Per tre anni abbiamo atteso il piano di Donald Trump per la Palestina (o
piuttosto il piano di suo genero, Jared Kushner), tanto che a questo punto
pensavamo non sarebbe mai arrivato.
Il momento della divulgazione è particolare, perché arriva a poche
settimane dalle elezioni legislative in Israele, in programma il 2 marzo (le
terze in un anno, in piena impasse politica), e all’inizio di un’annata in cui
si svolgeranno le presidenziali negli Stati Uniti. Non serve essere maliziosi
per pensare che non sia una coincidenza. Tra il primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu e il genero di Trump l’affinità è totale. In questo caso
ognuno aiuta l’altro sul piano elettorale.
L’organizzazione dell’evento riflette questa situazione e suscita polemiche
in Israele. Secondo il programma, Netanyahu e il suo rivale alle elezioni,
Benny Gantz, avrebbero dovuto essere ricevuti contemporaneamente a Washington.
Per Gantz sarebbe stata una trappola, perché si sarebbe trovato in posizione
d’inferiorità rispetto al primo ministro. Alla fine è stato deciso che i due
saranno ricevuti separatamente il 27 gennaio.
La fine della soluzione a due stati
Quanto ai palestinesi, non parteciperanno alla festa di Washington. Questo perché hanno deciso che non possono aspettarsi nulla di buono da questa amministrazione dopo il trasferimento unilaterale dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e la dichiarazione secondo cui gli insediamenti ebraici nei territori occupati non sarebbero necessariamente “illegali”.
Quanto ai palestinesi, non parteciperanno alla festa di Washington. Questo perché hanno deciso che non possono aspettarsi nulla di buono da questa amministrazione dopo il trasferimento unilaterale dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e la dichiarazione secondo cui gli insediamenti ebraici nei territori occupati non sarebbero necessariamente “illegali”.
Come sottolinea il quotidiano israeliano Haaretz, l’“accordo del secolo”, come è stato battezzato
il piano di Trump, “è stato formulato in modo da essere bocciato dai
palestinesi”. In effetti il piano costituisce una rottura rispetto al consenso
internazionale sulla soluzione a due stati, per altro sempre più difficile da
attuare a causa degli insediamenti israeliani.
Il piano di Trump, a quanto pare, prevederebbe l’annessione da parte di
Israele della valle del Giordano e di interi blocchi di insediamenti in
Cisgiordania. Ai palestinesi resterebbero zone isolate con uno status di
autonomia limitato e senza possibilità di creare uno stato. Il piano, inoltre,
prevede un massiccio versamento di denaro: la sostituzione della sovranità con
gli investimenti.
Come prevedibile, questa proposta sarà accettata dagli israeliani, sia da
Netanyahu (favorevole all’annessione) sia dal suo rivale Gantz (che addirittura
sull’argomento rilancia), mentre sarà bocciata dai palestinesi, che minacciano
di ritirarsi anche dalle strutture ereditate dagli accordi di Oslo del 1993.
Cosa accadrà in futuro? Il rifiuto palestinese permetterà a Israele di
passare all’azione e annettere una parte della Cisgiordania. Ma un accumulo di
atti unilaterali, che ai palestinesi offrono solo la scelta tra subire
l’occupazione ed essere cittadini di seconda categoria, non costituisce in
alcun modo un piano di pace. Al contrario, prepara il campo a nuovi drammi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
da qui
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