venerdì 30 novembre 2012

Tabucchi: Il mio tram attraverso il ‘900

Supponiamo che oggi abbia affittato un tram, di cui sono stato nominato guidatore, per fare un percorso attraverso la Letteratura del nostro secolo. In questo percorso farò delle fermate a mio piacimento, imbarcando solo i passeggeri che mi vanno a genio. Altre volte, spesso, tirerò diritto, senza curarmi di chi sta aspettando alla fermata. Riceverò improperi e maledizioni, me ne rendo conto, però la compagnia dei trasporti che mi ha consegnato il tram mi ha dato anche un berretto con una tesa di plastica che porta la dicitura “Scrittore”, e a questo punto, forte di questo privilegio, fingo di essere convinto che possa avere un certo interesse, per voi che siete i miei passeggeri, sapere come uno scrittore giudica il secolo in cui vive. Partenza Se io fossi uno scrittore come Georges Perec potrei tranquillamente esaurire il mio discorso con una lunga lista. Perec ha scritto effettivamente un bellissimo testo che è una semplice lista, si chiama J’aime, je n’aime pas (Mi piace, non mi piace), e in questa lista ha rivelato la sua estetica. Però, pensandoci bene, forse risulterebbe difficile liquidare il XX secolo con una lista a base di mi piace e non mi piace. Si tratta di un secolo troppo complesso che insieme piace e dispiace. È il secolo delle contraddizioni, dei contrasti, degli entusiasmi e delle disillusioni. È anche il secolo delle grandi utopie sociali e delle grandi ideologie umanitarie e allo stesso tempo è il secolo dei grandi disastri. 

I fermata: manifesto parigino 

Il XX secolo, per quanto riguarda la Letteratura, comincia con un manifesto, un manifesto che fu pubblicato nel 1909 su Le Figaro di Parigi, firmato da Filippo Tommaso Marinetti. Si tratta del manifesto del Futurismo. Potrei dire subito che è un manifesto che non mi piace, però preferisco fare altre osservazioni. La prima osservazione che si impone, a mio avviso, è che il Futurismo nasce come teoria, però dietro questa sua teoria si intravede in trasparenza il desiderio di imporsi come attività pratica, come effettivamente successe. Voglio dire che nel Futurismo si verifica un processo di estetizzazione che si riferisce ad ambiti che non appartengono all’arte ma che appartengono piuttosto alla vita, e per meglio dire alla vita di tutti i giorni: alla politica, alla moda e perfino alla cucina. Detto in breve: il Futurismo si conforma e si presenta non solo come un’ideologia onnicomprensiva, non solo come una forma di vedere il mondo, ma anche come una forma di viverlo. Vale a dire: per la prima volta un’avanguardia artistica realizza uno slittamento dalla teoria alla praxis e pretende di intervenire sulla realtà. Però, allo stesso tempo, e mi sembra un aspetto molto importante, il Futurismo si presenta come un’ideologia che non offre punti di divergenza con l’epoca in cui attua. Al contrario, realizza una celebrazione della civiltà industriale, magnifica gli aspetti della modernità e li dilata fino ad assumerli come nuovi miti. Fra i molti aspetti della realtà che il Futurismo mette in risalto in maniera da farli diventare nuovi miti, direi che la Macchina gode di uno statuto privilegiato: si potrebbe fare una piccola storia del XX secolo basata sull’approvazione della Macchina da parte di alcuni e sulla sua condanna da parte di altri. E questi altri sono coloro per i quali essa significa un nuovo e terribile Moloch sui cui altari si immola l’uomo contemporaneo e che vedono in questa Macchina un nuovo mostro. E vorrei citare per lo meno Italo Svevo, il Pirandello di Serafino Gubbio e il Kafka della Colonia penale, tenendo fuori una gran parte dell’Espressionismo tedesco.
 

II fermata: un altro manifesto 

Però non è stato il Futurismo l’unica avanguardia che si è imposta l’obiettivo di passare dalla teoria alla pratica, cioè di intervenire nel mondo sociale e nella vita. Abbiamo anche il Surrealismo. Certo, con ideologia diversa e con un segno politico diverso. Vorrei citare Edoardo Sanguineti, che ha affermato che il Surrealismo non solo tende a una estetizzazione del mondo, ma persino alla distruzione della categoria dell’estetica in nome di un cambio della relazione dell’uomo con se stesso, dell’uomo con il mondo, attraverso una prassi surrealista la cui ambizione è effettivamente essere rivoluzionaria. Però, se come dicevo prima, il progetto surrealista ha un segno diverso e politicamente differente dal Futurismo, in cambio è identica l’intenzione o l’illusione; vale a dire: passare dalla teoria alla pratica. Cioè abbandonare i confini dell’arte e della letteratura e intervenire nella vita. Ometto per essere breve altri movimenti di avanguardia che hanno segnato la prima metà di questo secolo e che come il Futurismo e il Surrealismo hanno avuto la pretesa di attuare nella praxis. Mi interessa soltanto mettere in risalto che il nostro secolo è nato con questa grande utopia delle avanguardie storiche: la convinzione di poter intervenire direttamente sulla realtà.
 

III fermata: Auschwitz 

Ebbene, a mio avviso questa utopia crollerà miseramente con un evento che determina un taglio storico e che mi sembra una linea divisoria alla metà del XX secolo: la Seconda guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale cancella nelle avanguardie l’illusione dell’artista di poter intervenire nella realtà, uccide la grande utopia degli intellettuali e degli scrittori, allontana in maniera radicale l’idea che l’artista possegga non solo una incidenza sulla prassi, ma direi un ruolo e una legittimità propria. La domanda che sorge dopo la Seconda guerra mondiale è la seguente: è possibile scrivere ancora dopo Auschwitz? Tuttavia, ponendo a questo punto della mia conversazione una simile domanda, un simile interrogativo, rischierei di lasciare da parte tutta una letteratura che perfino nei momenti più drammatici del XX secolo si è espressa senza farsi domande e senza porsi il problema di intervenire sulla realtà, ma direi con il preciso intento di fornire una serie di testimonianze, di cronache, di descrizioni e di evocazioni: le grandi pagine degli scrittori isolati che hanno osservato i grandi avvenimenti del nostro secolo: Bulgakov, Malraux, Babel, Pasternak, Orwell. E direi che ponendomi questa domanda rischierei anche di lasciare da parte quella letteratura di testimonianza che alla domanda che ponevo prima, e che pone Adorno, “È possibile scrivere ancora dopo Auschwitz?”, ha optato giustamente di scrivere su Auschwitz. Mi riferisco soprattutto a un grande scrittore italiano, Primo Levi, e alla sua grande e dolorosa prova: guardare con occhi lucidi l’epoca in cui viviamo, testimoniare, usare la letteratura come memoria, una memoria che perduri ostinatamente, una memoria lunga che si opponga alla memoria breve dei mezzi di comunicazione di massa che caratterizzano l’epoca in cui viviamo...


