Ad uso delle giovani generazioni
di Pièces et Main d’Oeuvre
Nel 2015 il gruppo Pièces et Main d’Oeuvre
(che in realtà non si definisce né “gruppo” né “collettivo”, ma atelier di
bricolage e di cui abbiamo già pubblicato un contributo su Malamente #15) è
stato invitato a una discussione pubblica organizzata da studenti di Grenoble a
partire da alcune domande: “che cosa hanno gli smartphone di così speciale da
monopolizzare la nostra attenzione? L’uso di internet avvicina le persone o le
allontana? Quando l’utilizzo di nuove tecnologie diventa eccessivo e dannoso per
la salute (fisica e mentale)? Perché i giovani sono i più colpiti da tutto
questo?”. Abbiamo tradotto la traccia del loro intervento perché ci sembra che
senza tanti giri di parole descrivano efficacemente la perdita di autonomia e
di libertà in cui siamo immersi, talvolta senza rendercene conto. In
conclusione trovate anche una loro breve presentazione. Se volete seguire le
attività del gruppo o ordinare il loro catalogo date un’occhiata al sito www.piecesetmaindoeuvre.com oppure
contattateli direttamente (BP 27 – 38172 Seyssinet-Pariset). Intanto proviamo a
contrastare i nostri tempi, ad aprire spazi di autonomia e a individuare i
responsabili della “tirannia tecnologica”!
Sono passati alcuni anni da quanto a una
conferenza alla FNAC [libreria] di Grenoble, Didier Marsacq, ricercatore al CEA
(Commissariato per l’energia atomica) specializzato in micropile a combustibile
per cellulari, dichiarava: “certamente, queste pile costeranno più care rispetto
a ricaricare un telefono da una presa elettrica, ma il nostro target sono gli
adolescenti, immaturi e meno razionali, e pensiamo che saranno attratti dalla
tecnologia senza fili” (individuato per il suo senso del commercio, questo
ricercatore è stato successivamente reclutato dal gruppo Sogeti come direttore
commerciale per le vendite di soluzioni di cybersicurezza).
“Perché i giovani sono i più colpiti?”
Perché i ricercatori vogliono che le loro invenzioni fruttino, gli industriali
vogliono vendere sempre più gadget ai consumatori, i pubblicitari e gli addetti
al marketing vi hanno identificato come i perfetti ingenui. Guardate come
disprezzano i vostri diciassette anni. Vi piace essere dei “target”
nel loro mirino?
Oltre alla vostra supposta “immaturità”,
i venditori giocano sul fatto che voi non avete conosciuto che un
mondo di chincaglieria elettronica. Ignorate come si possa vivere
senza smartphone, computer, internet e altri dispositivi (in attesa dell’ultimo
iWatch di Apple, senza il quale si vive bene lo stesso, non trovate?). Non
avete l’età per poter paragonare la vita di prima (meno di vent’anni fa) e
quella di oggi. Soprattutto, come vivreste senza queste
tecnologie, nel mondo di queste tecnologie?
Sareste informati della prossima serata senza uno smartphone? Senza Facebook? I
vostri amici vi darebbero appuntamento senza Whatsapp? Osereste dire a scuola
che non avete uno smartphone? O cercare un lavoro d’estate senza essere
raggiungibili in ogni momento? Difficile, a meno di sopportare sarcasmi,
incomprensioni, rifiuti.
Sapete come noi che lo smartphone e internet ci sono imposti. Per vivere
nell’e-mondo, insieme ai suoi contemporanei, ognuno deve essere equipaggiato di
interfacce di connessione. Altrimenti è come nuotare sott’acqua senza bombola
d’ossigeno.
Ciò non è accaduto naturalmente. Voi non siete nativi digitali per via di un processo spontaneo,
ma per volontà di Didier Marsacq e dei suoi colleghi, ingegneri, ricercatori,
industriali, commercianti. La generazione dei vostri genitori, che è cresciuta
in un altro tipo di mondo, non ha mai avuto voce in capitolo su questa rivoluzione. Nessuno l’ha consultata
per sapere se desiderasse precipitare in un mondo digitale e se
questo nuovo mondo gli sembrasse più invidiabile di un altro. Al contrario, il
“techno-gratin” [insieme dei pezzi grossi della ricerca e dell’amministrazione,
i cui legami determinano e sostengono lo sviluppo tecnologico] preoccupato di
possibili opposizioni, ha messo in campo delle procedure per evitare ogni
rifiuto (lo smacco degli OGM gli aveva insegnato la prudenza).
