Questo articolo di Roberta De
Monticelli è stato pubblicato su Il Manifesto del 6 gennaio 2024
E’ veramente
in agonia il diritto internazionale? E’ un petrarchismo da legulei o un
astrazione da cattedratici sostenere che debbano esserci leggi universali e
intangibili? Possiamo continuare a distogliere lo sguardo dalle
gigantesche violazioni che ne stanno promuovendo gli USA, la cosiddetta sola
democrazia del Medio Oriente, e al loro seguito l’Unione europea, mentre
sbandierano i valori dell’Occidente? L’agonia del diritto internazionale è un
fatto che ognuno di noi dovrebbe esercitarsi a riconoscere fin nei dettagli
minimi, come suggerisce Domenico Quirico (La Stampa 3 gennaio
2024). Perché chiamare “uccisioni” – come fanno i telegiornali – e non
assassinii le cosiddette esecuzioni extra-giudiziarie che “accompagnano tutta
la storia dello stato ebraico” (è ancora Quirico a ricordarcelo, sullo stesso
giornale il giorno dopo), esultando per di più di questi “bestiali atavismi”
con la Bibbia in mano, indipendentemente da che si tratti di terroristi
conclamati, giornalisti, operatori sanitari, artisti, o altre vittime
“collaterali? Perché concedere onori da capo di stato a un assassino che ha
fatto squartare un uomo (Jamal Khashoggi) e denunciarne un altro alla Corte
Penale Internazionale, a seconda delle alleanze o delle guerre che sono in
corso? Perché non chiamare genocidio quello in corso a Gaza, anche dopo che gli
esperti hanno spiegato, se proprio occorreva, che ventiduemila morti la maggior
parte civili e due milioni di “sfollati interni” bastano e avanzano a chiamarlo
così?
Di fronte a
quest’agonia, il silenzio dell’Unione europea è come la lama del coltello che
senza pietà finisce di far fuori l’agonizzante, per suicidarsi con lui. Perché il
Trattato istitutivo dell’Unione recita: “Nelle sue relazioni con il resto
del mondo, l’Unione (…) contribuirà alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo
sostenibile della terra, alla solidarietà e al mutuo rispetto tra i popoli, al
commercio libero ed equo, allo sradicamento della povertà e alla protezione dei
diritti umani, in particolare i diritti del bambino, come all’osservanza
rigorosa e allo sviluppo del diritto internazionale, compreso il rispetto dei
principi della Carta delle Nazioni Unite.” Come 840 e più funzionari
dissenzienti hanno ricordato alla presidente della Commissione europea, lo
scorso ottobre. Richiamandola invano a un dovere che sta «nella ragione
dell’esistenza dell’Ue»: il compito di chiedere «un immediato cessate il
fuoco e la protezione della popolazione civile di Gaza» (EUNews, 20 ottobre
2023).
Quei
funzionari, mettendo a rischio le loro carriere, hanno fatto quello che
dovremmo fare tutti – ed è questa la sola cosa che si potrebbe obiettare a
Quirico e a molti altri come lui, che sembrano voler ignorare, forse solo per
disperazione, che il Diritto internazionale come ogni specie di Diritto vive
solo nella nostra voce, nel soffio che rianima le carte di cui sono fatte le
radici di un’Europa che voleva rinunciare a quelle di terra e di sangue. E che
se non la rianimiamo del nostro soffio, questa lettera morta delle carte, anche
il sottilissimo strato di civiltà per cui possiamo dirci umani è destinato a
sprofondare di nuovo nel sottostante oceano di stupidità e ferocia su cui le nostre
città galleggiano. Per questo Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU
per i Territori occupati in Palestina ha intitolato J’Accuse il
piccolo libro scritto con Christian Elia: un libro che parla a tutti noi, e
certo in particolare alle agenzie di verità senza cui le democrazie implodono,
informazione, ricerca, animatori di pubblico dibattito. Perché non c’è ragione
pratica se non nel suo esercizio alla prima persona, singolare o plurale. Non
c’è niente negli affari del mondo che non ci riguardi.
We, the
people. Sì, anche
noi italiani. Che dal nostro Presidente, in occasione del suo discorso di
Capodanno, ci aspettavamo, in vista come siamo ormai delle elezioni europee, un
cenno almeno al destino dell’Unione: che ha il nostro paese fra gli stati
fondatori, e che è nelle nostre mani anche sotto l’aspetto delle ragioni
per cui è nata. Invano. La diffusa indifferenza per l’impotenza delle
istituzioni del diritto internazionale è anche un suicidio virtuale del
progetto di una democrazia sovranazionale: basta rileggere il passaggio citato
sopra dal trattato istitutivo dell’UE per convincersene. Meno evidente, forse,
è che le ragioni del silenzio europeo siano assolutamente le stesse che stanno
alla base dell’impotenza dell’ONU: l’enorme contraddizione fra l’universalismo
dei principi e il particolarismo dei decisori. Pensiamo soltanto al primo
principio di quella Carta delle Nazioni Unite che, come abbiamo visto, l’Ue si
impegna a rispettare, e che istituisce il primato del diritto internazionale
sulle sovranità nazionali relativamente almeno a due obblighi: l’obbligo di
rispettare e implementare i diritti umani, e quello di ripudiare la guerra come
mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. Fu profetico il
Segretario Generale Antonio Guterres, che nell’annuale discorso tenuto il 20
settembre scorso aveva avvisato i grandi della terra: o l’ONU si riforma, e
riesce a superare il diritto di veto con il quale ciascuno degli stati membri
del Consiglio di Sicurezza può paralizzare ogni iniziativa volta a far
rispettare quei due obblighi, oppure va in pezzi, con conseguenze che
preferiremmo non dover soffrire. Ma se l’Europa tace, è per la stessa ragione.
Non ha una politica estera, si dice. Non può averla, perché gli stati membri
non hanno ceduto la sovranità necessaria ad averne una. Ma l’Ue si era
vincolata a molto di più di una politica estera: al ripudio stesso dell’idea
che, dove sono in gioco i conflitti internazionali e i diritti umani, le
“fonti” di legittimazione del potere politico possano mai essere le nazioni, come
se non fosse dalle guerre e dall’occupazione coloniale provocate dai moderni
stati-nazione che le nostre Carte volevano liberarci. Oggi – e in verità da
oltre mezzo secolo – Palestina docet.
Questa
priorità delle ragioni del diritto – ovvero della pace e della giustizia
globale – su quelle ormai tanto miopi della “politica” – racchiude in sé un
intero programma capace di motivare al voto “europeo” chi oggi dispera della
politica nazionale. Attuare la costituzione europea è cambiare politica su
tutto, dai riarmi nazionali sempre più accelerati ai migranti all’ambiente alla
povertà al lavoro. Se non ripartiranno da questa radicalità ideale, le sinistre
avranno semplicemente collaborato alla dissoluzione dell’Unione nell’”Europa
delle nazioni” – il suo contrario.
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