martedì 27 novembre 2012

Il pescatore e il turista - Heinrich Böll


In un porto della costa occidentale europea un uomo vestito poveramente se ne sta sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchia.
Un turista vestito con eleganza sta appunto mettendo una nuova pellicola a colori nella sua macchina fotografica per fotografare quella scena idilliaca: cielo azzurro, mare verde con pacifiche, candide creste di spuma, barca nera, berretto da pescatore rosso.
Clic. Ancora una volta: clic, e siccome non c’è due senza tre, ed è sempre meglio essere sicuri, una terza volta: clic.
Quel rumore secco, quasi ostile sveglia il pescatore mezzo addormentato, che si drizza pieno di sonno, cerca, pieno di sonno, il suo pacchetto di sigarette, ma prima di averlo trovato lo zelante turista gliene mette già un altro sotto il naso, gli ha infilato una sigaretta non proprio in bocca ma tra le dita, e un quarto clic, quello dell’accendino, conchiude quella sollecita cortesia. Quell’eccedenza quasi impercettibile, assolutamente indimostrabile di scattante cortesia ha provocato un irritato imbarazzo che il turista, il quale conosce la lingua locale, cerca di superare entrando in conversazione.
- Oggi lei farà una buona pesca.
Il pescatore scuote la testa.
- Perché? Non uscirà al largo?
Il pescatore scuote la testa; crescente nervosismo del turista. Deve stargli proprio a cuore il bene di quell’uomo poveramente vestito, e certo lo tormenta il pensiero di quell’occasione perduta.
- Oh, lei non si sente bene?
Finalmente il pescatore passa dal linguaggio dei segni alla parola articolata.
- Mi sento benone, - dice. - Non mi sono mai sentito meglio - .
Si alza, si stira come per far vedere l’atleticità del suo fisico. - Mi sento una cannonata.
Il volto del turista assume un’espressione sempre più infelice, non può più reprimere la domanda che, per così dire, minaccia di fargli scoppiare il cuore:
- Ma allora perché non esce al largo? La risposta arriva subito, asciutta.
- Perché l’ho già fatto stamattina.
- E’ stata una buona pesca?
- Talmente buona che non ho bisogno di uscire un’altra volta, ho preso quattro aragoste, quasi due dozzine di maccarelli…
Il pescatore, finalmente sveglio, ora si scioglie e dà qualche rassicurante pacca sulla spalla al turista. La sua faccia preoccupata gli sembra l’espressione di un’ansia magari fuori posto ma commovente.
- Ne ho persino abbastanza per domani e dopodomani, -dice per sollevare l’animo dello straniero.
- Fuma una delle mie sigarette?
- Sì, grazie.
I due mettono in bocca le sigarette, un quinto clic, lo straniero si siede scuotendo la testa sul bordo della barca, mette da parte l’apparecchio fotografico perché adesso gli servono tutte e due le mani per dare forza al suo discorso.
- Io non voglio immischiarmi nei suoi affari privati, - dice, - ma immagini di uscire al largo, oggi, una seconda, una terza, magari una quarta volta e di pescare tre, quattro, cinque, forse addirittura dieci dozzine di maccarelli… se lo immagini un po’.
Il pescatore annuisce.
- Faccia conto, - continua il turista, - che non solo oggi, ma domani, dopodomani, in ogni giorno favorevole lei esca al largo due, tre, magari quattro volte… lo sa che cosa succederebbe?
Il pescatore scuote la testa.
- In un anno al massimo lei potrebbe comprarsi un motore, entro due anni una seconda barca, fra tre o quattro anni lei potrebbe forse avere un piccolo cutter, con le due barche o il cutter lei naturalmente pescherebbe molto di più. Un bel giorno lei avrebbe due cutter, e allora… -
L’entusiasmo gli strozza la voce per qualche istante.
- Allora lei si costruirebbe una piccola cella frigorifera, magari un affumicatoio, più tardi una fabbrica di pesce in salamoia, andrebbe in giro nel suo elicottero personale, scoprirebbe dall’alto le schiere di pesci e lo comunicherebbe via radio ai suoi cutter. Potrebbe acquistare il diritto alla pesca del salmone, aprire un ristorante specializzato in pesce, esportare direttamente a Parigi, senza intermediari, le aragoste;
e poi… -
Ancora una volta l’entusiasmo impedisce allo straniero di parlare. Scuotendo il capo, afflitto nel profondo del cuore, avendo già quasi perso il piacere delle vacanze, guarda le onde che avanzano dolcemente e dove è tutto un allegro guizzare di pesci non pescati.
- E poi, - dice, ma ancora una volta l’eccitazione lo rende muto.
Il pescatore gli batte sulla schiena come a un bambino a cui sia andato un boccone di traverso.
- Che cosa? - gli chiede sottovoce.
- E poi, - dice lo straniero con un entusiasmo estatico, - e poi lei potrebbe starsene in santa pace qui nel porto, sonnecchiare al sole… e contemplare questo mare stupendo.
- Ma questo lo faccio già, - dice il pescatore, - me ne sto in santa pace qui nel porto e sonnecchio, è solo il suo clic che mi ha disturbato.
Il turista così ammaestrato se ne andò via pensoso, perché un tempo anche lui aveva creduto di lavorare per non dover più lavorare un giorno, e in lui non restava traccia di compassione per quel pescatore poveramente vestito, solo un poco d’invidia.

lunedì 26 novembre 2012

Un anno dopo, Monti e a capo - Rossana Rossanda


L’essere Monti e il suo governo super partes, senza il fardello delle ideologie, ha preteso che alcune parti, che sarebbero state finora favorite, cioè i meno abbienti, abbiano pagato più delle altre, in soldi e diritti. Oggi siamo informati che il governo tecnico sta riuscendo ad abolire quel che nemmeno a Berlusconi era riuscito, il contratto nazionale di lavoro

Nel suo Dna sta un gene padronale. Il governo tecnico ammette una sola variante politica: non toccare gli abbienti, non tassare la rendita, non infastidire troppo la finanza, se no queste “parti sociali” se ne vanno verso altri lidi. Negli Stati Uniti perderebbero anche la cittadinanza, in Europa no. Vien da pensare che hanno ragione coloro che ci ammoniscono, badate che ormai l’economia è diventata più forte della politica. È lei che ha vinto, e ogni giorno azzanna qualche lembo di potere che pareva ancora del dominio politico, in soldi e diritti. È cosi? Non credo. I poteri che sono passati alla proprietà non sono stati strappati a mano armata ai governi; questi – finora espressione della politica – glieli hanno consegnati. E non sempre e solo i governi di destra

…In capo a due mesi, votata una finanziaria sicuramente montiana, il nostro presidente della repubblica scioglierà le camere, mandandoci alle elezioni che, come è noto, di tecnico e oggettivo non hanno niente, ridanno voce ai partiti e premono il pedale delle emozioni. La famosa ideologia riprende posto e si vedrà che cosa ha maturato nell’anno in cui è stata sotto la tutela del professore. Potrebbe, per esempio, ribaltare quell’occhio di riguardo che aveva per i più abbienti, e spostarlo verso i lavoratori, pensionati, precari, disoccupati; potrebbe essere questo il discorso della sinistra. Ma è verosimile? Il bifido Pd ha nelle sue tre anime due culture assolutamente montiane (o peggio) e una, quella bersaniana, di un montismo appena emendato. Una passione travolgente lo spinge verso il premier, che non vedrebbe male – ma come confessarlo? – mantenere il suo mandato o ancora meglio, dato che scade anche il presidente della repubblica, andare al posto di Giorgio Napolitano. Che cosa speri di ottenere Nichi Vendola salendo su questa barca non mi è chiaro. A sinistra del Pd si affollano sigle e candidati, impegnati a strappare uno strapuntino di minoranza, cosa del tutto legittima se dal medesimo riuscissero ad esprimere un programma, che non abbia da pretendersi ipocritamente oggettivo e super partes, e abbia il coraggio di dire da che parte sta. Per ora non vedo.
Noi, nel nostro piccolo di gente che non mira a essere deputato, abbiamo detto che siamo per un’Europa che faccia abbassare la cresta alla finanza, unifichi il suo disorientato fisco, investa sulla crescita selettiva ed ecologica, non solo difenda ma riprenda i diritti del lavoro. Non piacerà a tutti. Ma chi ci sta?

