Destabilizzazione
permanente. Il “caos creativo” USA colpisce ancora - Alberto Negri
Il nuovo anno americano si inaugura con un altro sconcertante capitolo
della destabilizzazione permanente del Medio Oriente voluta da Washington:
altro che ritiro degli Stati Uniti dalla regione. Colpire al cuore il regime
iraniano e assestare una mazzata all’apparato di sicurezza sciita in Iraq.
Uccidendo il generale iraniano Qassem Soleimani e il suo braccio destro
iracheno Abu Mahdi al Muhandisi, capo delle forze di mobilitazione popolare dei
Kataib Hezbollah: questo è stato l’ordine di Trump anticipato 24 ore prima,
pubblicamente, dall’ex agente dei servizi Usa Michael Pregent senza che per
altro nessuno se ne accorgesse.
SIAMO
NEL PIENO di quel “caos creativo” – anche questa volta dalle conseguenze
imponderabili – che gli Stati Uniti perseguono da circa un ventennio con
criminale determinazione nel nostro cortile di casa.
Una decisione che rientra perfettamente nella strategia americana di
sconvolgere gli equilibri precari del Medio Oriente iniziata con l’invasione
dell’Iraq nel 2003, continuata con i raid in Libia del 2011 contro Gheddafi,
insieme a Francia e Gran Bretagna, e proseguita con la guerra per procura in
Siria contro Assad, un conflitto che ha visto le monarchie del Golfo e la
Turchia impegnate, insieme ai jihadisti, a contrastare prima di tutto
l’influenza iraniana e poi anche quella russa. Il tutto con il consenso degli
Stati Uniti.
L’OBIETTIVO di Washington
era ed è quello di polverizzare gli stati arabi e musulmani che in qualche modo
possano opporsi a Israele, il guardiano degli Usa nella regione, e all’Arabia
Saudita, il maggiore cliente di armamenti Usa legato dal 1945 a Washington da
un patto di ferro firmato tra il sovrano Ibn Saud e il presidente Roosevelt. La
sostanza del conflitto secolare tra sciiti e sunniti, manovrato già con
l’attacco di Saddam Hussein all’Iran rivoluzionario nel 1980 e rinfocolato in
Siria e Yemen, risiede nello scopo di eliminare prima o poi, il regime della
repubblica islamica.
L’obiettivo della destabilizzazione permanente è stato colto in Iraq,
precipitato nel caos da 17 anni, e in parte anche in Siria, nel mirino costante
dei missili israeliani. Ma rimaneva e rimane l’influenza di Teheran in Iraq, a
Damasco e soprattutto in Libano dove gli Hezbollah alleati di Teheran sono
dotati di un arsenale missilistico che ha fermato Israele nel 2006. L’attentato
americano contro Soleimani rientra in questa logica e non a caso il generale
iraniano, dominus della politica estera e non solo militare nella regione, ieri
rientrava a Baghdad proprio da Beirut. Era lui l’architetto della resistenza
sciita che rivolgeva i suoi ammonimenti direttamente anche ai generali
americani come Petraeus.
I VENTI
DI GUERRA anticipati ieri dal titolo del manifesto per la Libia si sono
puntualmente concretizzati in Iraq. Ma c’è di più: 24 ore prima che Qassem
Soleimani e Al Muhandis venissero colpiti da un drone all’aereoporto di Baghdad
il sito della tv saudita Al Arabiya pubblicava un articolo di Michael Pregent,
ex agente Usa e consulente del governo iracheno, in cui si affermava
esplicitamente: “E’ tempo di colpire Soleimani e Muhandis perchè sono loro i
maggiori nemici degli Usa e dell’Arabia Saudita”.
TRA
L’ALTRO l’ex agente – che tanto ex non è pur lavorando adesso per l’Hudson
Institute – ci informava che il segretario di Stato Mike Pompeo aveva chiamato
al telefono Hadi Al Amiri, parlamentare e capo delle brigate sciite Al Badr
filo-iraniane, che aveva appena chiesto di mandare via i soldati americani
dall’Iraq dopo l’attacco all’ambasciata Usa di Baghdad: insomma gli aveva fatto
una telefonata di avvertimento, perché ormai tutti gli alleati iracheni
dell’Iran sono nel mirino.
