giovedì 11 gennaio 2024

Erode Netanyhau non si ferma

 



articoli e video di John J. Mearsheimer, Hadar Morag, Alain Gabon, Raffaele Oriani, Pino Cabras, David Hearst, Alessandro Orsini, Giacomo Gabellini, Enzo Traverso, Lana Tatour, Jeremy Scahill, Farah Nabulsi, Alberto Negri, Franco Fortini, Heba Akila, Ramzy Baroud, Geraldina Colotti, Clara Statello, Gideon Levy, Alberto Bradanini, Lorenzo Maria Pacini, Cristiano Sabino, Amro Ali, Davide Malacaria, Disarmisti Esigenti



IL GENOCIDIO DI GAZA – John J. Mearsheimer

Scrivo per segnalare un documento veramente importante che dovrebbe essere diffuso e letto attentamente da chiunque sia interessato alla guerra di Gaza attualmente in corso.

Nello specifico, mi riferisco alla “istanza” di 84 pagine che il Sudafrica ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) il 29 dicembre 2023, accusando Israele di aver commesso un genocidio contro i palestinesi di Gaza [1]. In essa si sostiene che le azioni di Israele dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023 “sono destinate a portare alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese … nella Striscia di Gaza”. (pagina 1) Questa accusa rientra chiaramente nella definizione di genocidio della Convenzione di Ginevra, di cui Israele è firmatario [2].

Il ricorso è una superba descrizione di ciò che Israele sta facendo a Gaza. È completa, ben scritta, ben argomentata e accuratamente documentata. La domanda è composta da tre parti principali.

In primo luogo, descrive in dettaglio gli orrori che l’IDF ha inflitto ai palestinesi dal 7 ottobre 2023 e spiega perché per loro si prospettano ancora morte e distruzione.

In secondo luogo, l’applicazione fornisce una serie di prove sostanziali che dimostrano che i leader israeliani hanno intenzioni genocide nei confronti dei palestinesi. (59-69) In effetti, i commenti dei leader israeliani – tutti scrupolosamente documentati – sono scioccanti. Leggendo i commenti sui palestinesi degli israeliani in “posizioni di massima responsabilità”, ci si ricorda di come i nazisti parlavano di come trattare gli ebrei. (59) In sostanza, il documento sostiene che le azioni di Israele a Gaza, combinate con le dichiarazioni di intenti dei suoi leader, rendono chiaro che la politica israeliana è “calcolata per portare alla distruzione fisica dei palestinesi a Gaza”. (39)

In terzo luogo, il documento si impegna a fondo per inserire la guerra di Gaza in un contesto storico più ampio, chiarendo che Israele per molti anni ha trattato i palestinesi di Gaza come animali in gabbia. Il documento cita numerosi rapporti delle Nazioni Unite che descrivono il crudele trattamento riservato da Israele ai palestinesi. In breve, l’istanza chiarisce che ciò che gli israeliani hanno fatto a Gaza dal 7 ottobre è una versione più estrema di ciò che facevano già da prima del 7 ottobre.

Indubbiamente molti dei fatti descritti nel documento sudafricano erano stati riportati in precedenza dai media. Ciò che rende la richiesta così importante, tuttavia, è che mette insieme tutti questi fatti e fornisce una descrizione generale e accuratamente supportata del genocidio israeliano. In altre parole, fornisce il quadro generale senza trascurare i dettagli.

Non sorprende che il governo israeliano abbia etichettato le accuse come una “accusa del sangue” senza “alcuna base fattuale e giudiziaria”. Inoltre, Israele sostiene che “il Sudafrica starebbe collaborando con un gruppo terroristico che chiede la distruzione dello Stato di Israele” [3]. Una lettura attenta del documento, tuttavia, rende chiaro che queste affermazioni non hanno alcun fondamento. In effetti, è difficile capire come Israele potrà difendersi in modo razionale e legale quando inizierà il procedimento. Dopo tutto, i fatti nudi e crudi sono difficili da contestare.

Permettetemi di fare alcune osservazioni aggiuntive sulle accuse sudafricane.

