devo cominciare dall’inizio.
La sala del teatro è gremita. Ci saranno almeno trecento ragazzi
dell’ultimo anno delle superiori. Tra qualche mese dovranno vedersela con
l’esame di maturità e con alcune scelte importanti.
Il gruppetto di adulti che sta sul palco in teoria è lì per offrire loro
indicazioni utili per il futuro (questo è l’ambizioso obiettivo dell’incontro).
Ma in pratica non è così facile, per gli adulti, evitare di pavoneggiarsi, o di metterla giù troppo semplice. L’adolescenza, nel ricordo di chi l’ha superata da un pezzo, rischia sempre di sembrare più bella e facile di com’è davvero.
Ma in pratica non è così facile, per gli adulti, evitare di pavoneggiarsi, o di metterla giù troppo semplice. L’adolescenza, nel ricordo di chi l’ha superata da un pezzo, rischia sempre di sembrare più bella e facile di com’è davvero.
Tra gli adulti c’è Luigi Ballerini, medico, psicoanalista e scrittore di libri
per ragazzi. Uno che incontra moltissimi studenti, anche in veste
professionale. Riesce a parlare alla platea con semplicità e senza essere
condiscendente, cosa che mi colpisce. Quindi, terminato l’incontro, mi do da
fare per potergli porre qualche domanda.
Ed ecco venir fuori, appunto, diverse questioni interessanti: dalla
crescente intrusività dei genitori (un tema di cui, ahimè, mi è già successo di
parlarvi diversi anni fa), al diffondersi della fobia
scolastica anche presso gli alunni più bravi, al cyberbullismo.
Quali sono oggi i maggiori motivi di disagio, per
ragazzi come questi, secondo la sua esperienza?
Si parla spesso di genitori assenti, ma mi sentirei di dire che uno dei motivi di maggiore disagio è, paradossalmente, l’intrusività dei genitori. I ragazzi vanno a prendere informazioni ai banchetti negli open day universitari accompagnati da mamma e papà. Quando fanno i test di ingresso alle università, i genitori li seguono quasi fino dentro ai laboratori informatici, e poi restano là fuori, per ore, ad aspettare.
Si parla spesso di genitori assenti, ma mi sentirei di dire che uno dei motivi di maggiore disagio è, paradossalmente, l’intrusività dei genitori. I ragazzi vanno a prendere informazioni ai banchetti negli open day universitari accompagnati da mamma e papà. Quando fanno i test di ingresso alle università, i genitori li seguono quasi fino dentro ai laboratori informatici, e poi restano là fuori, per ore, ad aspettare.
È successo al Politecnico di Torino e al Politecnico di Milano. A Catania e
a Bologna per i test di Medicina. Il comportamento è così diffuso che il Cosp,
il centro per l’orientamento allo studio dell’Università Statale di Milano, da
diverso tempo organizza incontri con percorsi di sostegno alla scelta
universitaria per i genitori.
E non solo: le agenzie per il lavoro dicono che sempre più spesso sono i
genitori ad andare in sede per consegnare i curricula dei loro pargoli. Ma che
cosa si può mai pensare di un ragazzo che non si dà una mossa neanche per
venire a presentarsi? Ovviamente quei curricula vengono ignorati.
Lei ha figli?
Sì, quattro, tra i 19 e i 27 anni. E non li ho mai accompagnati a fare i test.
Sì, quattro, tra i 19 e i 27 anni. E non li ho mai accompagnati a fare i test.
Ma che male ci sarebbe, a dare una mano ai figli,
quando si può?
A monte di tutto ciò, c’è la propensione dei genitori a vedere i figli fragili, deboli e incapaci. E il non riuscire a pensarli protagonisti della loro vita in relazione all’età che hanno. Ma se andiamo in profondità, possiamo vedere che c’è anche la voglia di dare un senso alla propria vita, occupandosi di quella dei figli.