Stabat Mater - Gianni Mascia


Stava Maria, Mater addolorada, a Gaza.
Tristezza nelle viscere, pietre nel cuore,
nelle penombre di vespro che s’arrossano,
come carne insanguinata, appena martoriata,
nell’ora d’un segno di croce, a denti stretti,
senza preghiere e senza nemmeno un sospiro,
né una stilla d’acqua santa a benedire
l’ultimo momento, l’ultimo canto funebre.

Stava Maria, madre di dolore, a Gaza.
Ribolle la terra nel vuoto del nulla,
mentre lontano rimbomba feroce la voce
del fragore di mura in caduta, sbrecciate,
che suonano nei sogni di polvere malvagia,
di notti che repentine rotolano nelle rovine,
nel singhiozzare del pianto di un bimbo ferito
che beve le lacrime salate dell’amarezza,
che piovono come un fiume d’Inverno, tsunami,
dalla bocca spalancata del cielo gonfio, grigio,
color di Piombo Fuso, che vomita l’anima
nei suoni dell’abbandono e della disamistade
che sono la sinfonia dell’odio e della tirannia.

Stava Maria, Mater addolorada, a Gaza…
Era lì, a Gaza, stava a Kabul, in Sierra Leone,
in ogni dove e in ogni quando riluca il dolore,
in ogni dove e in ogni quando alberghi la follia
e l’uomo si strafoga di quel sangue innocente
consolato solo dal canto di labbra di luna.

Le società anonime occultano risorse al Paese - Giangaetano Bellavia

Nel nostro paese si stima che la corruzione di fatto sottragga ogni anno 60 miliardi allo sviluppo.
Dal 1990 in poi sono stati fatti passi avanti importanti nella lotta alle condotte di riciclaggio di denaro proveniente da delitto, resta fuori però un'area intoccata, e forse intoccabile: l'operatività in Italia delle società ed enti incorporati in giurisdizioni che consentono l'anonimato societario.
Il problema è che nel mondo vagano enormi masse di denaro di provenienza illecita che spesso vengono collocate nel sistema economico lecito attraverso società, enti e strutture finanziarie complesse posizionate in giurisdizioni che garantiscono il totale anonimato. Queste società, enti e strutture estere le troviamo quotidianamente nel nostro sistema economico in modo assolutamente straordinario ed incisivo. Su 250 società quotate nella nostra borsa, circa la metà dichiara soci esteri con più del 2% del capitale sociale. Basta accedere al sito di Consob e vedere tali dichiarazioni. Insomma una grande massa di denaro investito sulle nostre quotate arriva dall'estero ma soprattutto arriva da soggetti anonimi.
Ad esempio la AS Roma è interamente detenuta da società estere, ma anche Class editori, De Longhi, Seat Pagine Gialle e Vittoria Assicurazioni hanno rilevanti quote del loro capitale in mani estere.
Va ricordato che tutte, ripeto tutte, le grandi bancarotte dell'ultimo ventennio sono state causate da distrazioni di denaro verso società anonime estere; tutti i più grandi scandali a partire dallo scandalo petroli per la corruzione dei politici negli anni 70, fino a quelli più recenti sull'utilizzo del denaro pubblico da parte di soggetti politici, riportano sempre la presenza di società o strutture estere anonime.
Queste strutture, proprio per gli enormi vantaggi che l'anonimato può offrire alle attività criminose, sono utilizzate nella maggior parte dei casi da chi abitualmente delinque. Dalla mia esperienza una buona parte delle società estere che operano sul territorio nazionale detenendo partecipazioni in società italiane, sono società anonime posizionate in giurisdizioni di fatto inesplorabili che neppure rispondono alle rogatorie della magistratura oppure rispondono dopo anni quando le condotte illecite sono prescritte…

bye bye Manifesto

Rossana Rossanda lascia il Manifesto. Una delle fondatrici della storica testata della sinistra italiana se ne va, con una lettera (che qui pubblichiamo) in cui accusa la direzione e la redazione di "indisponibilità al dialogo". Lettera che Rossanda ha inviato al giornale affinché venga pubblicata domani.

E' solo l'ultimo degli addii "eccellenti" che il Manifesto ha subito nelle ultime settimane. Prima Vauro, poi Marco D'Eramo (la cui lettera di commiato è stata liquidata con poche sprezzanti righe dalla direzione, ragione per la quale è in corso tra i suoi amici e lettori una raccolta di firme per criticare duramente l'atteggiamento del giornale nei confronti di una delle figure storiche delManifesto). 

E il giornale – fondato nel 1969, che versa in pessime acque finanziarie – continua a perdere pezzi. Dopo l'addio di D'Eramo, anche Joseph Halevi, uno tra i più noti collaboratori del Manifesto, ha deciso di lasciare, e in una lettera inviata al circolo del Manifesto di Bologna usa parole durissime nei confronti della direzione e della redazione: "Non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale".
LA LETTERA DI ROSSANDA

Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.

Rossana Rossanda

LA LETTERA DI HALEVI

Care compagne e cari compagni 
Non so se avete visto l'andazzo del manifesto nelle ultime settimane. E' peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D'Eramo, quelle della redazione non quelle di D'Eramo. Consiglierei di rompere, perché non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch'io me ne vado, senza alcuna lettera. E' inutile.
Un caro saluto, 

Joseph Halevi



Vergogna, sciacalli


La scena da sciacalli è stata raccontata in parte da un video pubblicato dal "Quotidiano della Calabria". Protagonisti i titolari e i dipendenti di alcune agenzie di pompe funebri dei paesi vicini, accorsi sul luogo della tragedia una volta allertati dalle forze dell'ordine e dai sanitari. Uno spettacolo sconfortante, scrive sulla testata calabrese il giornalista Valerio Panettieri. "Quelli sono tutti miei - si sente urlare davanti alla carcassa dell'auto - . Sono stato avvisato dall'ospedale, sono arrivato per primo, se qui viene qualcuno che non è di Rossano succede un casino. Questa è roba nostra, non vogliamo gente da Corigliano o da Mirto"…

domenica 25 novembre 2012

Modesta riflessione di osservatore amico – Pietro Ancona

Mia modesta riflessione di osservatore amico Il popolo palestinese ha bisogno di una dirigenza politica diversa di Hamas e dell'OLP. Entrambi queste organizzazioni hanno fatto il loro tempo ed alla fine sono state assorbite cooptate e rese subalterne in un modo o nell'altro da Israele e dagli USA. I palestinesi hanno bisogno di una dirigenza che riscopri il primo Arafat ed il grande prestigio che era riuscito a crearsi in tutto il mondo e che si dia un progetto di Stato socialista simile a quello sognato dai grandi leaders arabi della decolonizzazione come Nasser, Gheddafi..... I palestinesi hanno bisogno di libertà. Festeggiare la tregua quando si resta prigionieri ed immersi nelle macerie avvelenate di Gaza non è stata una buona idea e non corrisponde ai sentimenti di una popolazione stremata e giunta al limite della capacità di sopportare la sofferenza. Si dovrebbero indire libere elezioni in tutta la Palestina ed avviare una nuova generazione di dirigenti. Ci vuole un partito nuovo ispirato ai principi della libertà e del socialismo!!