MA PER
QUALE motivo gli Usa hanno colpito Soleimani proprio adesso? La sua
presenza e la sua capacità organizzativa erano incompatibili con i piani
americani di fare dell’Iraq una base operativa anti-iraniana. I segnali
dell’escalation in Iraq si potevano cogliere già nelle settimane precedenti con
gli attacchi Hezbollah agli Usa e le immediate repliche americane. Gli Usa
stanno facendo le valigie dalla Turchia che ha accordi militari con la Russia e
l’Iran: Incirlik per loro non è più una base sicura né per tenere le testate
atomiche né per attaccare l’Iran.
ERDOGAN, che ha pure
acquistato le batterie russe anti-missile S-400, non è più un alleato Nato
affidabile e ha già chiuso Incirlik dopo il fallito golpe del 2016, concedendo
poi assai di malavoglia la base agli americani per i raid contro il Califfato.
Gli Usa hanno così rafforzato la loro presenza in Iraq, aggiungendo 750
militari ai 5mila già presenti e trasferendo una parte del loro arsenale
balistico e le bombe nel caso gli Usa dovessero attaccare la Repubblica
islamica. Insieme naturalmente ai droni che potrebbero avere colpito Soleimani
anche dal territorio iracheno. Se fosse confermata questa ipotesi, come sembra
adombrare alla Bbc l’informato agente Pregent, la tensione diventerà esplosiva.
Questo è il “caos creativo” bellezza, e noi ci siamo in mezzo.
* Fonte: Alberto Negri, il manifesto
Crimine di guerra - un
ponte per
Ciò che si temeva sta forse per succedere. Il conflitto che Stati Uniti e Iran stanno consumando sul corpo
martoriato del popolo iracheno si sta trasformando in conflitto militare.
L’azione militare all’aeroporto internazionale di Baghdad – che ha portato
all’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani e di altre sette persone –
è un atto irresponsabile tanto più grave perché realizzato da un paese che è
membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta di un atto, la
rappresaglia e l’omicidio mirato, considerato dal diritto internazionale come
un crimine di guerra.
Un crimine che si aggiunge al sostegno dato negli
scorsi decenni prima a Saddam nella lunga guerra contro l’Iran, poi alla guerra
contro l’Iraq, all’embargo, al caos e alla distruzione determinata nel paese
dall’occupazione Usa.
Casus belli è stato il lancio di razzi su una postazione militare
statunitense forse da parte di milizie filo iraniane, ma comunque non
rivendicato e la cui origine non è stata individuata. Il regime di Teheran sta intervenendo
pesantemente nel processo politico iracheno tentando di determinare la nomina
del nuovo Primo ministro dopo che la protesta aveva imposto le dimissioni del
precedente governo, ma il movimento di massa gli stava tenendo testa.
Se questa escalation non si
fermerà l’Iraq precipiterà nuovamente in un bagno di sangue e verrà spazzata
via la coraggiosa e generosa rivolta dei giovani e delle giovani irachene che da due mesi
occupano le piazze di tutto il paese per chiedere la fine della corruzione, del
sistema delle quote settarie introdotto dall’occupazione statunitense e la fine
delle interferenze iraniane nella vita politica irachena (leggi anche La generazione dei sogni rubati di
Cecilia Dalla Negra).
Trump, in difficoltà sul piano interno a causa
dell’impeachment, sceglie deliberatamente di buttare benzina sul fuoco
convinto che una nuova guerra possa contribuire alla sua rielezione. Certo è che la
potente lobby bellico industriale che
lo ha sempre appoggiato avrà un motivo in più per allargare il portafoglio e
sostenerlo nella corsa per rimanere alla Casa Bianca.
Si tratta di una avventura che, se non fermata
subito, rischia d’infiammare l’intera regione del Medio Oriente, allargandosi a
macchia d’olio anche nel Mediterraneo.
Chiediamo al governo italiano e a quelli dell’Unione europea di condannare
quanto accaduto e di dissociarsi apertamente da questa scelta di guerra.
L’intera comunità internazionale deve operare per fermare l’escalation e
chiedere alle forze armate straniere di lasciare l’Iraq.
Invitiamo il movimento per la pace a mobilitarsi
contro il pericolo della guerra e a manifestare la propria solidarietà al popolo
iracheno, sulla cui pelle si sta giocando questa sporca partita.
Noi siamo a fianco del popolo iracheno, vera vittima di
questa dinamica perversa, e in particolare di quei giovani e quelle giovani che
si battono per un futuro libero e indipendente del proprio paese e diciamo a
tutti fermatevi, ritirate le vostre truppe e i vostri consiglieri
militari, lasciate che gli
iracheni e le irachene possano determinare liberamente il proprio futuro.
Nessun commento:
Posta un commento