Non si tratta di rispondere ai bisogni
reali, ma di trovare degli sbocchi redditizi per una tecnologia: “quando un concetto
appare in rottura o avanti rispetto ai tempi lanciamo degli esperimenti che
consistono nell’immergere degli individui in un ambiente futuro simulato, così
da realizzare dei test di utilizzo. I prodotti progettati appaiono in questo
modo maggiormente sensati per gli utilizzatori”. Così si presenta l’Idea’s
laboratory del CEA-Minatec [www.ideas-laboratory.com;
si tratta di un complesso dedicato alle micro e nano tecnologie, situato a
Grenoble]. Un laboratorio in cui ricercatori, sociologi, designer, artisti, si
domandano quali prodotti tecnologici potrebbero essere accettabili per la
popolazione. Esempio: degli occhiali a “realtà aumentata”? È un nostro urgente
bisogno? No, certamente. Ma i manipolari dell’Idea’s Lab ce lo vogliono vendere
e hanno i mezzi per farcelo accettare, per acclimatarci a mutazioni
tecnologiche che non abbiamo richiesto.
Secondo voi, che cosa cambia
maggiormente le nostre vite: il colore del partito politico al
potere o internet? Il mondo cambia perché abbiamo questo o quell’altro politico
o perché l’informatica e le reti permettono di fare delle transazioni
finanziarie globali alla velocità della luce? Avete capito che la tecnologia è
politica fatta con altri mezzi, i più efficaci in effetti.
La politica, in democrazia, è affare di
tutti. A ogni cittadino è richiesta la sua opinione negli affari collettivi. Non avendo mai deciso collettivamente di vivere in un mondo
digitale, accelerato, iperconnesso, possiamo dire che stiamo vivendo sotto una
tirannia tecnologica.
Per voi questa vita è normale. Gli animali nati allo zoo ignorano che
potrebbero correre nella savana e per questo non soffrono – si pensa – a essere
allevati in cattività. E voi? Di che cosa ignorate di soffrire?
Vi si dice che le nuove tecnologie sono
“neutre”, né buone né cattive, e che bisogna solamente evitare il “cattivo
utilizzo” o il loro uso “eccessivo”. Questa menzogna non resiste a un mini
questionario:
1) Chi decide che un utilizzo sia buono
o cattivo, e per chi? In quali circostanze?
2) Si possono salvaguardare gli utilizzi buoni ed eliminare quelli cattivi?
3) Si è mai riusciti, una volta in tutta la storia delle tecnologie, a eliminare i supposti cattivi utilizzi?
2) Si possono salvaguardare gli utilizzi buoni ed eliminare quelli cattivi?
3) Si è mai riusciti, una volta in tutta la storia delle tecnologie, a eliminare i supposti cattivi utilizzi?
Risposta: la tecnologia è sempre buono
e cattivo utilizzo. La tecnologia è ambivalente: ora buona, ora
cattiva. Pretendere di distinguere è voler separare le due facce di una stessa
medaglia. Questa è una banalità che però va ribadita senza sosta, tanto la
propaganda è insistente.
E adesso la vera questione: in cosa la tecnologia (e tutti i
suoi usi) cambia il mondo, le nostre vite, i nostri corpi, la nostra relazione
con lo spazio e il tempo, con gli altri, con noi stessi? Internet e lo
smartphone accelerano la vita sociale, fino a rendere estenuanti le giornate di
lavoro (essere raggiungibili in ogni momento, rispondere immediatamente, fare
dieci cose contemporaneamente, etc.) sopprimendo ogni tempo “morto” in cui si
poteva ancora riflettere, avere delle idee, pensare per sé. La continua sollecitazione dall’esterno (ho
ricevuto un messaggio? perché non mi risponde? cosa stanno facendo i miei
amici? che succede altrove?) ci priva del legame vitale con la nostra interiorità. Da
questa perdita derivano molte patologie individuali e sociali: depressione,
sofferenza sul lavoro, sentimento di vuoto, suicidio, dipendenze, violenza etc.