quattro amici al bar


Il gruppo Facebook «Marxisti per Tabacci» è partito da Cagliari, davanti a una birretta al bar, all'indomani della candidatura dell'ex Dc e Udc. Un collettivo di ragazzi folgorato innanzitutto dallo sguardo del loro eroe: «L'espressione facciale – spiega un anonimo componente del "fan club" – richiama l'iconografia socialista…

venerdì 23 novembre 2012

L'Emiro e la svendita della Sardegna - Emiliano Deiana


L'ho sentito con le mie orecchie Mario Monti dire, davanti a un migliaietto di Sindaci allibiti, che l'Emiro del Qatar non poteva investire in Italia per un motivo: "corruption", corruzione.
Ed ora, si sa, con la sola forza dell'imposizione delle mani, corruzione in Italia non ce n'è più. E' bastata una leggina e tutto si è risolto.
Tanto è vero che qualche settimana dopo Mario Monti se ne va in Qatar a trattare chissà quali affari. Ma non ci va da solo: ha la bella pensata di portarsi dietro il Presidente di Regione più inutile della storia dell'Autonomia della Sardegna, Ugo Cappellacci.
La novità, se vogliamo, è proprio questa: una Regione in vendita, ancor prima che inizino i saldi.
O meglio, ad iniziare ci hanno pensato i "sardi". Molto virgolettato.
Con quell'atteggiamento supino, da servi.
Un miliardo di euro, addirittura.
Noccioline in confronto a quello che lo Stato italiano deve alla Sardegna, bruscoline in confronto all'incapacità dello svenditore di spendere i 10 miliardi di euro dell'Unione Europea per la programmazione 2007/2013 destinate alla nostra isola.
Ma la ricetta, questa volta, è di quelle avveniristiche.
Blocchetti, foratini, betoniere, cemento, sferragliamenti, cemento.
Un pò di folklore: il ballo tondo col nulla in mezzo.
Vestiteli a maschera i sardi, che con quei sottanoni degli islamiti ci facciamo la nostra porca figura.
Nanneddu meu già ce lo ricordiamo ancora, poi un giro di troie per farli coddare questi Emiri che già sono abituati a 27 mogli ma vuoi metterci una letterina o una velina?...

giovedì 22 novembre 2012

Not in my name di Beppe Grillo


Not in my name sarà ceduta la più piccola goccia di sovranità nazionale
Not in my name verrà smantellato lo Stato Sociale
Not in my name i partiti che hanno distrutto l'Italia si ricicleranno come salvatori della Patria
Not in my name i giornali che hanno fatto della menzogna un'arte riceveranno un solo euro di finanziamento pubblico
Not in my name ci saranno ancora le pensioni d'oro
Not in my name ci saranno i finanziamenti pubblici ai partiti
Not in my name rimarremo nell'euro senza una consultazione popolare
Not in my name saranno distrutte le piccole e medie imprese
Not in my name i concessionari di Stato continueranno a lucrare su beni pubblici
Not in my name si faranno Grandi Opere inutili indebitando i cittadini
Not in my name chi ha fatto della politica un mestiere rimarrà al suo posto dopo aver rovinato l'economia italiana
Not in my name la grande distribuzione ucciderà il commercio locale
Not in my name si costruirà un solo inceneritore
Not in my name i rifugiati politici saranno più trattati come bestie
Not in my name l'Italia parteciperà alle guerre altrui come in Afghanistan o in Libia
Not in my name gli alti funzionari pubblici percepiranno stipendi da nababbi
Not in my name sarà ancora permesso il falso in bilancio
Not in my name l'Italia non avrà una legge anticorruzione
Not in my name l'Italia non avrà una legge contro i conflitto di interessi
Not in my name sarà più eletto alla presidenza del Consiglio chi non ha avuto una legittimità popolare
Not in my name la legge elettorale potrà essere cambiata dai partiti che ne sono i beneficiari, ma solo attraverso un referendum
Not in my name esisterà ancora Equitalia
Not in my name la RAI sarà più gestita dai partiti
Not in my name l'Italia sarà spolpata per comprare il nostro debito pubblico dalle banche francesi e tedesche
Not in my name la finanza sostituirà la politica
Not in my name la prima casa potrà essere ipotecata per tasse non pagate o soggetta all'IMU
Not in my name continuerà la cementificazione dell'Italia
Not in my name qualcuno potrà essere lasciato indietro

Il campione – David Storey

un gran libro, l'ho letto senza saperne niente prima ed è stata una bellissima sorpresa. 
so che Lindsay Anderson ne ha tratto un gran film, che vedrò a breve.
una cosa curiosa, quando lo leggevo vedevo una storia in bianco e nero, senza colori, triste.
lo si legga, nessuno se ne pentirà, promesso - franz




Il campo da gioco li trasforma ogni sabato in eroi, ma durante il resto della settimana sono individui come gli altri, costretti a guadagnarsi un modesto salario in miniera o in fabbrica. David Storey racconta i sogni e le ambizioni di un gruppo di rugbisti in una cittadina dello Yorkshire in Il campione, romanzo del 1960 poi diventato film per la regia di Lindsay Anderson. Il taglio della storia è quello tipico della letteratura degli "arrabbiati" che furoreggiava nel Regno Unito del l'epoca, con l'analisi del quotidiano di una working class spesso violenta, decisa a far leva su anarchici furori per riscattarsi da un destino gramo e dalla routine di un lavoro frustrante.La voce narrante appartiene a Arthur Machin, erculeo metalmeccanico che ottiene un ingaggio dal team locale e si convince così di essere un semidio al quale tutto è permesso, anche di imporre un legame sentimentale alla vedova che gli ha offerto in affitto una stanza, portandola alla disperazione. Al suo fianco ci sono i compagni di squadra altrettanto certi che l'entusiasmo mostrato dal pubblico nei loro confronti durante le gare li autorizzi a spacconate da bulli nei pub o ai danni di ragazze ingenue e a caccia di mariti. L'alcool scorre a fiumi in questo libro dove lo sport diventa il pretesto per scatenare un'istintiva violenza: nei match di cui dà conto Storey la tecnica conta assai poco, mentre assume un'importanza sempre maggiore con il trascorrere degli anni la forza dei pugni…

Con Lindsay Anderson successe una cosa strana. Non ci incontravamo da un po’ e lui mi telefonò per dirmi che c’era qualcosa di urgente. Lui e David Storey stavano lavorando alla sceneggiatura di Io sono un campione da un anno ed erano stufi. Ero disposta a leggere il romanzo e a dire cosa ne pensavo? Lo lessi durante la notte e la mattina telefonai per dire che ne ero entusiasta.
«Doris Lessing
da qui


