Intervista di Chiara Giorgi e Nicoletta Dentico all’economista Mariana Mazzucato sul suo ultimo libro «Il grande imbroglio»: “Gli stati sono deboli e si fanno corrompere facilmente”. Il ruolo della società di consulenza McKinsey anche nel vaglio dei progetti del nostro Pnrr.
Sarebbe difficile includerla nel novero delle rivoluzionarie. Ma da tempo
il suo lavoro di ricerca illumina alcune storture dell’economia e della
politica. Stiamo parlando di Mariana Mazzucato, economista e docente
all’University College London, dove dirige l’Institute for Innovation and
Public Purpose. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione del lancio
del suo ultimo libro scritto con Rosie Collington, Il Grande Imbroglio, tradotto da Laterza. Un’indagine
sul ruolo delle società di consulenza, come McKinsey, Deloitte, Kpmg, a cui i
governi affidano sempre più spesso il disegno e la gestione degli orizzonti
strategici da perseguire.
Questa volta ha deciso di rompere il silenzio su una
delle strutture intermedie più influenti e opache che oliano gli ingranaggi del
capitalismo contemporaneo.
Tutto il mio lavoro ruota intorno alla stessa domanda: come governiamo e come
risolviamo le sfide del nostro tempo (salute, clima, digital divide)? E la
questione è sempre la stessa, il ruolo della funzione pubblica, lo Stato che ha
smesso di investire sulle proprie capacità e ha preso a imitare il settore
privato, con le sue parole d’ordine, le sue logiche, perdendo il controllo
della situazione. La pervasiva presenza, del tutto inefficiente e tossica,
delle società di consulenza dentro le stanze decisionali della funzione
pubblica a livello globale non è che una delle manifestazioni meno conosciute
di questo processo di privatizzazione occulta, e in ultima analisi di
“infantilizzazione” dei governi e delle loro funzioni.
Quindi sta dicendo che i governi devono recuperare un nuovo senso di sé e delle
responsabilità che sono chiamati a esercitare?
Precisamente. Dopo Thatcher e Reagan ai governi è stato riservato il ruolo di
riparare i fallimenti del mercato nella migliore delle ipotesi, più spesso di
togliersi di mezzo. Ai governi spetta trovare i soldi, spetta facilitare (la
più subdola parola al mondo), ridurre i rischi per gli investitori. Ma perché
mai lo Stato dovrebbe assorbire il rischio d’impresa? Occorre sovvertire le narrazioni
sulle incapacità della funzione pubblica. Dobbiamo esigere una politica che sia
capace di rischiare, sperimentare, orientare le proprie azioni verso missioni
strategiche. La funzione pubblica deve essere in grado di riprendere la regia
rispetto al settore privato, non il rapporto sregolato e parassitario oggi in
essere. Altro che società di consulenza, con i loro power point sempre uguali: non capiscono nulla di
funzione pubblica!
Eppure sono ovunque ormai, spesso invisibili alla
società.
Per questo si affronta il tema nel libro. Sono ovunque, parassiti di sistema. È
il motivo per cui non ho firmato il rapporto della Commissione Colao, di cui
facevo parte, in pieno Covid-19. Al primo incontro eravamo una quindicina fra
accademici ed esperti, ma nella stanza c’erano anche 13 persone di McKinsey,
infiltratesi silenziosamente. Ho chiesto conto della loro non neutrale
presenza. In tutta risposta, Colao mi ha assicurato che prestavano la
consulenza a titolo gratuito e che la funzione pubblica italiana non avrebbe
potuto gestire la cosa. Primo, non è vero. Secondo, qui si parlava di fondi, di
scelte strategiche, di cosa mettere o non mettere nelle misure del governo. E
infatti nel rapporto finale ci avevano messo anche il patent box (agevolazioni
fino al 50% dei redditi per incentivare investimenti in ricerca e sviluppo, e
l’utilizzo di beni immateriali come i brevetti). Una misura sbagliata di cui ho
scritto tutta la vita. Che senso ha incentivare i brevetti, monopoli che già
assicurano sconfinati profitti? Certo, ha senso per McKinsey e i suoi clienti
privati. E ora la selezione dei progetti del Pnrr è nelle mani di queste
società di consulenza.
Una forma di colonizzazione insomma.
Esatto, colonizzatori che riescono a farti parlare la loro lingua, veicolando
le loro idee, quelle del settore privato. Perché uno Stato debole e impaurito,
un governo che facilita si fa catturare facilmente, si fa corrompere, questo è
il problema. Succede in Italia, negli Stati Uniti, in Africa.
Quale è la relazione fra le società di consulenza e la
privatizzazione e finanziarizzazione della agenda sociale?
Il libro è pieno di esempi, più o meno recenti, anche nei paesi che hanno
investito in capacità pubblica, come l’Australia, dove però hanno elargito a
McKinsey 6 milioni di dollari per redigere una strategia climatica notoriamente
pessima, piena di conflitti di interesse. Oppure la Gran Bretagna: durante il
Covid ha firmato un contratto di 1 milione di sterline al giorno con Deloitte
per tracciare i test. Un disastro, che ne capisce questa di contagi?
Dunque, che fare?
Non siamo contro i consulenti, siamo contro l’industria delle consulenze e la
sua velenosa pervasività nella funzione pubblica. Il segno di una insicurezza
che va sanata. Proponiamo diverse soluzioni. In primis, occorre
intervenire sui conflitti di interesse e sui termini della relazione con i
privati. Serve re-immaginare il ruolo dello Stato dopo queste catastrofi.
Cambiare la cultura dei governi, rendere la pubblica amministrazione creativa e
agile, per una economia di missione è possibile. Necessario, direi.
Intervista pubblicata da il manifesto del 22 novembre 2023
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