Le nuove tecnologie ci separano dai noi
stessi, ma fanno anche da schermo nei confronti del mondo reale, sensibile. Ci impediscono
di comprendere la realtà con i nostri sensi, le nostre capacità di analisi. Con
il naso sul GPS o sulle mappe dello smartphone non sappiamo più leggere il
paesaggio, né orientarci nello spazio. La protesi elettronica ci mutila delle
nostre facoltà. E che importa, direte voi: io, appunto, ho la mia protesi
tecnologica! Ma quando si guasta, quando avete finito la batteria, quando
perdete il vostro aggeggio tecnologico: panico generale. Siete del tutto dipendenti. E nemmeno lo
specialista in tossicodipendenze potrà risolvere il problema.
Ma, ancor più grave: state perdendo il gusto dell’autonomia. Il piacere
naturale di cavarsela contando sulle proprie forze (e
l’aiuto degli amici). Per noi, studenti, non c’è maggiore soddisfazione di
esser capaci di pensare e agire da soli. I vostri genitori hanno cercato di
incoraggiarvi a diventare individui autonomi. Ma viviamo nell’epoca della
“nomofobia” (paura incontrollata di rimanere sconnessi dalla rete di telefonia
mobile), l’epoca in cui vivere sei mesi senza internet è una tale prodezza che
merita un libro [si veda: Thierry Crouzet, J’ai débranché: comment revivre
sans internet après une overdose, Parigi, Fayard, 2012]. La perdita
di autonomia è irreparabile, visto che facilita il compito dei manipolatori,
venditori di gadget e imbroglioni politici, amputando il nostro spirito
critico, la nostra capacità di dire “no”. Le chiacchiere infestano internet,
non solamente perché internet accelera la loro diffusione, ma perché domandando tutto a Google perdiamo l’abitudine di giudicare da
soli. Ecco perché la “scuola digitale” è anche un crimine
contro il pensiero.
Noi abbiamo scritto dei libri per
illustrare le distruzioni delle nuove tecnologie: danni all’ambiente e alla
salute, controllo generalizzato e perdita di libertà, etc. Vogliamo ora
attirare la vostra attenzione su due punti in particolare:
1) Al di là di smartphone e internet, le
nuove tecnologie occupano molti altri campi. Dai microchip elettronici RFID che
invadono ogni centimetro del quotidiano e fanno del nostro ambiente un
mondo-macchina pilotabile a distanza, ai robot che ci rimpiazzano in quasi ogni
aspetto delle nostre vite, passando per i primi cyborg e i primi “organismi
viventi artificiali”, un mondo nuovo si prepara senza di noi. Il suo carattere
principale: l’eliminazione dell’umano. Ci stiamo trasformando in “oggetti
comunicanti”, il mondo di domani sostituisce il governo degli individui con
l’amministrazione delle cose.
2) La vostra generazione conoscerà gli
effetti del cambiamento climatico, causato dalle “nuove tecnologie” degli
ultimi cento anni (automobili, industrie, agricoltura industriale etc.).
Ma non è questo il solo lascito delle
generazioni precedenti. In ciascuna di esse ci sono stati dei refrattari che
hanno rifiutato di lasciarvi queste ferite. Queste minoranze hanno perso, in
generale, ed è il loro scacco – e la potenza dei loro nemici – che ha così
disfatto questo mondo. Avevano contro di loro i forsennati
dell’industrializzazione, come quel presidente di industrie chimiche che
strillava: “le generazioni future non ci daranno problemi, faranno come hanno
fatto tutti!”.
Voi non siete responsabili del mondo che
vi abbiamo lasciato, ma siete responsabili di quello che lascerete. Ci si dice che
bisogna “vivere nel proprio tempo” (cioè che non abbiamo scelta). Noi pensiamo
che il coraggio, oggi come ieri, sia di vivere contro il proprio tempo.
Persone della vostra età, nel maggio
Sessantotto, avevano scritto: “Spegnete la tele, scendete in strada”.
Noi vi diciamo:
Gettate i vostri schermi, scendete in
strada.
Lasciate la realtà virtuale per la vita reale.
Lasciate la realtà virtuale per la vita reale.