…Protagonista è Arthur Machin, un ragazzo che nasce ragazzo e che, nel tempo e nello spazio racchiuso fra le copertine del testo, prova a maturare, a diventare uomo attraverso il gioco vicendevole della vita e della morte, attraverso la vita in fabbrica e la valvola di sfogo (ed arricchimento) del rugby. Machin è tronfio, smargiasso, pieno di sé. È uno sbruffone assunto a cottimo presso la nascente società dei consumi, amante degli altri soltanto attraverso lo specchio di sé stesso. Con lui non si empatizza. Lo si odia per lunghi tratti della storia. In lui sembra di scorgere il pródromos degli eroi di plastica contemporanei, circondati da compagne in silicone. E Storey non fa nulla per farlo amare. Sporca i suoi già marcati difetti, acuisce i limiti e le mancanze, tratteggia un animale solitario. Una sorta di cavaliere nero o sceriffo del west senza morale né giustizia se non quella del proprio ego.
Sarà un tiepido ma complicato amore con la sua padrona di casa a scuoterlo dal torpore emotivo, a dirigere i passi esperienziali verso mete nuove, schiudendo un nuovo orizzonte di fronte alla rotta monocorde della sua vita. Una giornata di sole ma anche di tanta pioggia che condurrà ad un veloce tramonto. Già perché di fronte a Arthur e Val si staglieranno boria, diffidenza, malattia, morte. Due frugoletti, figli del matrimonio concluso di lei (vedova di un operaio), vagamente alienati e dai tratti inquietanti, come un invalicabile ostacolo della memoria che non si spezza mai, della natura che impera, domina, trionfa.
Sospeso fra il più classico dei Dickens e l’Orwell de “La strada di Wiegan Pier”, Storey monta un copione lercio, sporco, duro, ricco di pathos. Nello squallore inquinato dei bassi inglesi, case come “conigliere inchiodate insieme da gran puntelli di comignoli”, le pagine emanano tanfo di grasso, smog, fumo, alcol, sudore. Un olezzo si incolla indosso anche senza volerlo, coinvolgendo ed abituando.

"Il campione" di Storey è tornato in libreria grazie ad una lungimirante casa editrice italiana dal nome misterioso o quasi, 66thand2nd, e grazie alla nuova traduzione di Guido ed Irene Bulla. Un libro da leggere assolutamente. E' la storia dell'irruento Arthur Machin, ingaggiato dalla squadra di rugby di Primestone: un operaio che diventa l'idolo dei tifosi e prova a riscattare un'esistenza frustrata ed anonima conquistando l'affetto della signora Hammand, vedova e sua padrona di casa. Il libro aprì le porte al giovane Storey, diventato romanziere, poeta, drammaturgo e sceneggiatore di straordinario successo. Figlio di un minatore, giocava a rugby e somigliava a Parisse. Ma giovanissimo lasciò tutto per una borsa di studio a Londra alla Slade School of Fine Art. Lo hanno soprannominato il 'Cechov del Nord', è stato l'esponente di punta di quel manipolo di scrittori realisti inglesi ribattezzati i Giovani Arrabbiati…

mercoledì 21 novembre 2012

la bella gioventù

Latuff e Chappatte a Gaza


da qui




la difesa


da qui

E la chiamano guerra – Noam Chomsky


L'incursione e i bombardamenti su Gaza non puntano a distruggere Hamas. Non hanno il fine di fermare il fuoco di razzi su Israele, non puntano a instaurare la pace. 
La decisione israeliana di far piovere morte e distruzione su Gaza, di usare armamenti letali degni di un moderno campo di battaglia su una popolazione civile largamente indifesa, è la fase finale di una pluridecennale campagna per fare pulizia etnica dei palestinesi.
Israele usa sofisticati jet da attacco e navi da guerra per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni, moschee e slum; per attaccare una popolazione che non ha aviazione né contraerea, armamenti pesanti, unità di artiglieria, blindati (...). E la chiama guerra. Ma non è guerra, è un assassinio.
Quando gli israeliani nei territori occupati dicono che si devono difendere, si difendono nel senso che ogni esercito occupante deve difendersi dalla popolazione che sta schiacciando. Non puoi difenderti, quando stai occupando militarmente la terra di qualcun altro.
Questa non è difesa. Chiamatela come volete, ma non è difesa.

martedì 20 novembre 2012

Rosa Schiano da Gaza

Ieri pomeriggio sono tornata nuovamente allo Shifa hospital.
La giornata è stata più dura di quanto mi aspettassi.

Un attacco aereo ha colpito un intero edificio di tre piani in Nasser street, distruggendolo ed uccidendo l'intera famiglia che viveva all'interno. Verso le ore 16.00 i primi feriti sono giunti in ospedale insieme ai corpi delle vittime. Quattro bambini sono morti:


Ibrahim Al Dalu, 11 mesi
Jamal Al Dalu, 6 anni
Yousif Al Dalu, 5 anni
Sara Al Dalu, 3 anni

Anche la loro madre è morta: Samah Al Dalu, 22 anni, ed il loro padre, Mohammed Al Dalu, 28 anni.
Morta anche la zia Ranin Al Dalu, 22 anni, e dipersa la seconda zia, Yara Al Dalu.
Morta anche la nonna, Suhila Al Dalu, 50 anni.
Morti anche due vicini di casa: Abdallah Mzanar, 20 anni, e Amina Mznar, 80 anni.

Anche un passante è rimasto ferito. Mohammed Al Af, 31 anni.

L'edificio è crollato e si sta attualmente scavano nelle macerie per torvare altri corpi.

Ho visto i corpi dei quattro bambini in ospedale...


Ieri pomeriggio mi sono recata come ogni giorno allo Shifa hospital per registrare i feriti e le vittime degli attacchi israeliani.

Il dottor Sami ci ha confermato che molti persone hanno riportato feriti da esplosioni.
Verso le 11 del mattino di ieri apaches israeliani hanno nuovamente bombardato con due missili l'edificio Shourouq in Gaza city, dove si trovano uffici di agenzie stampa e lavoravano tanti giornalisti. Una persona è rimasta uccisa, Ramiz Harb, 36 anni, originario di Shijaia, Gaza city, e tre persone sono rimaste ferite.
Il dottor Sami ha confermato che la maggior parte dei feriti in questi attacchi israeliani sono donne e bambini, così come la famiglia Al Dalu, sterminata l'altro ieri in un bombardamento in Nasser street. 
"Si sta verificando una situazione simile a quella del 2008-2009 - facendo riferimento a Piombo Fuso - quando in oespdale arrivavano padrei, madri, bambini, intere famiglie di feriti" , continua il dottor Sami, conclude affermando che c'è una chiara escalation da ieri.