A monte di tutto ciò, c’è la propensione dei genitori a vedere i figli fragili, deboli e incapaci. E il non riuscire a pensarli protagonisti della loro vita in relazione all’età che hanno. Ma se andiamo in profondità, possiamo vedere che c’è anche la voglia di dare un senso alla propria vita, occupandosi di quella dei figli.
Insomma: è un tentativo di sostituzione. Il desiderio inconsapevole di
vivere la vita dei figli perché magari non si è soddisfatti di come va la
propria, di vita. Se un adulto è appagato da quello che fa e che costruisce, si
interessa dei figli ma non è così invadente. Oggi il comportamento intrusivo è
equamente distribuito fra tutti i genitori, e non riguarda soltanto le madri.
Quali sono le conseguenze?
Alcuni ragazzi sono insofferenti. Altri finiscono per percepirsi e comportarsi effettivamente come fragili. Altri ancora sviluppano veri e propri sintomi.
Spesso però accade, soprattutto nel caso dei più piccoli, che intervenendo sui genitori, anche proponendo piccoli cambiamenti e senza nemmeno coinvolgere il figlio, si possono modificare sostanzialmente le cose.
Alcuni ragazzi sono insofferenti. Altri finiscono per percepirsi e comportarsi effettivamente come fragili. Altri ancora sviluppano veri e propri sintomi.
Spesso però accade, soprattutto nel caso dei più piccoli, che intervenendo sui genitori, anche proponendo piccoli cambiamenti e senza nemmeno coinvolgere il figlio, si possono modificare sostanzialmente le cose.
Leopardi nello Zibaldone scrive che non possiamo sapere tutto
quello di cui è capace, aiutata da circostanze favorevoli, la natura umana.
Ecco: la sfida è capire quali per il genitore sono le circostanze che possono
innescare un cambiamento, e favorirle. Un genitore che si dispone a correggersi
e a rivedere come pensa al proprio figlio e come si comporta con lui consegue
già un buon primo risultato.
Quali sono i comportamenti dei genitori che andrebbero
evitati?
Per semplificare, prendiamo in considerazione quattro modelli di comportamento genitoriale: Chioccia, Tigre, Elicottero e Spazzaneve.
Per semplificare, prendiamo in considerazione quattro modelli di comportamento genitoriale: Chioccia, Tigre, Elicottero e Spazzaneve.
Il genitore-chioccia non riconosce che il figlio è cresciuto e tende a
continuare ad accudirlo oltre ogni ragionevolezza.
Il genitore-tigre è autoritario e sovrastante. Il suo messaggio al figlio è lo so io qual è il tuo bene, quindi tu devi far tutto quello che ti dico io.
Il genitore elicottero è fissato sul controllo, compreso il controllo digitale: deve monitorare il figlio in ogni momento e sapere tutto di lui.
Il genitore-tigre è autoritario e sovrastante. Il suo messaggio al figlio è lo so io qual è il tuo bene, quindi tu devi far tutto quello che ti dico io.
Il genitore elicottero è fissato sul controllo, compreso il controllo digitale: deve monitorare il figlio in ogni momento e sapere tutto di lui.
Il genitore-spazzaneve è il modello più recente: è spaventato dalla fatica
dei figli e pronto a tutto per spianare loro la strada. Se un figlio prende 4,
non protesta con il figlio, ma con il professore. Fa mozioni a scuola perché i
compiti sono troppi o perché gli zaini sono troppo pesanti, e per qualsiasi
altra questione, anche minima, che secondo lui può intralciare la strada al
figlio.
I modelli genitoriali ci aiutano a etichettare in modo semplice alcuni
comportamenti non appropriati, ma non esistono allo stato puro, nella realtà
delle famiglie. Spesso i problemi nascono da una combinazione di diversi
comportamenti inadeguati.