In primo luogo, il documento sottolinea che il genocidio è distinto dagli altri crimini di guerra e dai crimini contro l’umanità, sebbene “vi sia spesso una stretta connessione tra tutti questi atti”. (1) Ad esempio, prendere di mira una popolazione civile per cercare di vincere una guerra – come era accaduto quando la Gran Bretagna e gli Stati Uniti avevano bombardato le città tedesche e giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale – è un crimine di guerra, ma non un genocidio. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti non stavano cercando di distruggere “una parte sostanziale” o tutta la popolazione di quegli Stati presi di mira. Anche la pulizia etnica, sostenuta dalla violenza selettiva, è un crimine di guerra, sebbene non sia un genocidio, un’azione che Omer Bartov, l’esperto israeliano dell’Olocausto, definisce “il crimine di tutti i crimini “[4] .

Per la cronaca, durante i primi due mesi di guerra ritenevo che Israele fosse colpevole di gravi crimini di guerra – ma non di genocidio – anche se c’erano prove crescenti di quello che Bartov ha definito “intento genocida” da parte dei leader israeliani [5]. Ma mi era apparso chiaro, dopo la fine della tregua del 24-30 novembre 2023 e la ripresa dell’offensiva da parte di Israele, che i leader israeliani stavano effettivamente cercando di distruggere fisicamente una parte sostanziale della popolazione palestinese di Gaza.

In secondo luogo, anche se l’istanza sudafricana si concentra su Israele, ha enormi implicazioni per gli Stati Uniti, in particolare per il presidente Biden e i suoi principali luogotenenti. Perché? Perché ci sono pochi dubbi sul fatto che l’amministrazione Biden sia complice del genocidio di Israele, e [questo tipo di complicità] è essa stessa un atto punibile secondo la Convenzione sul genocidio. Nonostante abbia ammesso che Israele è impegnato in “bombardamenti indiscriminati”, il Presidente Biden ha anche dichiarato che “non faremo un accidente di niente se non proteggere Israele. Nient’altro” [6]. È stato fedele alla parola data, arrivando a scavalcare due volte il Congresso per far arrivare rapidamente ulteriori armamenti a Israele. A prescindere dalle implicazioni legali del suo comportamento, il nome di Biden – e quello dell’America – sarà per sempre associato a quello che probabilmente diventerà uno dei casi da manuale di tentato genocidio.

In terzo luogo, non avrei mai immaginato di vedere il giorno in cui Israele, un Paese pieno di sopravvissuti all’Olocausto e dei loro discendenti, avrebbe dovuto affrontare una seria accusa di genocidio. Indipendentemente da come si svolgerà il caso presso la Corte internazionale di giustizia – e qui sono pienamente consapevole delle manovre che gli Stati Uniti e Israele impiegheranno per evitare un processo equo – in futuro Israele sarà ampiamente considerato come il principale responsabile di uno dei casi canonici di genocidio.

In quarto luogo, il documento sudafricano sottolinea che non c’è motivo di pensare che questo genocidio finirà in tempi brevi, a meno che la Corte internazionale di giustizia non intervenga con successo. Il documento cita due volte le parole pronunciate dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 25 dicembre 2023 a sostegno di questo punto: “Non ci fermiamo, continuiamo a combattere, e intensificheremo i combattimenti nei prossimi giorni, e questa sarà una lunga battaglia e non è vicina alla fine”. (8, 82) Speriamo che il Sudafrica e la CIG mettano fine ai combattimenti, ma, in ultima analisi, il potere dei tribunali internazionali di costringere Paesi come Israele e gli Stati Uniti è estremamente limitato.

Infine, gli Stati Uniti sono una democrazia liberale piena di intellettuali, direttori di giornali, politici, opinionisti e studiosi che abitualmente proclamano il loro profondo impegno a proteggere i diritti umani nel mondo. Tendono a farsi sentire quando i Paesi commettono crimini di guerra, soprattutto se sono coinvolti gli Stati Uniti o i loro alleati. Nel caso del genocidio israeliano, tuttavia, la maggior parte dei leader liberali che si occupano di diritti umani ha parlato poco delle azioni selvagge di Israele a Gaza o della retorica genocida dei suoi leader. Speriamo che prima o poi giustifichino il loro inquietante silenzio. In ogni caso, la storia non sarà buona con loro, visto che non avevano detto quasi neanche una parola mentre il loro Paese diventava complice di un crimine orribile, perpetrato proprio sotto gli occhi di tutti.

