lunedì 27 novembre 2023

Gli Ezidi. Una storia di persecuzioni e un genocidio dei nostri giorni - Michele Sferlinga

  

Alla fine del maggio scorso una delegazione italiana composta da alcuni esponenti della società civile, legati all’associazione Verso il Kurdistan Odv, ha compiuto un viaggio nella città irachena di Shengal, un piccolo complesso urbano abitato per lo più da esponenti della comunità ezida, dove dal 2014 è in corso una forma di autogoverno che prende il nome di Autonomia democratica di Shengal. Obiettivo del viaggio è stato ultimare il progetto di realizzazione di un presidio sanitario nella regione di Serdest, oltre a raccontare il dramma vissuto nel 2014 dalla comunità ezida, vittima di una ferocissima repressione da parte dell’Isis. Tornati da questa intensa esperienza, i membri dell’associazione (nata nel 2002 ad Alessandria, in Piemonte), da anni attivi con numerosi progetti di solidarietà e cooperazione con il popolo curdo, hanno deciso, su richiesta esplicita degli abitanti di Shengal, di lanciare una campagna di raccolta firme da sottoporre al Governo italiano per il definitivo riconoscimento del genocidio del popolo ezida (https://volerelaluna.it/mondo/2023/06/26/kurdistan-il-genocidio-degli-ezidi/).

Come evidenziato dalla giornalista Chiara Cruciati, «gli Ezidi sono sempre stati una cultura in conflitto con il sistema dominante, non sono mai diventati né uno Stato né una religione di Stato»; nel corso dei secoli «hanno accettato di integrarsi nella vita politica ed economica degli stati, sottomettendosi allo sfruttamento, costretti con la forza o convinti con la persuasione» (R. Beritan, C. Cruciati, La montagna sola. Gli ezidi e l’autonomia democratica di Sengal, Edizioni Alegre, 2022, pp. 36-37). Nella sua millenaria storia, il popolo ezida è sopravvissuto a settantaquattro ferman, termine utilizzato nella lingua natale kurmanji per riferirsi a tutti quelli “editti” con cui veniva ordinato per motivi religiosi, economici o politici il massacro dell’intera popolazione. Settantaquattro, fino ad arrivare al 2014, con l’ultimo tragico e brutale tentativo di sterminio avvenuto per mano dell’Isis.

In seguito a quel drammatico evento, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha incaricato l’Independent International Commision of Inquiry on the Syrian Arab Republic – una Commissione istituita nel 2011 dal Consiglio dei Diritti Umani – di investigare sui crimini perpetrati dall’Isis ai danni del popolo ezida, avvalendosi di numerose interviste a sopravvissuti, leader religiosi, attivisti, giornalisti ecc. L’esito di questa inchiesta, pubblicata all’interno del report They came to destroy: ISIS crimes against the Yazidis, evidenzia come, secondo la Commissione, sia possibile parlare, rispetto a quanto avvenuto nel 2014, di vero e proprio genocidio, applicando l’art. 2 della Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e repressione del delitto del genocidio. Secondo il testo della Convenzione, siglato tra gli altri anche da Siria e Iraq,

«per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro» (art. 2).

Data questa disposizione, la Commissione non solo ha ritenuto corretto identificare gli ezidi come un gruppo etnico e religioso, ma, attraverso le diverse testimonianze raccolte, ha determinato come l’Isis abbia compiuto una serie di attività criminali, con lo specifico intento di distruggere e annientare il popolo ezida di Shengal. Per questo motivo, l’Onu ha riconosciuto ufficialmente il genocidio degli ezidi in base a quanto stabilito all’art. 2 della Convenzione per la repressione del genocidio. L’Organizzazione delle Nazioni Unite non è l’unico organismo politico ad aver riconosciuto il genocidio ezida. Altre assemblee legislative, come il Bundestag tedesco, i parlamenti australiano, olandese e belga hanno dichiarato il pubblico riconoscimento del genocidio. Qualche mese fa, all’inizio di agosto, nel nono anniversario del massacro, anche il Parlamento inglese ha ufficialmente riconosciuto il genocidio ezida; il quinto nella storia anglosassone dopo Olocausto, Rwanda, Srebrenica e Cambogia.

E in Italia? Come riportato nel messaggio diffuso dall’Associazione “Verso il Kurdistan”, il 26 marzo 2019 è stata approvata nella Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera una risoluzione che impegna il Governo, tra le altre cose, «ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità internazionale e valutare le modalità più opportune per riconoscere il genocidio yazida». Nonostante questo atto non abbia generato alcun effetto politico concreto nella legislatura scorsa, negli ultimi mesi, grazie al costante lavoro svolto dalle tante realtà associative attive su questo tema, alcuni passi avanti sono stati raggiunti. A livello locale, in molti comuni italiani sono state approvate delibere per il riconoscimento del genocidio. Ciò è avvenuto, in particolare, a Firenze, dove è stato sancito l’impegno «a rappresentare in ogni sede istituzionale la necessità del riconoscimento del popolo ezida come vittima di un genocidio».

Sul piano nazionale, il 12 luglio 2023 il senatore Tino Magni ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale affinché venga chiarito quali iniziative intende assumere il Governo italiano «per sensibilizzare la comunità internazionale […], anche al fine di riconoscere ufficialmente il genocidio ezida». Nella risposta, pubblicata il 23 ottobre scorso, si legge che «il Governo continuerà a fornire assistenza alla comunità ezida in Iraq, a sollevare nei fora multilaterali, ma anche in tutte le occasioni utili a livello bilaterale, la questione delle violenze sessuali», sostenendo «in tutte le sedi propizie iniziative volte a rafforzare il sistema di perseguimento dei responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario». Non, dunque, un autentico riconoscimento del genocidio, come avvenuto in altri paesi, ma, almeno, un impegno, una promessa di sollevare la questione durante gli incontri istituzionali con i rappresentanti degli Stati.

Eppure, l’importanza di questo riconoscimento ufficiale era stata sottolineata anche l’11 ottobre durante una sessione del Comitato permanente sui Diritti umani nel mondo, istituito presso la commissione Esteri della Camera dei deputati e presieduto dall’onorevole Laura Boldrini, con un’audizione proprio dei rappresentanti dell’associazione Verso il Kurdistan e dell’ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki onlus). Dopo i puntuali interventi dei rappresentanti delle associazioni, in quell’occasione, era stata ribadita l’importanza e la necessità di attuare questo riconoscimento anche da parte del Parlamento italiano, dando concreta attuazione alla risoluzione approvata quattro anni prima.

L’articolo riprende quello pubblicato il 16 novembre nel sito de “La via libera”
(https://lavialibera.it/it-schede-1592-genocidio_shengal_isis_kurdistan_italia_mancato_riconoscimento )

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