L’indispensabilità dello smartphone, macchina per eccellenza di questa prima parte del secolo, solleva molte domande. La più intrigante è cui prodest? Chi ci guadagna? Sicuramente serve un suo uso più consapevole.
Lo
smartphone è la macchina per eccellenza di questa prima parte del XXI secolo. Non
solo perché è usato – con grande profitto e, spesso, con divertimento – da più
di quattro miliardi di persone, ma anche e soprattutto perché è diventato necessario. Senza smartphone, infatti, è diventato
molto difficile, e in certi casi impossibile, lavorare, comprare, studiare,
interagire con lo Stato, fare operazioni bancarie, prendere appuntamenti,
viaggiare e molto altro ancora. In altre parole: vivere. Non era mai successo nella storia dell’umanità
che una macchina diventasse così indispensabile per i singoli individui. Non
era successo né nei decenni scorsi con le due macchine che hanno generato –
accoppiandosi – lo smartphone, ovvero, il telefono cellulare e il personal
computer, né tanto meno nei decenni precedenti, quando c’erano stati strumenti
anche molto diffusi e importanti, come l’orologio da polso e l’automobile, ma
mai così indispensabili.
All’anatomia
umana, insomma, è come se si fosse aggiunto un organo digitale, senza il quale
risulta difficile, se non impossibile, fare quasi tutto. Senza l’organo
digitale ci si avvia a diventare cittadini di serie B.
Questa
indispensabilità di fatto dello smartphone solleva molte domande, ma in questa
sede ci concentreremo su quattro questioni principali.
La prima è
la più generale: vogliamo davvero permettere che lo status di persona, di
essere umano che gode di determinati diritti, dipenda dal possesso di una
determinata macchina, qualunque essa sia? Formuliamo la domanda in termini
generali perché oggi parliamo di smartphone, ma domani potrebbe essere un altro
oggetto “smart” a svolgere lo stesso ruolo, per esempio un orologio, un anello
o degli occhiali “smart”, o addirittura un chip sotto pelle.
La seconda
questione è molto più prosaica, ma anch’essa importante: concentrare così tante
funzionalità e il godimento di così tanti diritti su di un’unica specifica
macchina pone dei seri problemi di robustezza sistemica.
Prima con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina abbiamo visto quanti
problemi abbiano provocato sistemi di approvvigionamento e produzione
insufficientemente robusti: vogliamo davvero caricare lo smartphone di così
tante funzionalità senza prevedere sistematicamente delle alternative? O
dobbiamo aspettare un tempesta solare o qualche altro incidente che disturbi il
funzionamento di Internet per capire per l’ennesima volta che la robustezza è
importante almeno quanto l’efficienza?
Concentrando
lo sguardo sullo smartphone in quanto oggetto fisico, un minimo di comprensione
del suo funzionamento interno evidenzia quanto sia un’oggetto
estremamente opaco e, nella sua opacità,
acutamente infedele. Tranne pochi esperti o
appassionati, infatti, miliardi di persone usano lo smartphone senza essere
minimamente consapevoli non solo dei dati, alcuni davvero sensibili, che
vengono raccolti su di loro, ma anche e soprattutto delle possibili conseguenze
dell’uso di quei dati. Lo smartphone monitora dove siamo, se stiamo
camminando, correndo o salendo le scale, quanto è luminoso l’ambiente in cui ci
troviamo, quali app stiamo usando e che cosa facciamo dentro a ciascuna app, se
stiamo tenendo il telefono in verticale o in orizzontale, che cosa diciamo
quando parliamo, quale musica stiamo ascoltando, se siamo vicini a un
determinato negozio od ospedale, se stiamo telefonando, e così via. Alcuni di questi
dati possono rimanere riservati se il sistema operativo lo consente e se
l’utente, consapevole di avere questa facoltà, la esercita per negare
l’accesso. Ma in generale lo smartphone è una macchina che produce prodigiose
quantità di dati in merito agli utenti e agli ambienti in cui si trovano, senza
che gli utenti ne siano consapevoli e, come dicevamo, senza che possano
umanamente capire i possibili usi – anche futuri, anche a distanza di anni – di
tali loro dati personali.
La quarta e
ultima questione è: cui prodest? Ovvero,
chi beneficia davvero dall’enorme diffusione e centralità dello smartphone?
Tutti noi utenti ne beneficiamo, certo, avvalendoci delle sue molte
funzionalità, e insieme a noi un numero enorme di imprese, associazioni e
pubbliche amministrazioni in tutto il mondo. Ma gli utenti sono in fondo alla
catena del valore, non in cima. Gli utenti beneficiano di determinate
funzionalità, ma, come abbiamo visto, producono – quasi sempre
inconsapevolmente – enormi quantità di dati su loro stessi che fluiscono
altrove. Dove? Verrebbe da dire: cherchez les
données ! Ovvero, seguiamo i flussi dei dati. Se lo facessimo,
scopriremmo che i dati vanno ai padroni dei due soli sistemi operativi per
smartphone, ovvero, Apple e Google (che posseggono rispettivamente iOS e
Android), e a quel ristretto numero di app su cui gli utenti passano la maggior
parte del tempo (tra le quattro e le cinque ore al giorno), ovvero, Facebook,
Instagram, Whatsapp, TikTok, Twitter, Tinder, YouTube, e poche altre. Sono, quindi,
un ristretto gruppo di imprese, prevalentemente statunitensi (TikTok è
l’eccezione che conferma la regola) che stanno in cima alla catena del valore
dello smartphone. Con un posto particolare per Apple e Google, le quali non
solo raccolgono dati degli utenti, ma hanno la piena sovranità di decidere,
grazie ai loro sistemi operativi, che cosa si fa e che cosa non si fa sui
«loro» telefoni. È il sistema operativo, infatti, che determina quali
operazioni può eseguire l’utente (e quali no), e anche con quanta facilità o
difficoltà, e su quali funzionalità possono fare affidamento (o meno) le
applicazioni. Con l’aggiunta che gli utenti devono per forza scegliere tra le
app disponibili nei «negozi» di Apple e Google (con qualche piccolo margine di
libertà nel caso di Android).
Per
concludere, lo smartphone è una macchina di straordinaria utilità, ma
anche ignorando, per limiti di spazio, tutta una serie di altre conseguenze
(psicologiche, fisiche, ambientali, lavorative, ecc.), è una macchina che sta
diventando necessaria e già questo è un
primo problema che dobbiamo considerare con attenzione. In secondo luogo, sta
diventando l’unico modo per fare molte cose, creando così seri rischi di
robustezza sistemica. In terzo luogo, è una macchina opaca e infedele nei
confronti degli utenti. In quarto e ultimo luogo, è una macchina controllata in
larga parte da una manciata di grandi imprese, che ne determinano la
configurazione e le direzioni di sviluppo.
È
inevitabile che sia così? In breve: no. Innanzitutto, si potrebbero fare molte
cose per evitare che lo smartphone diventi necessario. Poi lo smartphone stesso
potrebbe essere molto più trasparente e fedele nei confronti dell’utente, oltre
che rispettoso dell’ambiente e dei lavoratori che contribuiscono alla sua produzione.
Basterebbe volerlo. Ma, prima di riuscire a volerlo, è indispensabile scuoterci
dal torpore e prendere consapevolezza di quanto sia critica la situazione dopo
questi anni passati a guardare lo schermo dello smartphone.
Articolo apparso, in forma leggermente diversa, su
“Robinson” (La Repubblica), 17 settembre 2023.
* L’autore Juan Carlos De Martin è professore ordinario presso il
dipartimento di informatica del Politecnico di Torino.
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