mercoledì 1 novembre 2023

Mia madre è un fiume – Donatella di Pietrantonio

Opera prima di Donatella di Pietrantonio, una storia familiare, con la quale occorre fare i conti. Una mamma ormai vecchia è seguita da un figlia, che ritrova la madre, i loro rapporti sono stati freddi, lontani, dolorosi.

La mamma faceva parte di una famiglia contadina, poverissima, ai limiti della sussistenza, a volte sotto quei limiti.

Quando Esperina partorisce la bambina i ritmi della vita contadina costringono la mamma a un rapporto minimo e superficiale.

La bambina cresce, soffrendo della mancanza di amore materno, alla fine andrà via, e si farà la sua vita.

Ma quando la madre ha bisogno la figlia riappare, per aiutarla, per quanto possibile, la madre è diventata come una bambina.

E per la figlia sarà l’occasione di fare i conti, di capire, di spiegare le ragioni di entrambe.

Il racconto della vita della madre, della sua famiglia di origine, è quello di una famiglia poverissima, di una comunità ai margini dell’economia, quella contadina e di sussistenza, come in quasi tutta l’Italia, che ha fornito i milioni di migranti (economici) che hanno popolato il mondo*.

Il libro non vi lascerà indifferenti, se siete ancora vivi.

 

*trovate e guardate anche questo film (Manodopera – Interdit aux chiens et aux italiens), se potete, per sapere qualcosa di quel nostro mondo antico, ma non troppo.

 

 

 

Una donna, ormai anziana, mostra i primi segni della malattia che le toglie i ricordi, l’identità, il senso stesso dell’esistenza. È tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la sua storia, la loro storia. Inizia così il racconto quotidiano di piccoli e grandi avvenimenti, a partire dalla nascita della mamma, Esperia, e delle sue cinque sorelle, nate da un reduce tornato comunista dalla Grande Guerra e da una contadina dritta ed elegante, malgrado le fatiche della campagna. I fili delle loro esistenze si svolgono dagli anni Quaranta fino ai nostri giorni, in un Abruzzo “luminoso e aspro”, che affiora tra le pagine quasi fosse una terra mitologica e lontana. Giorno dopo giorno sfilano i personaggi della famiglia, gli abitanti del piccolo paesino ancora senza acqua né luce; personaggi talmente legati a una terra avara, da tollerare a malapena trasferimenti a breve distanza – la ricerca di un lavoro, l’occasione di poter frequentare una scuola “in città” – partenze che si trasformano in vere emigrazioni con il solo scopo del ritorno. Sono ricordi dolcissimi e crudeli, pieni di vita e di verità, che ricostruiscono la storia di un rapporto e di un’Italia apparentemente così lontana eppure ancora presente nella storia di ognuno di noi.

da qui

 

ne esce una confessione, quasi un’elaborazione di sentimenti presenti in età adulta in una donna che si trova a invertire il suo ruolo da figlia a madre-badante della sua genitrice anziana ammalata. A complicare la situazione c’è un prerequisito: il loro rapporto è andato storto da subito, ossia fin dalla nascita. La scrittura adoperata, in più, non è sempre sciolta e scorrevole. Ci son diverse metafore che danno una certa poeticità al romanzo e nello stesso tempo in antitesi vi son frasi d’impatto – mia madre sa di morte, l’amore per lei è colpevole di non aver saputo trovare le vie del suo – se non addirittura interi periodi in cui pensieri e sentimenti forti vengono fuori in maniera pungente. Allora bummm un colpo violento allo stomaco scatena la domanda: perché proprio con chi dovremmo avere un rapporto amorevole, di gratitudine per antonomasia, siamo molto intransigenti e giudici? Perché è così difficile perdonare? Lo si può capire dai flash-back molto esaudenti presenti, nei quali oltre che essere narrazione di vita soggettiva con liberazione di emozioni della protagonista e soprattutto della voce narrante della figlia, descrivono un paesino montano della regione abruzzese agli inizi del secolo…

da qui

 

…Quando il libro mi è stato regalato, non l’ho letto subito, ma l’ho tenuto in serbo come qualcosa di prezioso. La scrittura di Donatella Di Pietrantonio mi cattura. Sempre. Già dalla prima pagina ho riconosciuto sentimenti provati, sensazioni nebulose che fatichiamo ad estrapolare dal profondo, qualcosa che rimane lì, molto ben conservato.
E’ un’esplorazione audace che si libera attraverso espressioni che raspano dentro, grattano, non si accontentano della superficie, in uno stile secco e fluido.

Certe volte la odio. Odio il tempo che mi costa. Non riesco ad usarle dolcezza. Non la tocco mai. Immagino solo di poterla accarezzare, sulle braccia, le mani deformate dall’artrosi. Non mi avvicino, se ci provo sento la forza che si oppone quando accosti i poli dello stesso segno di due calamite. Non le ho perdonato niente.


Consapevole di un’eredità che non si può scrollare, la figlia cura la madre, ma è incapace di prendersene cura.
Grazie davvero a quest’autrice che, mentre infonde stilettate alle nostre coperture, ai tentativi di celare sofferenze mai dipanate, ci quieta nel momento in cui riconosciamo le nostre imperfezioni.

da qui

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