Il libro si divide in tre parti, l’attacco, la caccia e la cattura, termina con un epilogo e un post epilogo, come in quelle musiche nelle quali sembra che siamo al termine, e poi si riparte un altro po’, e il cerchio si chiude.
Sembra
una storia che riguarda gli orsi e i loro rapporti con gli umani, ma è invece
il tragico sterminio da parte degli umani verso le specie animali non umane che
non si possono sfruttare economicamente.
Gli
umani sono l’unica specie che ha un esercito di assassini chiamati cacciatori,
e si lamentano di poter uccidere troppo poco.*
Ma torniamo al libro, che inizia con una citazione di Hemingway su orsi, zingari e indiani.**
Qualche volta gli orsi attaccano gli umani, ma un numero di
volte infinitamente inferiore di quanto non facciano gli umani contro gli orsi,
ma soprattutto gli umani sono specializzati nel danneggiarsi fra di loro, fino
ad arrivare all’omicidio e alla guerra.
La
storia è la solita storia ignobile di rapporti umani insinceri e prevaricatori,
all’interno delle famiglie e nei rapporti sociali in genere, la sincerità e
l’amicizia sono merce rara.
Il libro
è un po’ un thriller ecologico e politico, ma di più è un thriller classico,
con assassini e investigatori, testimoni e omertà, persone che meritano l’estinzione.***
L’ambientazione
è quella di una piccola cittadina di montagna, un microcosmo chiuso, dove
tutti, o quasi, si conoscono, ma non troppo.
Il
dramma esplode quando tre amici fanno una gita in montagna, dopo più di cento pagine.
Marco Niro non si fa prendere dalla fretta, costruisce
lo sfondo nel quale tutto può succedere, e succede.
In quella
gita in montagna, per poche ore, Marco,
Diego e Alessio vivono una qualche forma di felicità, senza temere di essere delusi
o accoltellati, e si raccontano delle storie, come sempre si raccontano gli
umani, raccontare storie, ascoltarle, leggerle.****
Il commissario Andrisani (che sembra uscito da un giallo di Friedrich Dürrenmatt) risolverà il caso, ma...
Il resto leggetelo voi, se siete curiosi.
Buona
lettura, allora.
*ecco la
tragica fine di Amarena, se vi fosse sfuggita (vedi qui)
***alla
domanda sul grande successo della fantascienza, più o meno mezzo secolo fa, Ursula
Le Guin spiegava il successo della fantascienza argomentando che la fantascienza era lo strumento narrativo-letterario
per interpretare meglio la realtà, da un po’ di anni il noir e il thriller sono
lo strumento narrativo-letterario per interpretare meglio la realtà
**** la
storia che racconta Marco potete vederla in un piccolo grande film di Laura
Samani (il titolo è Piccolo corpo)
I Personaggi:
Alessio Rizzoli. Ragazzo. Non ama Gabriele D’Annunzio.
L’artiglio. Può fare molto male.
Baleno. Orso. Fantasma.
Il bar del paese. Dove si gioca a biliardo e si beve grappa. E si chiacchiera.
Cimalta. Amena borgata di montagna. Forse.
Il commissario
Andrisani. Sbirro disciplinato.
Finora.
Diego Mantovani. Ragazzo. Ama Henry Thoreau.
Dio. Esiste?
Don Ruggero. Prete. Non crede in Dio.
J. Molto più di una lettera.
Matteo Adami. Self-made man. Non gli piacciono gli orsi.
Il Monte Ertissimo. Tutto inizia lì. E finisce.
Osho Sai Yogi. Parla con Baleno.
Gli orsetti di peluche. Prendono fuoco facilmente.
L’Orso Rosso. Era un uomo. Libero. Prima dell’alcol.
Paolo Mantovani. Padre. Cardiochirurgo in carriera.
Thor. Orso. Enorme.
scrive
Marco Niro:
Scrivere “Il predatore” è stata un'esperienza nuova.
Infatti, oltre ai romanzi e ai racconti pubblicati nei panni di Tersite Rossi,
in quelli di Marco Niro avevo pubblicato
finora solo un saggio e un libro per ragazzi. Di conseguenza, “Il predatore” è
per me, di fatto, un esordio letterario, difficile ed elettrizzante come tutti
gli esordi. Preciso che con Mattia Maistri, l'altro membro del collettivo, non
c’è stata nessuna rottura, solo una separazione temporanea. Il percorso di vita
di Mattia lo ha allontanato dalla scrittura e io, che fermo con le dita non ci
so stare, ho pensato che era il momento buono per provarci da solo, per
dedicarmi a un mio vecchio progetto: scrivere un romanzo di puro genere,
ambientato in montagna, raccogliendo due sfide.
La sfida della forma: usare il genere noir per fare
narrativa d'inchiesta
La prima era legata alla forma: volevo provare a usare gli stilemi del genere,
in tal caso quelli del noir e del thriller, non tanto per sovvertirli o
addirittura rinnegarli, come sempre ha fatto Tersite Rossi, quanto, più
rispettosamente diciamo, per “piegarli” e renderli funzionali alla causa della
narrativa militante e d’inchiesta, ovvero l’unico modo, credo, per fare sì che,
oggi, il genere letterario resti vivo e significativo, senza limitarsi a essere
uno stampino o peggio ancora una gabbia. Tutto questo infilandomi nel
filone della cosiddetta “letteratura di montagna”, oggi molto significativo e
popolato.
La sfida del contenuto: scrivere di montagna, figuri
ambigui e fauna selvatica
La seconda sfida, invece, aveva a che fare col contenuto: senza essere un
montanaro (in montagna ci vivo da quasi vent’anni, ma ho trascorso in riva al
Po i miei primi venticinque), volevo provare a scrivere di montagna
focalizzando su una certa realtà meschina che da troppo tempo vedo prevalere,
una realtà popolata da figuri ambigui, a livello tanto politico quanto
economico, che dicono di volersi battere per il futuro della montagna e al
tempo stesso la distruggono, come ambiente e come cultura. Il rapporto distorto
che è venuto a crearsi tra uomo e fauna selvatica, tra noi e gli orsi, m’è
parso l’elemento più emblematico, oggi, se si vuole capire la realtà di cui sto
parlando. E così ho deciso di metterlo al centro di questo romanzo.
Un romanzo attuale... che non doveva esserlo
Vi dirò anche da cosa “Il predatore” non nasce, e
probabilmente sarà una cosa difficile da credere: non è un romanzo che ho
scritto per cavalcare l’attualità. Gli amici di Bottega Errante, l'editore, mi
sono testimoni: hanno ricevuto la bozza del romanzo nel 2021, ovvero due anni
prima che la cronaca si riempisse dei fatti tragici che conosciamo, e che hanno
trasformato la delicata questione della convivenza tra uomo e fauna selvatica
in un feroce, irrazionale dibattito tra tifoserie, tanto privo di scientificità
quanto caratterizzato, fin troppo, da strumentalità bieca e opportunista.
Eppure... Eppure, chi leggerà oggi “Il predatore” non potrà fare a meno di
pensare che io abbia preso spunto direttamente da quei fatti, e lo dico perché
io stesso, nel rileggerlo, ho pensato: “Com’è possibile? Le cose sono andate
proprio così, quasi identiche a come le avevo immaginate...”. Quasi, per fortuna.
Se leggerete, capirete cosa voglio dire. E a quel punto sono certo che non mi
crederete.
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