Alla fine
del maggio scorso una delegazione italiana composta da alcuni esponenti
della società civile, legati all’associazione Verso il Kurdistan
Odv, ha compiuto un viaggio nella città irachena di Shengal, un piccolo
complesso urbano abitato per lo più da esponenti della comunità
ezida, dove dal 2014 è in corso una forma di autogoverno che prende il nome
di Autonomia democratica di Shengal. Obiettivo del viaggio è stato
ultimare il progetto di realizzazione di un presidio sanitario nella regione
di Serdest, oltre a raccontare il dramma vissuto nel 2014 dalla comunità ezida,
vittima di una ferocissima repressione da parte dell’Isis. Tornati da
questa intensa esperienza, i membri dell’associazione (nata nel 2002 ad
Alessandria, in Piemonte), da anni attivi con numerosi progetti di solidarietà
e cooperazione con il popolo curdo, hanno deciso, su richiesta esplicita degli
abitanti di Shengal, di lanciare una campagna di raccolta firme da sottoporre
al Governo italiano per il definitivo riconoscimento del genocidio del
popolo ezida (https://volerelaluna.it/mondo/2023/06/26/kurdistan-il-genocidio-degli-ezidi/).
Come
evidenziato dalla giornalista Chiara Cruciati, «gli Ezidi sono sempre
stati una cultura in conflitto con il sistema dominante, non sono mai diventati
né uno Stato né una religione di Stato»; nel corso dei secoli «hanno
accettato di integrarsi nella vita politica ed economica degli stati,
sottomettendosi allo sfruttamento, costretti con la forza o convinti con la
persuasione» (R. Beritan, C. Cruciati, La montagna sola. Gli ezidi e
l’autonomia democratica di Sengal, Edizioni Alegre, 2022, pp. 36-37).
Nella sua millenaria storia, il popolo ezida è sopravvissuto a settantaquattro ferman, termine
utilizzato nella lingua natale kurmanji per riferirsi a tutti
quelli “editti” con cui veniva ordinato per motivi religiosi, economici o
politici il massacro dell’intera popolazione. Settantaquattro, fino ad arrivare
al 2014, con l’ultimo tragico e brutale tentativo di sterminio avvenuto per
mano dell’Isis.
In seguito a
quel drammatico evento, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha
incaricato l’Independent International Commision of Inquiry on the
Syrian Arab Republic – una Commissione istituita nel 2011
dal Consiglio dei Diritti Umani – di investigare sui crimini perpetrati
dall’Isis ai danni del popolo ezida, avvalendosi di numerose interviste a
sopravvissuti, leader religiosi, attivisti, giornalisti ecc. L’esito di questa
inchiesta, pubblicata all’interno del report They came to destroy: ISIS crimes against the Yazidis, evidenzia
come, secondo la Commissione, sia possibile parlare, rispetto a quanto avvenuto
nel 2014, di vero e proprio genocidio, applicando l’art. 2 della Convenzione
del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e repressione del delitto del genocidio.
Secondo il testo della Convenzione, siglato tra gli altri anche da
Siria e Iraq,
«per
genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di
distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso, come tale: a) uccisione di membri del
gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del
gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a
condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o
parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del
gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro»
(art. 2).
Data questa
disposizione, la Commissione non solo ha ritenuto corretto identificare gli
ezidi come un gruppo etnico e religioso, ma, attraverso le diverse
testimonianze raccolte, ha determinato come l’Isis abbia compiuto una
serie di attività criminali, con lo specifico intento di distruggere e
annientare il popolo ezida di Shengal. Per questo motivo, l’Onu ha
riconosciuto ufficialmente il genocidio degli ezidi in base a quanto stabilito
all’art. 2 della Convenzione per la repressione del genocidio. L’Organizzazione
delle Nazioni Unite non è l’unico organismo politico ad aver riconosciuto il
genocidio ezida. Altre assemblee legislative, come il Bundestag tedesco, i
parlamenti australiano, olandese e belga hanno dichiarato il pubblico riconoscimento
del genocidio. Qualche mese fa, all’inizio di agosto, nel nono anniversario del
massacro, anche il Parlamento inglese ha ufficialmente riconosciuto
il genocidio ezida; il quinto nella storia anglosassone dopo Olocausto, Rwanda,
Srebrenica e Cambogia.
E in Italia?
Come riportato nel messaggio diffuso dall’Associazione “Verso il Kurdistan”, il
26 marzo 2019 è stata approvata nella Commissione Affari Esteri e Comunitari
della Camera una risoluzione che impegna il Governo,
tra le altre cose, «ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità
internazionale e valutare le modalità più opportune per riconoscere il
genocidio yazida». Nonostante questo atto non abbia generato alcun effetto
politico concreto nella legislatura scorsa, negli ultimi mesi, grazie al
costante lavoro svolto dalle tante realtà associative attive su questo tema,
alcuni passi avanti sono stati raggiunti. A livello locale, in molti comuni
italiani sono state approvate delibere per il riconoscimento
del genocidio. Ciò è avvenuto, in particolare, a Firenze, dove è stato sancito l’impegno «a
rappresentare in ogni sede istituzionale la necessità del riconoscimento del
popolo ezida come vittima di un genocidio».
Sul piano
nazionale, il 12 luglio 2023 il senatore Tino Magni ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro degli
affari esteri e della cooperazione internazionale affinché venga chiarito
quali iniziative intende assumere il Governo italiano «per sensibilizzare
la comunità internazionale […], anche al fine di riconoscere ufficialmente il
genocidio ezida». Nella risposta, pubblicata il 23 ottobre scorso, si legge che
«il Governo continuerà a fornire assistenza alla comunità ezida in Iraq, a
sollevare nei fora multilaterali, ma anche in tutte le
occasioni utili a livello bilaterale, la questione delle violenze sessuali»,
sostenendo «in tutte le sedi propizie iniziative volte a rafforzare il sistema
di perseguimento dei responsabili di violazioni del diritto internazionale
umanitario». Non, dunque, un autentico riconoscimento del genocidio, come
avvenuto in altri paesi, ma, almeno, un impegno, una
promessa di sollevare la questione durante gli incontri istituzionali con i
rappresentanti degli Stati.
Eppure,
l’importanza di questo riconoscimento ufficiale era stata sottolineata anche
l’11 ottobre durante una sessione del Comitato permanente sui Diritti umani
nel mondo, istituito presso la commissione Esteri della Camera dei deputati e
presieduto dall’onorevole Laura Boldrini, con un’audizione proprio dei
rappresentanti dell’associazione Verso il Kurdistan e dell’ufficio di
Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki onlus). Dopo i puntuali interventi
dei rappresentanti delle associazioni, in quell’occasione, era stata ribadita
l’importanza e la necessità di attuare questo riconoscimento anche da parte
del Parlamento italiano, dando concreta attuazione alla risoluzione
approvata quattro anni prima.
L’articolo
riprende quello pubblicato il 16 novembre nel sito de “La via libera”
(https://lavialibera.it/it-schede-1592-genocidio_shengal_isis_kurdistan_italia_mancato_riconoscimento )
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