Riferimenti:

https://www.icj-cij.org/sites/default/files/case-related/192/192-20231228-app-01-00-en.pdf

https://www.un.org/en/genocideprevention/documents/atrocity-crimes/Doc.1_Convention%20on%20the%20Prevention%20and%20Punishment%20of%20the%20Crime%20of%20Genocide.pdf

https://www.timesofisrael.com/blood-libel-israel-slams-south-africa-for-filing-icj-genocide-motion-over-gaza-war/

https://www.nytimes.com/2023/11/10/opinion/israel-gaza-genocide-war.html

https://mearsheimer.substack.com/p/death-and-destruction-in-gaza

https://www.motherjones.com/politics/2023/12/how-joe-biden-became-americas-top-israel-hawk/

Fonte: mearsheimer.substack.com
Link: https://mearsheimer.substack.com/p/genocide-in-gaza
04.01.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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scrive Hadar Morag, regista israeliana:

“Quando mia nonna arrivò qui, dopo l’Olocausto, l’Agenzia Ebraica le promise una casa. Non aveva niente, tutta la sua famiglia era stata sterminata. È rimasta in attesa per lungo tempo in una tenda, in una situazione estremamente precaria. La portarono quindi ad Ajami, a Jaffa, in una stupenda casa sulla spiaggia. Vide che sul tavolo c’erano ancora i piatti degli arabi che ci abitavano e che erano stati cacciati via. Allora lei tornò all’agenzia e disse: riportatemi nella tenda, non farò mai a qualcun altro ciò che è stato fatto a me. Questa è la mia eredità, ma non tutti hanno fatto quella scelta. Come possiamo essere diventati ciò che avversavamo? Questa è la grande domanda”.

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La pittrice palestinese Heba Zagout è stata uccisa in un attacco aereo israeliano il 13 ottobre. (screenshot di Hyperallergic tramite Palestine Artists su YouTube)

GENOCIDIO CULTURALE: ISRAELE HA SPAZZATO VIA UNA GENERAZIONE D’ORO DI ARTISTI, MUSICISTI, ATTORI E SCRITTORI DI GAZA (DA THE NEW ARAB)

L’assalto genocida di Israele a Gaza assediata ha spazzato via una generazione di artisti che per decenni avevano rispecchiato la resilienza e la creatività palestinese.

Non molto tempo fa, la comunità artistica di Gaza costituiva un elemento vitale della società palestinese e un riflesso vibrante della sua resilienza; oggi lottano per sopravvivere: l’assalto genocida di Israele ha spazzato via una generazione di artisti dalla Striscia di Gaza.

Il Ministero della Cultura palestinese ha rivelato i dati statistici secondo cui il bombardamento brutale e indiscriminato della Striscia di Gaza da parte di Israele ha portato fino ad ora alla morte di 28 artisti, intellettuali e autori palestinesi.

Il rapporto sottolinea il profondo impatto che l’attuale attacco israeliano sta avendo sul tessuto culturale di Gaza e sottolinea la gravità della situazione attuale. Di seguito sono riportate alcune parole in testimonianza di alcuni importanti artisti, figure culturali e anime creative palestinesi che sono stati uccisi da Israele a partire dal 7 ottobre.

Heba Zaqout

L’artista visiva e insegnante di belle arti, Heba Ghazi Ibrahim Zaqout (39 anni) è stata uccisa il 13 ottobre insieme a suo figlio. Zaqout si era laureata in belle arti all’Università Al-Aqsa di Gaza. Molti dei suoi dipinti erano realizzati in acrilico e raffiguravano donne, la patria palestinese e la natura. I suoi dipinti enfatizzavano l’identità e l’esistenza palestinese, con paesaggi luminosi e gioiosi spesso pieni di moschee e chiese, minareti e cupole.

Heba Abu Nada

La scrittrice, poetessa e insegnante Heba Abu Nada (32 anni) è stata uccisa, insieme a suo figlio, in un raid aereo israeliano su Khan Younis il 20 ottobre. Il suo romanzo “L’ossigeno non è per i morti”, ha vinto il secondo posto allo Sharjah Award for Arab Creativity nel 2017

Nel suo ultimo tweet postato l’8 ottobre, aveva scritto in arabo: “La notte di Gaza è buia a parte il bagliore dei razzi, silenziosa a parte il rumore delle bombe, terrificante a parte il conforto della preghiera, nera a parte la luce dei martiri. Buonanotte, Gaza.”

Omar Abu Shawish

Allo stesso modo, il poeta, romanziere e attivista sociale Omar Fares Abu Shawish (36 anni) è stato martirizzato il 7 ottobre durante il bombardamento del campo profughi di Nuseirat a Gaza, dove era nato e vissuto. Abu Shawish era ben noto per la sua preoccupazione per le questioni che riguardavano i giovani e aveva partecipato alla creazione di diverse associazioni giovanili e ricevendo numerosi premi locali e internazionali.

