Questa volta
racconterò una favola. Perché nelle favole di tradizione popolare c’è un
rapporto tra uomo e natura che sta scomparendo.
Molti di noi
che non sono contadini o pescatori, allevatori o boscaioli hanno un’idea della
natura come di qualcosa che si può amare. La natura si riduce alle
belle passeggiate in montagna, alle belle fotografie da condividere con gli
amici. Invece nella fiabe popolari la natura incute timore. Cioè quel
sentimento che è allo stesso tempo amore, rispetto e paura. Noi non abbiamo più
timore della natura. Siamo diventati turisti della natura. Il turista
della natura quando si trova davanti alle onde che si infrangono contro la scogliera
pensa “la natura è grandiosa!”, scatta la foto col telefono e la posta su
instagram. Il pescatore quando c’è mare grosso non esce per andare a pesca. O
peggio ancora, se già si trova in mare, combatte contro il naufragio. Figurati
cosa sono le onde per un migrante che ha paura anche del mare calmo. E
cos’è la pioggia per un turista della natura che sta in vacanza con la
fidanzata? Si ritira nel casale, accende il camino e la pioggia diventa
romantica. Il contadino prega affinché la pioggia giunga nel periodo giusto e
nella maniera giusta, ma se arriva prima o dopo, se piove poco o troppo… è un
casìno.
Quando il
turista della natura vuole mangiarsi un panino col prosciutto se ne va al bar e
se lo compra. Ma nei dieci minuti in cui lo consuma non pensa al contadino e al
suo “timore” nei confronti della natura. Non pensa alla pioggia, al contadino
che semina il campo, al grano che cresce, viene raccolto e portato al mulino
per essere macinato. Il turista
della natura non pensa al fornaio che impasta la farina e sforna una pagnotta
di pane. Il turista della natura non pensa al tempo che passa dalla
distribuzione dei semi sulla terra al primo morso che lui da al suo panino. E
quel che vale per la pagnotta… vale anche per il maiale che serve a produrre il
prosciutto. Ci vuole tempo! Ma il turista della natura vuole un panino col
prosciutto. Lo vuole subito. Vuole entrare nel bar e dire “voglio quel panino
al prosciutto”. Al massimo ringrazia il bangladino sottopagato che glielo
incarta in un tovagliolo e glielo vende in cambio di denaro. Magari gli lascia
pure la mancia. Nel migliore dei casi il turista della natura snobba il
centro commerciale e va a farsi fare il panino al prosciutto al negozio
biologico. Ma anche al negozio biologico indica il panino al prosciutto e dice
“voglio quel panino”.
Il turista
della natura… ci pensa alla natura quando si mangia il panino? Il
turista della natura non è interessato a sapere che prima di diventare “panino”
quella roba è stata lavoro, mesi, pioggia… Timore. Perché quel panino è “merce”
non è cibo. Esiste solo nei dieci minuti che se lo compra, lo mangia e
butta la salvietta che lo incartava. E per il bicchiere di vino che ci beve
insieme è lo stesso. E lo stesso è per il caffè che prende subito dopo.
Eppure il
turista della natura dice: io amo la natura. E noi dovremmo rispondergli: tu
non conosci la natura, come puoi amarla? È come dire “io amo Nicole Kidman”… ma
io ho solo visto i film, non la conosco nemmeno. Manco parlo l’inglese! Ma fin qui il problema sarebbe
solo un problema che appartiene al turista della natura. Il disastro è che se
anche non ha coscienza del tempo che serve per arrivare a qual panino… quel
tempo esiste lo stesso. Esiste il contadino che semina, raccoglie, teme la
pioggia e la siccità. Esiste il fornaio, eccetera. Se il turista della natura
invece di fare le foto con lo smartphone alle onde del mare… si ricordasse di
quel tempo si ricorderebbe anche che esiste una natura complessa. Ma il turista
della natura non se ne ricorda o non lo sa. Lui vuole mangiare un panino,
magari bio.