La soluzione non è adottare un ulteriore modello, ma che i genitori
sappiano percepire il figlio come altro da sé. Che sappiano averne stima e
apprezzarlo come un soggetto pensante, che va accompagnato e sostenuto, ma al
quale non bisogna sostituirsi. Un soggetto dotato della facoltà di pensare in
proprio, più debole nell’esperienza per il fatto di essere più giovane, ma non
per questo fragile e incapace.
Perché un ragazzo oggi va dallo psicoanalista?
I motivi possono essere diversi. Negli ultimi anni ho visto crescere una casistica particolare, una specie di epidemia sotterranea di cui si parla ancora poco. Ci sono ragazzi tra le medie e i primi tre anni delle superiori che la mattina non riescono più ad alzarsi per andare a scuola. È qualcosa di diverso dalla dispersione scolastica, più contraddistinta da disinteresse, ostilità e rifiuto per la scuola. Si chiama fobia scolastica, oppure fobia scolare.
I motivi possono essere diversi. Negli ultimi anni ho visto crescere una casistica particolare, una specie di epidemia sotterranea di cui si parla ancora poco. Ci sono ragazzi tra le medie e i primi tre anni delle superiori che la mattina non riescono più ad alzarsi per andare a scuola. È qualcosa di diverso dalla dispersione scolastica, più contraddistinta da disinteresse, ostilità e rifiuto per la scuola. Si chiama fobia scolastica, oppure fobia scolare.
La fobia scolastica è qualcosa che può succedere all’improvviso, e può
destabilizzare l’intera famiglia. Riguarda anche gli studenti bravi a scuola e
affligge in uguale misura le ragazze e i ragazzi. Fobia scolastica
significa che i ragazzi desiderano andare a scuola e ogni sera se lo
ripromettono: magari fanno i compiti e preparano la cartella. Ma la mattina non
ce la fanno: è più forte di loro, restano bloccati a letto o in casa. Se ne dispiacciono
e si giudicano negativamente per questo.
I genitori le provano tutte. E tentano anche le mosse più disperate:
minacciare il figlio o blandirlo, invocare l’arrivo della polizia o degli
assistenti sociali. Ma non c’è verso: contrastare la fobia scolastica è
come provare a spingere un elefante. E allora le famiglie decidono di cercare
aiuto.
Di fobia scolastica si parla troppo poco, ma se si interpellano gli
insegnanti si può scoprire che il fenomeno è molto più diffuso di quanto si
creda. Loro li vedono, questi ragazzi. E della fobia scolastica spesso hanno
un’esperienza diretta.
Qual è l’origine della fobia scolastica ?
Mi sono fatto questa idea: quando un ragazzo si rifiuta di andare a scuola, secondo la mia esperienza in un terzo circa dei casi proprio a scuola è successo qualcosa di brutto, che l’ha spaventato e gli rende difficile tornarci. E allora è su quello che bisogna lavorare: atti di bullismo, difficoltà nei rapporti, comportamenti ostili di adulti e compagni.
Mi sono fatto questa idea: quando un ragazzo si rifiuta di andare a scuola, secondo la mia esperienza in un terzo circa dei casi proprio a scuola è successo qualcosa di brutto, che l’ha spaventato e gli rende difficile tornarci. E allora è su quello che bisogna lavorare: atti di bullismo, difficoltà nei rapporti, comportamenti ostili di adulti e compagni.
Ma negli altri due terzi dei casi – e qui parliamo di fobia scolastica – è
accaduto che la scuola sia stata investita e caricata di un significato che non
dovrebbe avere. Non un posto dove si va per imparare, o per incontrare gli
amici, o anche solo perché si è obbligati a frequentare, e lo si fa.
Un posto, invece, dove è imperativo dimostrare di essere bravi: o bravi
figli, o bravi studenti. E se uno non ce la fa, ecco che inizia a pensare
come evitarla, la scuola.
Tutto questo accade a ragazzi che devono attestare di essere all’altezza,in famiglie che spingono sulle prestazioni. E che parlano solo di quello.