A testimonianza della sua influenza, il Consiglio della Gioventù Araba per lo Sviluppo Integrato, affiliato alla Lega degli Stati Arabi (LAS), lo aveva insignito del premio “Gioventù araba illustre nel campo dei media, del giornalismo e della cultura” nel 2013. Nel 2016 aveva pubblicato diverse raccolte di poesie e un romanzo dal titolo “’Alā qayd al-mawt”.

Inas Saqqa

Inas Saqqa era una nota attrice, drammaturga e insegnante specializzata in teatro per bambini. È stata uccisa in un raid aereo israeliano alla fine di ottobre insieme a tre dei suoi figli, Sara, Leen e Ibrahim. Saqqa è stata una delle figure più influenti e di spicco sulla scena teatrale di Gaza e una pioniera delle arti creative per i bambini nella Striscia, organizzando numerosi laboratori teatrali estivi per i giovani.

Inas Saqqa è stata una delle attrici e drammaturghe più celebri di Gaza ed è stata uccisa con tre dei suoi figli in un attacco aereo israeliano il 31 ottobre 2023

Era anche un’abile attrice: i contributi di Saqqa al cinema includevano i suoi ruoli nei due film “Sara” e “Il passero della patria” nel 2014. “Sara” affrontava l’urgente questione sociale dei delitti d’onore, e “Il passero della patria” esaminava la lotta palestinese tra la Nakba del 1948 e l’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza nel 1967. Oltre alla recitazione, era nota per i suoi contributi culturali e la sua collaborazione con numerose compagnie teatrali nella Striscia di Gaza. Aveva anche  partecipato alla scrittura e produzione di diverse opere teatrali tra cui “The Bear”, “Women of Gaza and Ayoub’s Patience” e “Everything is Fine”.

Youssef Dawas

Il 14 ottobre, il musicista, scrittore, giornalista, fotografo e aspirante psicoanalista palestinese Yousef Dawas (20 anni) è stato ucciso in un attacco aereo israeliano contro la sua casa di famiglia nel nord di Gaza. Dawas parlava correntemente arabo e inglese, sia scritto che parlato, e scriveva articoli che trattavano una vasta gamma di argomenti.

Yousef Dawas è stato ucciso da un attacco aereo israeliano sulla sua casa di famiglia nel nord di Gaza il 14 ottobre 2023

Dawas ha anche prodotto brevi video che trattavano molti argomenti diversi, comprese le sue aspirazioni a viaggiare e scoprire il mondo – anche se in un videoclip sottolineava che sognava di visitare altre città e villaggi palestinesi ,più che lontane destinazioni oltreoceano. Israele ha messo  fine alla sua vita e ai suoi tanti sogni.

Mohammed Qraiqea

A soli 24 anni, l’innovativo fumettista, artista, fotografo, volontario e attivista Mohammed Sami Qraiqea è stato ucciso il 17 ottobre, una delle circa 500 vittime uccise quando l’ospedale arabo Al-Ahli fu bombardato mentre migliaia di civili vi si rifugiavano.

Mohammed Qraiqea era un artista interessato a fondere la tecnologia con l’arte. Ha trascorso i suoi ultimi giorni intrattenendo i bambini rifugiati nell’ospedale arabo di Al-Ahli

Anche nei suoi ultimi giorni, insieme ad altri che cercavano rifugio nel complesso ospedaliero, Qraiqea si è sforzato di alleggerire l’atmosfera di tensione e alleviare il terrore e l’ansia che consumavano i bambini e i feriti dell’ospedale, usando le sue capacità artistiche e la sua energia contagiosa. , che lui definiva come  “cercare di dare il primo soccorso psicologico ai bambini e alle famiglie”. In un video clip in uno dei suoi ultimi post su Instagram lo si può vedere al centro di un cerchio di bambini nel cortile dell’ospedale Al-Ahli, mentre li intrattiene per distrarsi dallo stress psicologico e dal trauma a cui erano sottoposti.

Nooraldeen Hajjaj

Il 2 dicembre, il giovane scrittore Nooraldeen Hajjaj (27) è stato martirizzato in un attacco aereo israeliano nella sua casa nel quartiere di Shujaiya. Aveva composto l’opera teatrale “I Grigi” nel 2022 e il romanzo “Le ali che non volano” nel 2021. Aveva partecipato attivamente anche a iniziative come l’Associazione Cordoba e la Fondazione Giornate del Teatro.