Nelle prime ore del mattino di ieri infatti l'aviazione militare israeliana ha bombardato il quartiere di Zaytoun in Gaza city, colpendo tre abitazioni. Tre le famiglie colpite,tra cui la famiglia Abu Zor, 4 persone uccise, tra cui un bambino di 4 anni, ed almeno una decina i feriti.
Le vittime sono: 
Iyad Abu Zor, 4 anni
Nesma Abu Zor, 19 anni
Sanar Abu Zor
A'ahed Al Qatati, 38 anni

Tre bambini della famiglia Abu Zor sono attualmente in Terapia Intensiva nello Shifa hospital:
Foad Abu Zor, 6 anni
Mohammed Abu Zor, 9 anni
Hanady Abu Zor, 10 anni

Eccoli nel reparto di Tarapia Intensiva. Tutti sono in condizioni estremamente critiche. Hanno subito traumi soprattutto alla testa…

A noi d’Israele ci piace vincere facile - Massimo Zucchetti


Cinquanta a tre. Cinquanta morti palestinesi in questi giorni, contro i tre morti israeliani iniziali dovuti ai razzi di Hamas. Credo che Israele possa essere contento, ha recuperato alla grande e mi pare stia vincendo questa guerra. Uno degli Stati più militarizzati e organizzati del mondo, contro una Striscia di Palestinesi, piena di civili.
Se poi contiamo che fra i morti palestinesi ci sono circa una decina di bambini, possiamo addirittura fare questo calcolo per vedere che il risultato di Israele migliora. La speranza di vita attesa da un bambino di cinque anni, gli anni che doveva vivere e non vivrà mai, perché morto sotto le bombe, sono circa settanta, diciamo il doppio di un uomo medio.
Allora, il bilancio sale, a favore di Israele: i bambini valgono doppio, e quindi Israele sta vincendo sessanta a tre. Molto bene.
Dimenticavo, fra i morti palestinesi anche una donna incinta: vale doppio, anzi triplo. Quindi siamo sessantadue a tre. Ottimo risultato. Se andiamo sui feriti, poi, cresce la contentezza israeliana: i feriti palestinesi, tutti civili, moltissimi bambini e ragazzi, sono centinaia, oltre 350: gli ospedali sono allo stremo, è davvero un grande risultato.
Se poi contiamo i danni materiali, le case bombardate e distrutte, le infrastrutture, davvero qui siamo ad un vero trionfo. Fra poco, al ritmo di mille attacchi aerei in tre giorni, ovvero uno ogni cinque minuti, l’intera Striscia di Gaza sarà ridotta ad un cumulo di macerie. Una grande vittoria…

Not in my name

Passata la paura per le 24 ore, ma durerà poco, ci sono le elezioni e poi si concorderà con i sindacati che firmeranno i contratti (se ancora si firmeranno), sindacati che saranno sempre più la cinghia di trasmissione di tutte le nefandezze.
Si tenga presente che una (piccola) parte degli indignati della proposta delle 24 ore sono quelli che già ora ne fanno più di 18, ma in cambio di qualche soldo, come prevede il CCNL, (fino a 24 ore, che coincidenza, non serve un numerologo per notarla), firmato da qualche sindacato di cui non voglio ricordare il nome (direbbe Cervantes), e la loro paura (di quei colleghi) è quella di perdere quei pochi maledetti soldi.
Fatta la tara di questi, il nucleo più forte della protesta, voglio sperarlo, è quello di chi ritiene che le 18 ore di lavoro siano sufficienti e che fare ore eccedenti di lezione non è rubare ore (e soldi e vita) a degli sconosciuti anonimi, ma a dei lavoratori precari che incontriamo a scuola e di cui conosciamo la faccia e la fatica, professionale e umana.
A partire dai colleghi che sono oggi nei vari gruppi autoconvocati contro le 24 ore potrebbe partire una raccolta firme, con tutti i crismi della riconoscibilità, nome, professione, estremi di un documento, o magari solo la scuola di appartenenza, per segnalare ai sindacati che siederanno a firmare i contratti (che hanno efficacia verso tutti i lavoratori) una volontà generale che può essere sintetizzata così: "sono totalmente contrario alla firma di un CCNL che preveda più di 18 ore di lavoro di cattedra per gli insegnanti, neanche volontariamente".
Sarebbe una proposta semplice, senza se e senza ma, con il pregio della sintesi e della chiarezza, che non preclude a organizzazioni del lavoro e delle scuole diverse da quelle attuali.
E servirebbe a ricordare e ricordarci che non ci si salva privatamente, con ore in più (o col fondo d'istituto), ma solo insieme.


anche qui

domenica 18 novembre 2012

Savita, questo è un paese cattolico


Savita Halappanavar, dentista che esercitava in Irlanda, si era presentata in ospedale il 21 ottobre con un terribili dolori alla schiena e un principio di aborto, secondo quanto riportava l'Irish Times. Dopo essersi sentita rispondere che in un paese cattolico non era possibile, il feto ormai morto era stato rimosso solo il 25. La donna è morta per infezione il 28 ottobre. Il vedovo, e diversi attivisti, sostengono che sarebbe sopravvissuta se il feto fosse stato rimosso per tempo. La manifestazione chiede che venga concesso il diritto all'aborto alle donne in pericolo di vita…

sabato 17 novembre 2012

La passeggiata improvvisa - Franz Kafka

Quando la sera sembra ci si sia definitivamente risolti a restare a casa, si è indossata la veste da camera, dopo cena si siede al tavolo illuminato e si è iniziato un qualche lavoro o gioco, concluso il quale d’abitudine si va a dormire, quando fuori c’è un tempo ostile che rende naturale il rimanere a casa, quando ormai si è rimasti fermi così a lungo accanto al tavolo che l’andarsene non potrebbe che suscitare la sorpresa generale, quando le scale sono già buie e il portone sbarrato, quando ora, nonostante tutto, ci si alza presi da un disagio improvviso, ci si cambia la giacca, si ricompare subito vestiti per uscire, si dichiara di dovere andare, e lo si fa senz'altro dopo essersi brevemente accomiatati, si pensa, giudicando dalla rapidità con cui la porta è stata sbattuta, di essersi lasciati alle spalle più o meno contrarietà, quando ci si ritrova in strada, con membra che rispondono con particolare mobilità alla libertà inattesa che si è loro procurata, quando per quest’unica decisione si sente raccolta in sé ogni capacità di decisione, quando con evidenza maggiore del solito si comprende che, più che il bisogno, si ha la forza di operare e sopportare facilmente il cambiamento più repentino, e quando si cammina così per le lunghe vie – allora, per quella sera, si è usciti del tutto dalla propria famiglia, che s’allontana nel nulla, mentre noi, saldissimi, neri per l’assoluta nettezza dei nostri contorni, battendo con le mani dietro le cosce, ci si innalza alla nostra vera figura.
Tutto si rafforza se, a quell'ora di notte, si va a trovare un amico, per vedere come sta.

