Il grande saggista e attivista W. E. B. Du Bois sosteneva che la
razza è una sorta di velo che media le percezioni degli altri rendendo
possibile un “secondo sguardo”; quello del razzismo «è una densa e invisibile,
ma orribilmente tangibile lastra di vetro attraverso cui la gente può vedere,
ma non sentire o toccarsi».
Possiamo dire che l’idea di razza è rassicurante, mette le cose
al suo posto, semplifica la realtà, riducendola a pochi elementi
ben definiti dei quali essa riassume ogni caratteristica. Ogni comunità umana
ha una storia e questa storia si trasforma con il passare del tempo.
Trasformarla in razza significa chiuderla in un passato senza presente e senza futuro,
consegnarla a un destino fissato una volta per tutte.
Congelare gli altri in una dimensione atemporale, estrometterli dalla
storia e affidarli al destino loro imposto dalla natura: questo rende così
implacabile il concetto. Non a caso secondo Otto Reche, scienziato nazista,
l’essenza della razza starebbe nella cultura, che risalirebbe alle
leggi di natura: «Sappiamo oggi che l’umanità non esiste. E non può esistere
nemmeno una cultura umana perché è la natura che ha creato le razze differenti
(…) Se razza e cultura non possono essere separati è perché la razza è il
destino». Cultura e razza si confondono e ogni razza/cultura porterebbe quindi
il marchio del suo carattere morale a cui è impossibile sfuggire.
A poco a poco, nel pensiero comune, l’idea di razza si è svincolata dal suo
retaggio biologico per diventare destino ineluttabile che non richiede neppure
più la legittimazione della scienza. Così il giornalista statunitense
Ta-Nehisi Coates:
«La necessità di assegnare agli individui caratteristiche precise fino all’osso per poi umiliarli, sminuirli e distruggerli, è la conseguenza necessaria di questa condizione inalterabile. Il razzismo, perciò, viene presentato come il figlio innocente di Madre natura, e noi siamo lasciati a deplorare il Passaggio Intermedio o il Sentiero delle Lacrime allo stesso modo in cui ci si può dispiacere per un terremoto, un tornado, oppure ogni altro fenomeno ascrivibile alla categoria di ciò che sta al di sopra di qualsiasi opera umana. La razza è la figlia del razzismo, non la madre».
da qui
«La necessità di assegnare agli individui caratteristiche precise fino all’osso per poi umiliarli, sminuirli e distruggerli, è la conseguenza necessaria di questa condizione inalterabile. Il razzismo, perciò, viene presentato come il figlio innocente di Madre natura, e noi siamo lasciati a deplorare il Passaggio Intermedio o il Sentiero delle Lacrime allo stesso modo in cui ci si può dispiacere per un terremoto, un tornado, oppure ogni altro fenomeno ascrivibile alla categoria di ciò che sta al di sopra di qualsiasi opera umana. La razza è la figlia del razzismo, non la madre».
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