Il suo ultimo messaggio al mondo esterno è stato: “Mi chiamo Nour al Din Hajjaj, sono uno scrittore palestinese, ho ventisette anni e ho tanti sogni.

Non sono un numero e non acconsento che la mia morte diventi notizia passeggera. Dite che amavo la vita, la felicità, la libertà, le risate dei bambini, il mare, il caffè, la scrittura, Fairouz, tutto ciò che è gioioso, anche se tutte queste cose scompariranno nello spazio di un momento.”

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

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Gaza: 500mila morti se la guerra durerà per tutto il 2024

Se la guerra di Gaza continuerà per tutto il 2024, come peraltro annunciato dall’esercito israeliano, moriranno 500mila palestinesi. L’avvertimento arriva dalla professoressa Devi Sridhar, ordinario di Sanità pubblica globale presso l’Università di Edimburgo, che ne ha scritto sul Guardian il 29 dicembre.

Gaza: I morti attuali, solo un precursore…

Scrive il Guardian: “Secondo le stime dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione, circa l’85% degli abitanti di Gaza sono già sfollati. Gli esperti che analizzano i precedenti spostamenti di rifugiati hanno pubblicato una stima su Lancet secondo la quale i tassi approssimativi di mortalità (cioè morti ogni 1.000 persone) erano in media più alti di 60 volte rispetto agli inizi di ogni altro conflitto”.

“Estrapolando questo dato alla situazione attuale di Gaza – dove ,prima del conflitto, il tasso approssimativo di mortalità era di 3,82, cioè relativamente basso a motivo della popolazione per lo più giovane – i tassi di mortalità potrebbero raggiungere 229,2 nel 2024 se il conflitto e lo sfollamento continueranno con l’attuale intensità e gli abitanti di Gaza continueranno a non avere accesso a servizi igienico-sanitari, a strutture sanitarie e ad alloggi stabili”.

“In definitiva, a meno che qualcosa non cambi, il mondo si trova di fronte alla prospettiva che quasi un quarto dei 2 milioni di abitanti di Gaza – circa mezzo milione di esseri umani – muoia entro un anno. Per lo più tali decessi sarebbero provocati da cause sanitarie prevenibili e dal collasso del sistema sanitario. È una stima approssimativa, ma fondata su dati, calcolata in base al numero spaventosamente reale di morti registrati in conflitti precedenti e comparabili”.

Nel rilanciare l’avvertimento della Sridhar, Odeh Bisharat, su Haaretz dell’8 gennaio, commenta: “In altre parole, i 22.000 abitanti di Gaza uccisi nella prima ondata di bombardamenti su Gaza sono (scusate l’espressione) una piccola cosa rispetto a ciò che si prospetta. Sono solo un precursore della catastrofe che attende la Striscia di Gaza. Non dobbiamo aspettare, perché siamo già testimoni della distruzione di gran parte di Gaza, una territorio che assomiglia più all’inferno che alla terra”.

Il silenzio calerà sull’abisso 

Eppure, Bisharat sa, come annota, che tale allarme non troverà orecchie attente presso l’opinione pubblica del suo Paese. Infatti, scrive, con sconforto, che ormai in Israele “non c’è spazio per la misericordia” e che sa bene, “sulla base di amare esperienze, che a ogni richiesta di simpatia si risponderà essenzialmente con urla di indignazione e reazioni del tipo: ‘Se la sono cercata’, oppure “non provo empatia’, se non peggio. Questa durezza di cuore è ampiamente diffusa. Ogni espressione di empatia verso l’altro è considerata un tradimento, quindi chi ha un minimo di senso morale non ha altra scelta che rimanere in silenzio e autocensurarsi”.

Allora perché scriverne? Per “un’antica abitudine umana, quella di non tenersi dentro il dolore e di gridare, come canta la cantante libanese Fayrouz: ‘O voce mia, continua a scuotere la coscienza, racconta quello che sta succedendo, svegliati’”.