Oltremare - Mariangela Sedda

due sorelle si scrivono per tanti anni, dalle due parti dell'oceano, scambiandosi parole, affetto, informazioni, due vite che si consumano nel tempo, storie che ci riguardano e di cui facciamo parte.
mi è piaciuto molto - franz



QUI puoi scaricare il pdf


Mariangela Sedda ricostruisce uno spaccato di storia italica dal 1913 al 1928 ricorrendo allo stratagemma dell’epistolario tra due sorelle, Grazia e Antonia, l’una partita con il marito per l’America e l’altra rimasta in terra sarda.
E’ attraverso le scarne e rade parole, scritte in un italiano approssimativo venato di espressioni e termini dialettali, che si legge la fatica dell’emigrante, la durezza della vita contadina di chi è rimasto e l’avidità della guerra, la prima guerra mondiale, che inghiotte uomini e i pochi che risputa li restituisce monchi o folli, e infine l’addensarsi della nube fascista che non viene fermata neanche dall'oceano, e censura le preoccupazioni e i timori, affinché non arrivino oltremare.
Certamente è un epistolario fasullo, costruito da una scrittrice a tavolino.
Ma è verosimile…

…La potenza della parola scritta, in questo caso dovuta al'’espediente costituito dalle lettere, è coinvolgente, e l’apparente semplicità di un lessico popolare ed a volte stentato rendono di gran realismo le vicende narrate, immergendo totalmente il lettore in quella che sarà un ‘esperienza particolarissima, e facendolo partecipare in prima persona al complesso legame che unisce le due sorelle. Piccoli episodi di vita privata si mescolano quindi ad avvenimenti di portata storica,passando da scorci d ‘esistenza nel piccolo paesino di Olai, cadenzati da riti e gesti quotidiani di un popolo profondamente segnato da una grama esistenza,alla vita nel "Nuovo Mondo ", dall'apparenza luminosa e ricca d ‘attese,  ma che nasconde anch'essa la sua buona dose di miserie ed ingiustizie, malgrado dia l’opportunità ai più fortunati di rifarsi una vita dignitosa…

venerdì 16 novembre 2012

un po' di pubblicità

gatti e torture

..."Tutti i miei libri hanno qualcosa di autobiografico. Mio figlio Max è realmente cresciuto con Mix e mi ha sempre commosso la dedizione per il suo gatto, che un giorno è diventato cieco. Credo sia molto importante la convivenza responsabile di un bambino con un animale  -  un gatto, un cane, un criceto  - , con un essere vivente che chiede solo affetto".

È lei a scriverlo, in quel capitolo conclusivo dal titolo "Qualche parola su questa storia": un astrologo cinese le ha detto che in un'altra vita era il gatto preferito del mandarino. Non ci ha creduto, naturalmente, ma ha ammesso che le ha fatto piacere. Ama i gatti e magari un po' s'identifica con loro?
"Amo tutti gli animali, ma in particolare i gatti, per l'indipendenza, il mistero, quella loro dignità così nobile. Io ne ho uno, bianco e marrone, di nome Esteban. Mi è stato regalato da un'amica per Natale quando aveva appena sei settimane. Purtroppo la prima volta che l'ho portato dal veterinario, ho avuto una notizia terribile: il mio gattino ha una leucemia, potrà vivere al massimo cinque anni. Mi era stato consigliato di restituirlo, visto che avrebbe avuto una vita breve e complicata, invece io gli ho detto "Esteban, divideremo il tempo che ti è dato, e sarà un tempo felice". A volte sento che mi dice "grazie, compagno". E io gli rispondo de nada compañero, sigamos viviendo".

È un po' strano parlare di gatti con un autore, un uomo, che ha sopportato ogni angheria fisica e psicologica, lunghi mesi in una cella minuscola, senza potersi alzare in pedi, senza potersi sdraiare, senza neppure sapere se fosse giorno o notte... Dopo il golpe di Pinochet, quanto ha contato nella sua vita l'amicizia?
"Di tutto quel tempo, rimane il grande amore e l'ammirazione per chi ha sofferto con me il carcere e la tortura. Non posso dimenticare nessuno di loro: tornavano dagli interrogatori feriti, sanguinanti, senza denti, senza unghie, i corpi maciullati dalle botte. Avevano però occhi pieni di luce, molti appena riuscivano a farfugliare qualcosa, ma mi prendevano una mano e dicevano "Non ho parlato, compagno, non gli ho detto niente...". Questi uomini e queste donne sono i miei fratelli, i miei amici. Sono la dignità e la forza. Sono la mia forza".


la tecnologia in musica, a Bruxelles



grazie a Nicola dell'informazione

mercoledì 14 novembre 2012

Soldato blu - Beppe Grillo

Polizia, chi stai difendendo? Chi è colui che colpisci a terra? Un ragazzo, uno studente, un operaio? E' quello il tuo compito? Ne sei certo? Non ti ho mai visto colpire un politico corrotto, un mafioso, un colluso con la stessa violenza. Ti ho visto invece scortare al supermercato una senatrice o sfrecciare in moto affiancato ad auto blu nel traffico, a protezione di condannati in giacca e cravatta, di cosiddetti onorevoli, dei responsabili dello sfascio sociale che invece di occuparsi dello Stato si trastullano con la nuova legge elettorale per salvarsi il culo e passano le serate nei talk show. Di improbabili leader a cui non affideresti neppure la gestione di un condominio che partecipano a grotteschi confronti televisivi per le primarie. Loro "non tengono" vergogna, tu forse sì. Lo spero. Soldato blu, tu hai il dovere di proteggere i cittadini, non il Potere. Non puoi farlo a qualunque costo, non scagliando il manganello sulla testa di un ragazzino o di un padre di famiglia. Non con fumogeni ad altezza d'uomo. Chi ti paga è colui che protesta, e paga anche coloro che ti ordinano di caricarlo. Paga per tutti, animale da macello che nessuno considera e la cui protesta, ultimo atto di disobbedienza civile, scatena una repressione esagerata. Soldato blu, ci hanno messi uno contro l'altro, non lo capisci? I nostri ragazzi non hanno più alcuna speranza, dovranno emigrare o fare i polli di allevamento in un call center. Tu che hai spesso la loro età e difendi la tua posizione sotto pagata dovresti saperlo. E' una guerra, non ancora dichiarata, tra le giovani generazioni, una in divisa e una in maglietta, mentre i responsabili stanno a guardare sorseggiando il tè, carichi di mega pensioni, prebende, gettoni di presenza, benefit. Soldato blu non ti senti preso per i fondelli a difendere l'indifendibile, a non schierarti con i cittadini? Togliti il casco e abbraccia chi protesta, cammina al suo fianco. E' un italiano, un'italiana come te, è tuo fratello. è tua sorella, qualche volta, come ieri per gli operai del Sulcis, un padre che ha sputato sangue per farti studiare. Sarà un atto rivoluzionario.

da qui


Sempre più agenti «disobbediscono». Il portavoce del sindacato critica Rajoy: «Stiamo nelle stesse condizioni di quelli che sgombriamo» MADRID. «Siamo persone, non robot». José Maria Benito, portavoce del Sindicato unificado de Policia (Sup) e ispettore del Cuerpo nacional de policia (l'equivalente della nostra polizia di stato) commenta la decisione del suo sindacato di appoggiare i poliziotti «disobbedienti», sempre più riluttanti ad eseguire gli ordini di sfratto che in Spagna fioccano al ritmo di quasi 500 al giorno. «Le posso assicurare che non è piacevole bussare alla porta di persone incolpevoli per cacciarle fuori dalla loro casa. Tanto meno sapendo che molti di noi sono nelle loro stesse condizioni»…



martedì 13 novembre 2012

Quei nove mesi infiniti in un mondo parallelo - Rossella Urru

Ancora una volta mi trovo davanti a questo foglio bianco. Non so più quante volte ho provato a scrivere qualcosa, ma qualsiasi parola mi sembra inadatta, approssimativa, sbagliata. Allora cancello e ricomincio. Una volta e un'altra ancora. La verità è forse che ci sono troppe cose da dire e io non so da dove cominciare. Perché vorrei sapere, vorrei capire prima di scrivere qualcosa. E al momento ci sono troppe cose che non so, tante altre che non potrò mai sapere. È proprio vero quello che diceva un antico proverbio: un uomo è prigioniero delle proprie parole e padrone dei propri silenzi. È proprio così che sento le parole che cerco di scrivere: come catene che bloccano quello che sento e penso.