Nel momento
in cui non conosce più la natura nella quotidianità come la conosce il
contadino… non è più in grado di rispettarla. La va a fotografare e a farcisi
le passeggiate. Per il turista… la natura è un museo delle cere. Incontra
Einstein e Marilyn Monroe, ma sono pezzi di cera. Il turista della
natura non lo sa ma in quel momento sta combattendo una guerra. È un
semplice soldato, un pedone… ma fa parte di un esercito che combatte una
guerra. E non solo contro la natura. Sta facendo una guerra contro tutto quel
tempo che ignora. La combatte contro il bangladino sottopagato, il fornaio, il
contadino. Noi chiamiamo “prodotti” degli oggetti che sappiamo solo consumare.
Sono merce che comperiamo. Della produzione non ne sappiamo niente. Voglio un
panino! Non voglio sapere come vive il contadino che semina il campo. Voglio un
panino! Non sono interessato ai problemi che quell’agricoltore ha con la
pioggia che fa prosperare o rovina il raccolto. Voglio un panino! Non voglio sapere
se il grano è stato coltivato in Italia o in Australia, Canada, Francia, Stati
Uniti, Spagna, Grecia, Canada, Messico, Argentina, Kazakistan.
Vi
faccio un altro esempio. Avete presente quei grandi negozi di
articoli sportivi dove vendono tutto su tutti gli sport? Il turista della
natura va col figlio in uno di questi. E quel ragazzo vede un bel pallone di
cuoio. Il turista si ricorda che quando era ragazzino lui quel tipo di pallone
costava un capitale perché lo cuciva un operaio europeo che s’era guadagnati i
diritti lottando per anni. Oggi lo cuce un ragazzino in una città dell’Asia
meridionale dove si producono il 75 per cento dei palloni di cuoio venduti nel
mondo. E in queste fabbriche ci lavorano i ragazzini che hanno le dita piccole.
Ma il turista della natura non lo sa. Al massimo in Asia Meridionale c’è andato
in vacanza e ha fatto le fotografie alla natura che ama tanto. Suo
figlio vuole il pallone perché è un ragazzo sportivo e lo sport fa bene alla
salute. E il turista della natura glielo compra. Anche se quel pallone è stato
cucito da un bambino che ha la stessa età di suo figlio. Perché? Perché per lui
quel pallone è “merce” e tutto quel che c’è stato prima che arrivasse nel
negozio di sport lui non lo conosce. Come non conosce la pioggia del
contadino e il lavoro del fornaio. Perché di quel pallone… come del panino al
prosciutto… lui non sa nulla. Di quel pallone sa soltanto che rimbalza.
Questa
guerra è già scoppiata e momentaneamente la sta combattendo anche lui quando va
a comprare il panino o il pallone. Ma un giorno verrà dichiarata anche contro
di lui. Sarà una rivoluzione o una guerra civile? La prima è
improbabile, serve una coscienza di classe. Senza coscienza di classe non si fa
la rivoluzione. Se doveva esserci una rivoluzione… sarebbe già scoppiata.
Invece per la guerra civile bastano fucili e pistole. Sapete come faranno a
farla scoppiare apertamente? A dichiararla? Saranno gli economisti a
spiegarcelo. Ce lo diranno con le loro facce da giacca e cravatta, col loro
sorriso in gessato doppiopetto grigio. Ci parleranno della natura e della
complessità, ma lo faranno alla maniera loro… tanto noi non ce la ricorderemo
più. Ci diranno che dobbiamo “temere” la natura, ma soltanto per farci provare
paura. Racconteranno la storia del contadino che semina, del grano che cresce,
della farina e del fornaio. Ci spiegheranno che per fare un panino ci vuole un
sacco di gente che si spezza la schiena sui campi, nei mulini… che si brucia davanti
a un forno di notte. Dichiareranno che per fare un panino servono mesi
di lavoro. Perché la natura è lenta e questa lentezza si paga cara. Mentre in
catena di montaggio si monta una pistola in meno di un’ora. Così il prezzo del
pane andrà alle stelle e regaleranno le pistole al mercato. Da quel giorno
nessuno potrà più comprare il panino al prosciutto. Tutti si armeranno e
assalteranno i bar, i supermercati e i centri commerciali. Il turista
della natura lo troveremo armato di fionda davanti al negozio biologico.
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