Non solo la noncuranza verso la tragedia provocata nella Striscia, “ancora peggio, c’è chi in Israele non è soddisfatto del disastro che ha colpito Gaza – un alto funzionario governativo non ha escluso di sganciare una bomba atomica – kaboom ed è tutto finito”

“Zvi Yehezkeli, reporter specializzato in affari arabi di Channel 13, sarebbe contento dell’eliminazione di 100.000 palestinesi, che verrebbero uccisi solo al primo colpo – ovviamente seguiranno altre morti. Fate un semplice calcolo: se 22.000 morti e tutta la distruzione connessa possono portare a 500.000 morti, allora secondo il multiplo discendente dalla richiesta di Yehezkeli, 100.000 vittime potrebbero portare a 2,5 milioni morti nel prossimo anno”.

“Allora Gaza sarà cancellata – non sarà più vista né più ascoltata. E il silenzio calerà sull’abisso. Gaza diventerà la terra dei morti”.

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Guerra a Gaza: gli otto metodi di genocidio di Israele – Alain Gabon

Giunto al terzo mese, il livellamento di Gaza, che ha causato una distruzione senza precedenti di persone, infrastrutture e habitat, sembra inarrestabile.

Né la pressione degli Stati Uniti volta a limitare le vittime civili, né la retorica degli stati arabi – che non sono riusciti nemmeno a mettersi d’accordo su azioni congiunte, come un embargo petrolifero o la temporanea rottura delle relazioni diplomatiche formali – sono riuscite a fermare, o addirittura a moderare, la feroce azione di Israele. Anche le risoluzioni delle Nazioni Unite e le proteste di massa globali si sono rivelate inefficaci.

Per quanto possa sembrare incredibile, sembra che il destino di milioni di palestinesi continuerà a essere deciso solo da due uomini: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Israele ha dichiarato che la sua campagna durerà ancora per molti mesi, possibilmente senza ulteriori periodi di tregua. Lungi dal ridurre l’escalation dell’offensiva o dall’assicurare un bilancio delle vittime civili significativamente più basso – come hanno esortato a fare gli Stati Uniti, non tanto per preoccupazione per le vite dei palestinesi, quanto per paura di una guerra regionale più ampia e di danni al sostegno internazionale a Washington e Tel. Aviv, dopo la breve tregua di novembre Israele ha invece intensificato i suoi attacchi

È fuori dubbio che Israele abbia già commesso una serie di crimini di guerra. Ciò non sorprende per uno Stato che per decenni ha sviluppato e coltivato tale abitudine – e ancor meno se si ricorda che Israele è stato fondato sulla pulizia etnica.

Crimini di guerra, discriminazione contro i non ebrei e disprezzo per il diritto internazionale sono stati parti importanti del DNA di Israele sin dalla sua creazione nel 1948, e anche prima, se si ricordano i paramilitari sionisti come l’Irgun e l’Haganah. Ma ora si discute se i massacri di Israele abbiano raggiunto il livello di genocidio nel senso legale del termine.

Esistono molti malintesi popolari su ciò che costituisce un genocidio, il principale dei quali è che per essere tale, le atrocità devono raggiungere la portata e il livello dell’Olocausto o sterminare quasi un intero popolo o gruppo. Questo non è il caso.

Definire il genocidio

Secondo l’articolo II della Convenzione sul genocidio, per genocidio si intende uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso: uccidere membri del gruppo; causare loro gravi danni fisici o mentali; infliggere deliberatamente condizioni di vita volte a provocare la distruzione del gruppo; imporre misure intese a prevenire le nascite; o trasferire forzatamente i bambini ad un altro gruppo.

Le azioni di Israele a Gaza e le loro terribili conseguenze sull’intera popolazione civile, insieme alle ripetute dichiarazioni di funzionari statali israeliani che suggeriscono fortemente l’intento deliberato di spazzare via o almeno danneggiare il maggior numero possibile di palestinesi, lasciano pochi dubbi sul fatto che il limite sia stato raggiunto e ormai superato da tempo. Molti funzionari, giornalisti e membri della società civile lo hanno pubblicamente definito un genocidio.

Nonostante alcune riserve, sembra emergere un consenso tra accademici, studiosi di diritto e persino ex procuratori della Corte penale internazionale, che certamente sono in grado riconoscere un genocidio quando si sta svolgendo davanti ai loro occhi.

Israele combina sistematicamente e metodicamente tutti questi metodi di morte, con risultati orribili

La storia ci ha insegnato che esistono molti modi per sterminare un gruppo di persone o impoverire una popolazione. Ma la campagna di genocidio di Israele, in corso dal 1948, è definita da diverse caratteristiche: la sua natura permanente, la variazione tra genocidio “al rallentatore” e ondate di massacri brutali, e la ricca gamma di tecniche di morte di massa.

