TIM, la
sudditanza del governo Meloni contro gli interessi del popolo italiano - Francesco Erspamer
Per chi non lo sapesse, una volta la TIM
era la SIP, operatore telefonico controllato dallo Stato. Allora il settore
delle telecomunicazioni era considerato di vitale importanza per la sovranità e
sicurezza nazionale: che è la ragione per cui fu frettolosamente privatizzato
durante il golpe globale americano immediatamente seguito alla crisi e
dissoluzione dell’Unione Sovietica. Principali responsabili (non dimenticatelo
mai) furono i radicali più o meno chic, apripista del neoliberismo liberal e
libertario; anche se ad approfittarne e guadagnarci furono poi i due poli
pseudo-politici altrettanto frettolosamente costituiti a imitazione del modello
statunitense: a fingersi destra, i liberisti berlusconiani (inclusi quelli che
in precedenza si erano detti e magari erano stati conservatori o addirittura
fascisti), a fingersi sinistra, una coalizione di liberisti veltroniani (quelli
che si erano definiti socialisti o addirittura comunisti) e di liberisti
prodiani (quelli che si erano definiti cattolici). Così nel 1994 nacque Telecom
Italia e tre anni dopo l’immarcescibile Prodi la privatizzò (il popolo della
finta sinistra era troppo occupato a fare girotondi con Nanni Moretti per
preoccuparsi di questo o altri dettagli come l’ingresso nell’euro).
Qualche giorno fa l’ultimo passo: il consiglio di amministrazione della TIM
ha autorizzato la vendita della rete fissa (ossia le infrastrutture che a suo
tempo furono costruite dallo Stato e a spese dei contribuenti, come le
autostrade) a un colosso finanziario americano, la KKR, specializzata in
acquisizioni di imprese, spesso gigantesche, con soldi presi a prestito: pura
speculazione finanziaria, che se va bene arricchisce oscenamente gli
speculatori e se va male danneggia lo Stato e la gente ordinaria (nel latinorum
anglofono dei media, nuovi Azzecca-garbugli al servizio dei potenti, si chiama
«leveraged buyout», così non capite cosa significa e vi entusiasmate se Draghi
diventa presidente del consiglio, perché è uno che di soldi ci capisce). Per
saperne di più leggete l’articolo di una rivista non proprio comunista,
«Forbes», raggiungibile con la connessione che ho copiato sotto, nel primo
commento.
Niente di nuovo, peraltro: è il mondo che democraticamente vi siete scelto e
che sostenete quotidianamente acquistando e facendo tutto quello che prescrive
la pubblicità delle banche e delle altre multinazionali, anche se da voi stessi
considerato superfluo, inutile o dannoso.
La ragione per cui ne parlo è che a sostenere questa operazione palesemente
svantaggiosa per l’Italia e, direi, per l’Europa, dunque contraria agli
interessi nazionali, sono Giorgia Meloni e il suo governo, eletti a furor di
popolo per salvare la nazione e i suoi valori. Ora, che Meloni fosse una
neoliberista e non una nazionalista a me è sempre parso evidente: qualcuno si
sarà fatto ingannare dalla sua finta opposizione al governo Draghi (che non
aveva bisogno del suo appoggio e quindi poteva farle giocare la parte
dell’opposizione) ma io non avevo dimenticato la sua partecipazione al IV
governo Berlusconi, quello che sfasciò la pubblica istruzione con il decreto
Gelmini e destabilizzò la Libia a tutto vantaggio di Francia e Stati Uniti. Il
comportamento di Meloni sulla TIM come sull’Ucraina o su Gaza, mi pare dunque
perfettamente coerente.
Invece di deprimermi, ciò mi pare motivo di speranza. A patto di saperne
approfittare. Non so perché Meloni abbia avuto tanto successo: una concomitanza
di fattori, immagino, che si sono aggiunti alla mediocrità dei suoi avversari.
Ma so che ha ritenuto necessario presentarsi come una sovranista, come una
cattolica, come una conservatrice e addirittura come una fascista, non come la
filoamericana e globalista che è (come invece ha fatto, apertamente, la Lega,
oltre ovviamente al Pd di Renzi, Letta, Draghi e Schlein). Come mai? Perché sa
bene, Meloni, che ci sono molti italiani che sono sensibili a quel tipo di
retorica, e alcuni che ci credono davvero.
Dove ripongo la mia speranza, allora? Proprio in questo popolo che confusamente
resiste alla normalizzazione globalista e che si sente sconfitto, escluso,
marginalizzato. Una maggioranza non solo silenziosa come quella che mezzo
secolo fa si lasciò dominare, no, non dai comunisti, piuttosto dai liberali
atlantisti e dai sessantottini; dicevo, una maggioranza (o ampia minoranza),
oggi, non solo silenziosa ma frustrata, rassegnata, depressa: composta di ex
conservatori, ex cattolici, ex comunisti, ex moralisti, ex tradizionalisti, ex
provinciali, ex umanisti, i tanti che ancora danno valore ai valori ma che non
hanno il coraggio di difenderli apertamente, che cominciano a diffidare delle
novità fini a sé stesse ma non sanno come rifiutarle. Se il liberismo trionfante
ancora li deve corteggiare e ingannare forse vuol dire che sono parecchi, a
destra come a sinistra, e che anche se divisi, deboli, passivi, la loro rabbia
repressa fa paura.
Ecco, si tratta di raggiungerli, aggregarli, organizzarci, prepararci: in
modo che quando arriverà la prossima crisi, più catastrofica delle precedenti
(e verrà, state sicuri), si possa reagire con lucidità e determinazione,
approfittando dell’occasione per spazzare via la dittatura mediatica e
finanziaria del neocapitalismo insieme ai suoi burattini.
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