Tutto questo accade a ragazzi che devono attestare di essere all’altezza,in famiglie che spingono sulle prestazioni. E che parlano solo di quello.
Ma non bisogna ridurre la vita dei ragazzi alla scuola, e la scuola al
risultato. In questo modo la scuola, da luogo di appuntamento e di apprendimento,
si trasforma in un luogo pieno di rischi, di insidie e di agguati.
Che si fa in casi come questi?
Bisogna allentare la preoccupazione riguardante la scuola. Quando un genitore domanda al figlio come è andata oggi?, deve chiedersi anche se in realtà sta domandandogli hai avuto una buona giornata? oppure hai preso un buon voto, conforme alle mie attese e ai tuoi doveri?
Bisogna allentare la preoccupazione riguardante la scuola. Quando un genitore domanda al figlio come è andata oggi?, deve chiedersi anche se in realtà sta domandandogli hai avuto una buona giornata? oppure hai preso un buon voto, conforme alle mie attese e ai tuoi doveri?
E il genitore deve capire che non può essere una bella giornata se uno ha
preso otto ma è stato umiliato durante l’intervallo. E che, viceversa, può
essere una bellissima giornata se uno ha preso un pessimo voto, ma durante
l’intervallo si è accesa la scintilla di un amore. Occorre allagare
l’orizzonte. Aiutare i ragazzi a trovare le loro proprie buone ragioni per
tornare a occuparsi di sé, anche mentre imparano.
Quanto incidono bullismo e cyberbullismo sulle vite
dei ragazzi?
Le dinamiche bullistiche sono le stesse. Ma il cyberbullismo, (la persecuzione in rete) è più pervasivo, ubiquitario e permanente.
Le dinamiche bullistiche sono le stesse. Ma il cyberbullismo, (la persecuzione in rete) è più pervasivo, ubiquitario e permanente.
A scuola i casi di bullismo si verificano soprattutto in tre momenti: prima
di entrare e all’uscita, al cambio d’ora, nell’intervallo. Ma c’è sempre la
speranza che qualche adulto passi di lì e interrompa la persecuzione, e
comunque quando si torna a casa si è al sicuro e si può tirare il fiato.
Il cyberbullismo invece non dà tregua: può verificarsi giorno e notte, non
c’è nessun posto dove scappare e mettersi al riparo, e accade in luoghi dove
non ci sono gli adulti, perché la persecuzione avviene in gruppi
amministrati da ragazzi e protetti da password.
Che cosa si può fare, allora?
Bisogna sottolineare che bullismo e il cyberbullismo prosperano in una condizione di disimpegno morale. Se c’è la coppia bullo-vittima, c’è anche, tutta attorno, una corte di spettatori che resta silente per paura o, peggio, che è plaudente per ammirazione e consenso.
Bisogna sottolineare che bullismo e il cyberbullismo prosperano in una condizione di disimpegno morale. Se c’è la coppia bullo-vittima, c’è anche, tutta attorno, una corte di spettatori che resta silente per paura o, peggio, che è plaudente per ammirazione e consenso.
Ecco perché nei casi di cyberbullismo c’è sempre omertà da parte degli
altri componenti del gruppo, che si limitano ad assistere (spaventati essi
stessi, o indifferenti). O che, compiaciuti e affascinati dalla prepotenza, la
amplificano, per esempio condividendo foto e messaggi. Dunque, oltre che
sulla coppia bullo-vittima, è anche sull’intero gruppo che bisogna lavorare,
spiegando ai ragazzi che il silenzio è sempre connivente.
Nei gruppi, è ancora diffusa l’idea che chi spiffera quel che succede è un
infame. E invece no, bisogna far capire che chi contrasta e denuncia un caso di
bullismo è il più figo della classe. E certo, poi servono anche adulti
all’altezza, attenti e capaci di raccogliere la segnalazione, competenti
nell’affrontare la situazione e nel gestirla.
Nessun commento:
Posta un commento