Nel momento attuale, Israele sta combinando sistematicamente e metodicamente tutti questi metodi di morte, con risultati orribili. Si possono identificare almeno otto tecniche genocide che sono confluite nella reazione dello Stato all’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, definito organizzazione terroristica nel Regno Unito e in altri paesi.

Sembra che Israele abbia colto questa opportunità per portare il suo “genocidio al rallentatore” a un livello completamente nuovo di brutalità.

Le otto tecniche

  1. Ucciderli: bombardare i palestinesi indiscriminatamente (qui, l’attenzione dei media, la pressione di alleati come gli Stati Uniti e le proteste internazionali possono avere una certa efficacia nel frenare Israele). Nonostante le affermazioni di Israele secondo cui sta adottando misure per proteggere i civili, la realtà sul campo dimostra il contrario, con i non combattenti che rappresentano la maggior parte delle vittime. Scuole, ospedali e condomini sono stati presi di mira direttamente.
  2. Farli morire di fame: questo viene fatto attraverso il blocco delle forniture di cibo e acqua. Ancora una volta, questa non è una novità; è stato a lungo parte di una politica israeliana concertata e organizzata volta a privare i palestinesi anche della più fondamentale di tutte le risorse di sostentamento, l’acqua.
  3. Privare loro delle cure mediche: Israele sta massimizzando il numero delle vittime distruggendo le infrastrutture mediche, compresi gli ospedali, garantendo così che molti che avrebbero potuto essere salvati moriranno invece per ferite non curate.
  4. Diffondere le malattia : il collasso delle infrastrutture mediche, insieme a condizioni di vita catastrofiche, ha garantito la diffusione delle malattie, rischiando un’altra significativa ondata di morti.
  5. Esaurirli attraverso gli sgomberi forzati: prendendo spunto dal genocidio armeno, Israele sta ora utilizzando il trasferimento forzato, prima dal nord di Gaza al sud, poi all’interno del sud, per far sì che le persone esauste e spesso ferite si spostino da una presunta “area sicura”. ” alla successiva. Una mappa a griglia pubblicata da Israele ha diviso il sud di Gaza in centinaia di minuscoli appezzamenti, tra i quali le persone sono costrette a spostarsi con breve preavviso per evitare le bombe.
  6. Distruggere il loro ambiente: quello che sta accadendo a Gaza è un vero ecocidio. La quantità di distruzione ambientale, che va dall’inquinamento durevole alle munizioni militari, è enorme e potrebbe colpire le generazioni future.
  7. Atomizzare la loro società: la distruzione sistematica delle strutture governative e amministrative con il pretesto di combattere Hamas ha sconvolto la società palestinese. Sfollando la maggior parte dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, Israele sta recidendo i loro legami sociali; non è chiaro come potranno ricreare una società in futuro, soprattutto perché Israele ha cercato di legare tutti i civili ad Hamas e intende mantenere il controllo sul territorio e sulle sue risorse per il prossimo futuro.
  8. Spezzare il loro spirito: per decenni Israele ha utilizzato la guerra psicologica per alimentare un senso di disperazione e impotenza tra la popolazione. Ciò è stato terribilmente efficace tra i più vulnerabili: i bambini di Gaza, molti dei quali soffrivano di grave depressione e pensieri suicidi anche prima dell’attuale offensiva. Dato che Israele rende quasi impossibile il trattamento di questi pazienti, la maggior parte subirà traumi a lungo termine.

Gli otto metodi sopra menzionati sono tutte forme di punizione collettiva, con conseguenze destinate a durare almeno una generazione, anche se la guerra dovesse finire oggi.

Il dottor Alain Gabon è professore associato di studi francesi e presidente del dipartimento di lingue e letterature straniere presso la Virginia Wesleyan University di Virginia Beach, USA. Ha scritto e tenuto numerose conferenze negli Stati Uniti, in Europa e altrove sulla cultura, la politica, la letteratura e le arti francesi contemporanee e, più recentemente, sull’Islam e i musulmani. I suoi lavori sono stati pubblicati in diversi paesi su riviste accademiche, think tank e media mainstream e specializzati come Saphirnews, Milestones. Commentari sul mondo islamico e Les Cahiers de l’Islam. Il suo recente saggio intitolato “I miti gemelli della ‘minaccia jihadista’ occidentale e della ‘radicalizzazione islamica’” è disponibile in francese e inglese sul sito della Cordoba Foundation britannica.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

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Gaza. La lettera con cui il giornalista Raffaele Oriani interrompe la sua collaborazione con il Venerdì di Repubblica

Un plauso della redazione de l’AntiDiplomatico al giornalista Raffaele Oriani che ha deciso di lasciare Repubblica dopo 12 anni, facendo onore alla sua professione e alla sua integrità morale. La sua lettera in cui motiva la decisione è un meraviglioso J’Accuse alla stampa italiana ed europea sul genocidio in corso a Gaza.

