Dopo la morte del settore pubblico - Marco Della Luna
Il settore
pubblico è morto, morto di privatizzazione ed espropriazione. Morto sul piano
economico-politico e su quello ideale. Rimane la sua vuota armatura. Vuota
innanzitutto socialmente e moralmente.
In un mondo
che affonda in un debito pubblico e privato inestinguibile sotto il peso di una
massa crescente di ricchezza finanziaria costituita perlopiù da promesse di
pagamento fuori della realtà, i soggetti privati che si sono presi il potere di
creare moneta automaticamente dettano la legge.
Tre gruppi
finanziari (Vanguard, Blackrock e State Street) gestiscono 25.000 miliardi
l’anno, 1/3 del prodotto lordo globale. Se ne aggiungiamo altri tre dei
maggiori, controllano tutte le banche centrali attraverso numerose società
intermediarie che però mandano a votare nelle assemblee sempre quei quattro o
cinque delegati, perlopiù, in Italia, di un unico studio legale milanese. I
gruppi finanziari fanno capo a loro volta a pochissime famiglie, Rothschild e
Rockefeller in testa. Praticamente tutto il settore pubblico è ormai caduto in
mano a multinazionali finanziarie private, anzi a famiglie dinastiche, le
quali, attraverso il finanziamento o definanziamento, e la modulazione del
rating, dettano le politiche degli Stati.
Di fatto, il
settore pubblico non esiste più, se non come facciata e finzione buona per
legittimare gli atti di un potere privato, assumendosi le sue
responsabilità. E quasi tutti gli atti di questa politica risultano,
prima o poi, avere come scopo il trasferimento di ricchezza, reddito e peso
sociale dalla popolazione generale a cerchie elitarie. Le rimanenti istituzioni
pubbliche, persino quelle sanitarie, vengono trasformate in aziende, e si
instilla nelle masse il received wisdom che ogni espressione
della volontà o consapevolezza della base, che non sia allineata alle loro
direttive tecnocratiche e autocratiche, sia estremista o populista o sovranista
e comunque irrazionale e immorale. Viene così liquidata la stessa idea della
volontà popolare come fondamento della legittimazione del potere politico.
Al contempo,
il liberalcapitalismo, nei passati decenni di ‘libertà’, ‘ha costruito una
mentalità e un senso della vita diametralmente antirivoluzionari:
un’immunizzazione perfetta contro la ribellione, una precondizione perfetta per
liquidare, senza ostacoli, ogni forma di reale rappresentanza democratica e
persino di stato di diritto. Per mezzo secolo nel secondo dopoguerra, in
condizioni controllate, è stato condotto un esperimento di progresso economico
e civile con distribuzione popolare del reddito, partecipazione dal basso,
miglioramento dei servizi pubblici, libertà di insegnamento e di pubblico
dibattito politico e culturale. Da tempo questo esperimento è terminato, ma voi
ancora pensate che fossero vostri diritti, e non volete capire che invece era
un loro esperimento su di voi.
Oggi anche
personaggi in vista come il geopolitologo Dario Fabbri ardiscono dire al grande
pubblico che l’Italia è un paese vassallo degli USA, e che pertanto non ha
libertà di decisioni strategiche in scelte economiche di fondo, politica
estera, impegni militari, etc., perché è Washington che decide. E che questa
situazione può finire solo se gli USA collassano internamente oppure vengono
sconfitti e sostituiti nel ruolo di potenza egemone. Ma ciò non è esatto: Chi
decide, chi ha il potere, non sono gli USA, non è uno Stato, un soggetto
pubblico e pubblicamente responsabile, bensì la suddetta cerchia privata e
pubblicamente irresponsabile di grandi famiglie bancarie, le quali si servono
degli USA come si servono dell’Italia e anzi sembrano orientate a esercitare il
loro potere globale servendosi sempre meno degli USA e sempre più dell’ONU (OMS
innanzitutto), della NATO, delle banche centrali e di altri plessi che
controllano le reti vitali della moneta, dell’informazione, del biopotere,
della ricerca tecnologica. Probabilmente stanno realizzando un apparato di
poteri in cui sembrerà che non ci sia più un paese padrone dominante sugli
altri, e che viga l’eguaglianza e l’indipendenza tra i vari stati, e che questi
siano coordinati non da un potere soprastante, tirannico, ma dal libero
consenso, dal buon senso, dalla morale, dalla scienza.
Davanti al
vuoto di res publica aperto dalla privatizzazione della politica ad opera della
tecnocrazia finanziaria, vedremo se e in che forme il corpo sociale saprà
rigenerare qualche forma di res publica, la demosìa, ossia una
potestas responsabile (accountable) verso il popolo, stante che il
potere finanziario non lo è, essendo privato e trincerato dietro la
giustificazione dei mercati, e offrendo al popolo, come responsabili, i
burattini della politica visibile e “democratica”.
Forse la
dimensione pubblica della vita sociale potrà essere rifondata in forma di
piccole, amicali comunità di difesa contro i poteri finanziari e gli stati
stessi, l’Onu etc., loro longa manus. E naturalmente contro Bill Gates,
GAVI e l’Organizzazione Mondiale dello Sterminio. Forse la dimensione pubblica
verrà resuscitata anche in forma di sistemi abbaziali di tipo alto-medievale,
dove un nucleo di monaci dava vita e dirigeva una comunità composta anche, anzi
in prevalenza, di laici, dediti alle varie arti e mestieri. Oppure,
paradossalmente, si espanderà a ruoli superiori quella dimensione pubblica già
presente nelle strutture sociali di tipo mafioso tradizionale, che hanno una
vocazione sia autonomistica dallo ‘stato’ – quindi una componente di sovranità,
congiunta a una forte solidaristica e disciplinare, ma comunque protettiva,
verso la propria gente. Se ciò avverrà, impareremo a parlare di essa con più
attenzione e meno sicumera.
I dati della spesa pubblica e quella privata: come si
costruiscono le diseguaglianze - Alessandro Volpi
Come si costruiscono le disuguaglianze. La spesa sanitaria pubblica si è
ridotta negli ultimi dieci anni di quasi 50 miliardi di euro. Nel frattempo è
cresciuta la spesa sanitaria privata che ormai ha ampiamente superato i 40
miliardi di euro annui, di cui 35 provengono direttamente dai cittadini e dalle
cittadine e circa 7 dalla sanità integrativa.
Questa mutazione in corso significa che circa 1,5 milioni di famiglie utilizza
oltre il 20% della propria capacità di spesa per cure mediche e quasi 500 mila
persone sostengono spese mediche che le portano sotto la soglia di povertà. A
questi dati bisogna aggiungere una fetta di popolazione, pari al 7%, che ha
rinunciato a curarsi.
Difendere la sanità pubblica con una dura lotta all'evasione fiscale, con il
pieno rispetto del principio di progressività dell'imposizione e con una
tassazione in grado di ottenere un gettito dai grandi patrimoni e dalle rendite
finanziarie è la strada per battere queste disuguaglianze. Pensare di
affrontare il tema della sanità riducendo il carico fiscale per consentire ai
cittadini e alle cittadine di disporre delle risorse da destinare alla sanità
integrativa vuol dire, invece, accentuare ancor di più le disuguaglianze, dal
momento che i redditi più bassi non riusciranno a dotarsi di polizze capaci di
garantire loro le cure necessarie e il minor gettito genererà l'inevitabile
smantellamento del sistema sanitario nazionale.
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