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Pièces et Main d’Oeuvre: una breve
presentazione
Pièces et Main d’Oeuvre, atelier di
bricolage per la costruzione di uno spirito critico a Grenoble, è attivo
dall’autunno 2000 con diverse modalità d’azione: inchieste, manifestazioni,
riunioni, libri, volantini, manifesti, opuscoli, interventi sui media e su
internet, etc.
Pièces et Main d’Oeuvre non è il nome di
un collettivo, ma di individui politici. Noi rifiutiamo il pensiero
politicamente corretto del gregarismo, che accorda valore solo a ciò che viene
detto “collettivamente”, per ridurlo a conformismo, a pigrizia e a incapacità,
nell’anonimato del gruppo. Non sollecitiamo persone “che facciano parte”,
vogliamo invece allearci ogni volta che sia possibile e necessario, con altri
che “facciano” per loro stessi.
Come rifiutiamo di identificarci con gli
anonimi, quelli che non hanno mai la parola, così rifiutiamo di metterci sul
piano dello specialismo tecnico, cioè quello stratagemma del sistema per
depoliticizzare le prese di decisioni e spossessare i membri della società
della loro responsabilità politica. Il rifiuto riguarda anche i
“contro-esperti”, ovvero la trappola del sistema tecnico per infiltrare e
ricondurre le opposizioni alla tirannia tecnologica.
In breve: pensiamo che la tecnologia –
non le sue “derive” – sia l’aspetto fondamentale dell’odierno capitalismo,
dell’economia planetaria globalizzata. La tecnologia è la continuazione della guerra,
cioè della politica, fatta con altri mezzi. Se la polizia è l’organizzazione
razionale dell’ordine pubblico – della città – e la guerra un atto di violenza
per imporre la propria volontà agli altri, questa razionalità e questa violenza
si fondono e culminano nella tecnologia. La tecnologia è il fronte principale
della guerra tra chi ha il potere e chi non lo ha, quello che comanda gli altri
fronti. Ogni innovazione tecnologica comporta infatti, a cascata, un
peggioramento dei rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori su tutti i
livelli.
Quanto alla nostra pratica, sappiamo che
non si vince sempre con la forza numerica delle masse, ma anche che non si
vince mai senza di loro e ancora meno contro di loro. Nessuno, ad oggi, ha
trovato altri mezzi di trasformare le idee in forza materiale, e la critica in
atti, che la convinzione delle larghe masse.
Noi sosteniamo che le idee siano
decisive. Le idee hanno delle ali e delle conseguenze. Un’idea che vola di
cervello in cervello diventa una forza d’azione irresistibile e trasforma i
rapporti di forza. È per prima cosa una battaglia d’idee che noi, senza potere,
lanciamo al potere, quindi dobbiamo essere innanzitutto produttori d’idee. E
per produrre idee facciamo leva per prima cosa sulla critica sociale, alimento
e condizione primaria, sebbene insufficiente, di ogni azione.
Se la critica impiega ogni mezzo, è
l’inchiesta che li rende disponibili. Se siamo riusciti a seminare qualche
dubbio, ad esempio sulle nanotecnologie e le tecnologie convergenti, sulla
biometria, la tecnologia RFID e le neurotecnologie, sugli smartphone e ciò che
vi è correlato, sulla distruzione del territorio e la cannibalizzazione operata
dal sistema tecnico sull’ecosistema, lo abbiamo fatto a forza di inchieste, di
continui contributi scritti e di interventi in occasione di eventi.
Una critica di cui possiamo enunciare
alcuni tratti fondamentali.
Anticipare. Contestare prima piuttosto
che a cose fatte. Essere offensivi piuttosto che sulla difensiva. Fare la
differenza concentrandosi sui punti deboli piuttosto che girare attorno alle
ovvietà. Studiare i sintomi attuali per risalire alla radice dei mali. Portare
delle prove, lasciando al sistema il compito della sua difesa. Non denunciare
mai le malefatte senza denunciare i malfattori. Non rispondere alle loro
manovre diversive e di recupero. Non abbandonare mai la battaglia contro le
necrotecnologie.
Speriamo che a Grenoble e altrove si
moltiplichino i critici e le loro inchieste, che leghino il locale al globale,
il concreto all’astratto, il passato al futuro, il particolare al generale, per
demolire la tirannia tecnologica ed elaborare da tecnopoli a tecnopoli una
conoscenza e una resistenza comuni.
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