Di seguito la lettera:

“Care colleghe e colleghi -ha scritto nella sua lettera alla redazione- ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perchè la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la  Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori”.

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Deportare nel deserto del Sinai la gente di Gaza? Per il Sionismo Reale è da fare – Pino Cabras

E poi ci sono i professori che vorrebbero relegare gli abitanti di Gaza nel deserto della penisola del Sinai. Lo ha suggerito in un pensoso editoriale su «The Jerusalem Post» che sta facendo parecchio rumore il professore israeliano Joel Roskin, un geologo-geografo (e immagino anche geoparaculo) del Dipartimento di Geografia e Ambiente dell’Università Bar-Ilan di Tel Aviv.

Gli stati coloniali non funzionerebbero un solo minuto se dovessero basare i loro regimi di occupazione sulla sola forza dei loro soldati. Hanno bisogno anche di finanzieri, di organi di stampa compiacenti, di dirigenti collaborazionisti, di intellettuali organici che fiancheggino l’ideologia coloniale e le sue pianificazioni. Sono loro a fornire alle potenze colonialiste il balsamo che ammorbidisce con altisonante e visionaria “progettualità” anche le più bieche e crudeli pulizie etniche, i genocidi, le rapine minerali e territoriali realizzate con la liquidazione di intere comunità.

Joel Roskin e il «Jerusalem Post» non fanno eccezione. E quindi non si vergognano. Non hanno nessun imbarazzo a dichiarare tutto già nel titolo dell’articolo: «Perché spostarsi verso la penisola del Sinai è la soluzione per i palestinesi di Gaza». Un atto volontario, insomma, che deve andare contro l’insistenza a rimanere, una qualità degli abitanti di Gaza definita da Roskin come mera «stubborness», cocciutaggine.

Il geoparaculo attinge alle sue conoscenze per descrivere le mirabolanti caratteristiche che avrebbe quella scatola di sabbia del Sinai per ospitare – come mai ha fatto nella storia – addirittura due milioni di persone. E che sarà mai, sradicare quei cocciuti da Gaza, resa inabitabile da Sor Netanyahu? Allegri, suvvia! Mentre a Gaza stanno strettini e con un vicino leggermente stronzetto che gli fa i dispettucci, nel Sinai potranno finalmente distendere i piedi. Fra le sue sabbie polverose li attende una specie di terra vergine, certo un aridissimo prolungamento del Sahara, ma dotato di insospettabili e inesplorate riserve d’acqua che Roskin e pochi altri saggi conoscono bene. Fidatevi!

L’importante è che in nessun punto dell’articolo questa sia definita come una “deportazione”, che sarebbe un crimine di guerra e non sta mica bene, bensì come «un luogo ideale per sviluppare uno spazioso reinsediamento». Vedete come suona figo? Spazioso reinsediamento, «spacious resettlement». Sembra quasi la prolusione di un agente immobiliare che vi illustra un appartamento più ampio del triste monolocale dove stavate sinora. Strano però che altri agenti immobiliari stiano già illustrando ai coloni israeliani fanatici il “rendering” delle case da costruire a Gaza, una volta sfrattati o seppelliti i cocciuti. Si vede che ai coloni piace invece stare stretti, sono fatti così. Solo i maliziosi pensano che vogliano appropriarsi anche dei vasti giacimenti di gas (anche loro “spaziosi”) nella piattaforma marina davanti a Gaza che ad oggi spetterebbe ai palestinesi.

Appare evidente che il geografo ha una specie di amnesia selettiva, quella geografia lì non la ricorda. Potrebbe essere un problema della sua corteccia prefrontale dorso-laterale o un problema di geografia. Nel primo caso, proprio nell’Università Bar-Ilan c’è un’ottima facoltà di medicina dove andare. Nel secondo, c’è la sua facoltà dove andare.

Per parte mia, ho un’idea ben precisa di dove il prof. Roskin dovrebbe andare.

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