Protagonista è stata l'assenza. Infiniti per me che li ho trascorsi in una sorta di dimensione parallela, dove il mondo che conoscevo è sfumato e le certezze che avevo non servivano più. Infiniti anche per chi non sapeva di quel mio mondo parallelo: tutti voi che mi avete pensata, appoggiata nella distanza e che mai avete lasciato soli i miei cari. Questi infiniti mesi. Ineffabile è la parola che più si avvicina a quello che sono stati e sono. Con che parole descrivervi il mio mondo dall'altra parte del deserto? E viceversa, che parole potrebbero farmi capire cosa nel frattempo è successo qui? Nessuna, forse. L'assenza era di certo la grande protagonista di questa vicenda, qui e nel deserto: laggiù con noi, non c'eravate e noi, non eravamo qui con voi. Tutte quelle parole, quei pensieri, quegli sforzi, quelle preghiere, le marce, le corse, le lettere, le poesie, gli striscioni, i messaggi da questa parte del mare; così come tutte le nostre parole, i nostri sogni, le speranze, i ricordi, le immagini ed i discorsi, laggiù nel deserto, avevano il sapore acre dell'impotenza, della nostalgia, dell'ingiustizia, della speranza...


sabato 10 novembre 2012

Rover

"errori" di Facebook


Avere a che fare con una donna infuriata non è mai un'esperienza semplice. Quando le donne sono migliaia, e si portano dietro altrettanti sostenitori/sostenitrici di ogni parte del mondo poi, il gioco si fa davvero duro. Lo ha imparato a sue spese in queste ore il social network più famoso del mondo, Facebook, i cui amministratori hanno ricevuto centinaia di email di protesta sulla censura che avrebbero operato nei confronti di "The uprising of women in the Arab World" 1, una pagina nata più di un anno fa per raccontare le conseguenze delle primavere arabe per le donne della regione. 

I fatti. Nato più di un anno fa dall'idea di un gruppo di donne egiziane, palestinesi e libanesi, il gruppo è diventato nel tempo un centro di discussione importante sulla questione femminile nel mondo arabo, con più di 62mila supporter. Per celebrare il primo anno di attività, qualche mese fa le fondatrici hanno lanciato una campagna, invitando i fan a inviare una foto insieme a un cartello con scritta su la frase. "Io sto con le donne del mondo arabo perché...." era il messaggio obbligatorio, da completare con le personali motivazioni. Ammesse tutte le lingue del mondo...


dice Corrado Guzzanti


Corrado Guzzanti non vede l'ora che si facciano le primarie del Pd. Per non andare a votare. «La scelta - dice - è tra chi ha fatto danni e chi ancora non li ha potuti fare. Cioè Bersani e Renzi. Il primo ha fallito, senza averci provato, il secondo lo sto studiando. Comunque si tratta delle prime vere primarie, con due visioni diverse. Per ora, però, non partecipo. E per il futuro non escludo Grillo». Resta attuale allora la battuta detta a Vieni via con me (2010): «Il Pd è il primo partito in Italia a usare le primarie; il primo partito del mondo a perderle»…

venerdì 9 novembre 2012

Basta sgomberi?



ieri una censura nei confronti di Madrid è arrivata addirittura dal Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea. L’Avvocato Generale Juliane Kokott ha infatti denunciato che la legge spagnola sugli sfratti viola la Direttiva 93/13 dell’UE permettendo l’inclusione nei contratti di concessione dei mutui di clausole ritenute abusive, in particolare quelle che in caso di non pagamento della rata permettono l’esecuzione forzosa dello sgombero dai domicili…

Qui c'è una peculiarità, legata alla famosa bolla immobiliare, che a essere buttati in strada, con le buone o le cattive (le cattive!), oltre agli inquilini morosi, sono i proprietari di case ipotecate che la crisi ha privato del lavoro e impoverito, sicché non ce la fanno più a pagare le rate dei loro mutui. 

Le famiglie cui è già avvenuto sono oltre 350 mila, quelle su cui incombe lo stesso destino altre centinaia di migliaia. La legislazione spagnola, come ormai denunciano gli stessi magistrati tenuti ad applicarla con pena e vergogna, è letteralmente sadica nel fare gli interessi delle banche e calpestare diritti e umanità dei debitori.
Il meccanismo è complicato ma la sostanza è questa: i debitori morosi che hanno dato in garanzia l'ipoteca sulla propria casa - istigati, ricordate, dalla speculazione edilizia e bancaria - o, tragedia nella tragedia, case dei propri genitori o nonni, vengono espulsi alla svelta con un ampio e manesco dispiego della forza pubblica.

La casa passa alla banca, e la banca o chi per lei la ricompra all'asta, a un prezzo fortemente inferiore; ma il sequestro della casa, e la speculazione sul prezzo che consente, non bastano a estinguere il debito: il proprietario espropriato deve pagare la differenza con la valutazione iniziale del valore della casa, più gli interessi che continuano a correre.
 

Una rapina a vita, difficile da credere. E però a lungo questi sgomberi - desahucios - si sono perpetrati furiosamente nella vana resistenza delle famiglie e dei vicini, o nel silenzio di altre famiglie che si vergognavano della propria disgrazia, finché... Finché un movimento spontaneo, civico, di solidarietà con gli sgomberati è via via cresciuto, e finché alcuni gesti di quelli che si definiscono disperati hanno strappato la cortina. Mentre ero qui, a distanza di due giorni due persone si sono preparate all'appuntamento con le truppe degli sgomberanti: uno viveva solo, si è fatto trovare impiccato, alle dieci di mattina; l'altro ha dato un bacio al bambino e si è buttato giù dalla finestra…

…“Perder la casa tajante”, señala Manuel Muñoz, Jefe del departamento de Psicología Clínica de la Universidad Complutense. “La vivienda tiene una función psicológica que tiene que ver con tu identidad. Una referencia enorme, donde tienes una red social”, explica. “Incluso cuando el cambio de vivienda es voluntario siempre se produce un estrés importante. Cuando no se tiene a dónde ir, cuando es tu casa la que has perdido, es un momento clave en la vida”.
El colectivo más afectado es precisamente el que debería vivir ya en la estabilidad económica, entre los 30 y los 50 años. Educados en el concepto de vivienda como baluarte, lugar seguro e inviolable, el desahucio atenta contra un pilar básico. Con la pérdida del refugio, la mente inicia un recorrido para protegerse. “Hay una primera fase de negación en la que la persona o las familias intentan mantener la apariencia, negar la realidad, imaginarse que va a llegar un premio, una solución de algún sitio no se sabe en qué momento. Y en la mayoría de los casos eso se prolonga hasta que el desahucio ya es inevitable”, explica Guillermo Fouce, profesor de la Universidad Carlos III y coordinador de Psicólogos Sin Fronteras. Es uno de los 10 psicólogos de la asociación que tratan de mitigar los efectos delos desahucios en Madrid. En su experiencia ha encontrado quien refuerza esa negación manteniendo los hábitos y conductas previas al proceso de desahucio. “La gente sale por la mañana, en traje y con su maletín, haciendo gastos que ya no puede permitirse, como ir a restaurantes, y que en muchos casos siguen agravando su situación económica”, asegura Fouce…