Barack Obama è il miglior nemico che puoi avere,
almeno se sei l'Isis. Certo, ad altri è andata peggio. I talebani e
narcotrafficanti afghani, per esempio, dal febbraio 2009 (cioè, pochissimo dopo
l'ingresso alla Casa Bianca di Obama) sono stati affrontati con il
"surge", l'incremento delle truppe e dei mezzi militari. Nel gennaio
di quell'anno c'erano 32.800 soldati americani in Afghanistan, un mese dopo
erano 35.900, in dicembre già 69 mila. E nel settembre dell'anno dopo erano
arrivati a 98 mila (dati del Centro ricerche del
Congresso Usa). E un piccolo "surge" Obama
se l'è concesso anche in Iraq, giusto un anno fa,raddoppiando
(da 1.500 a 3 mila) il numero dei soldati presenti nel Paese.
Per la Siria, invece, è diventato un accanito oppositore dei "boot on the ground", gli stivali sul terreno, ovvero l'impiego di soldati sul campo di battaglia. Ovviamente si può capirlo, mandare tanti giovani a sparare e farsi sparare è una decisione che persino il comandante in capo dell'esercito degli Usa (Paese che quest'anno spenderà 620 miliardi di dollari per la Difesa e ha in servizio 1 milione e 100 mila soldati) non può prendere a cuor leggero. E' possibile che a Obama sia rimasto impresso l'esito del suo "surge" in Afghanistan, dove il 73% dei ragazzi americani caduti in combattimento (ovvero, 1.593 dei 2.162) perse la vita proprio dopo la sua decisione di aumentare le truppe nel febbraio 2009.
Però Obama, per far fuori l'Isis, ha i bombardamenti. E una fior di coalizione di 60 Paesi, e basi militari in tutto il Medio Oriente, e l'appoggio di Paesi come la Turchia (520 mila uomini in servizio permanente effettivo, più 400 mila riservisti) e l'Arabia Saudita (primo importatore di armi al mondo), vere potenze regionali. E invece niente, neanche lì. Dopo 7.500 incursioni aeree l'Isis è ancora vivo e vegeto. E anche questo è un mistero, un incredibile fenomeno di mira sbagliata.
Forse Obama è diventato sensibile. Perché ai tempi dell'Afghanistan non era di cuore così tenero. Nel 2009, appunto dopo il famoso "surge", le vittime civili in Afghanistan crebbero di colpo del 14%. O forse la coalizione americo-turco-saudita, quando colpisce in Siria, non spara a casaccio, come si dice che facciano altri. E anche questo è un bel cambio di passo, perché Unama (la missione in Afghanistan delle Nazioni Unite) "certificò" che nel 2009, in Afghanistan, morirono 596 civili a causa delle azioni della missione militare internazionale a guida e componente principale americana. Cifra scesa a 440 nel 2010 e a 270 nel 2011, ma pur sempre significativa.
Ora, se vogliamo esser seri, dobbiamo ammettere che non c'è alcuna vera guerra Usa all'Isis. C'è, invece, come ripetutamente teorizzato da importanti think tank e strateghi americani, il tentativo di dirigere l'Isis, di contenerlo in Iraq (per non consegnare definitivamente il Paese all'influenza dell'Iran e non minacciare il Kurdistan) e indirizzarlo contro Assad in Siria. L'importante è che i consiglieri della Casa Bianca stiano attenti a quel che fanno dichiarare a Obama. Il quale, proprio il giorno prima delle stragi di Parigi, disse in un'intervista che l'Isis era stato "contenuto" ("From the start our goal has been first to contain, and we have contained them"), mentre ieri il suo ministro della Difesa, Ash Carter, comparendo davanti alla Commissione Forze Armate del Senato, ha detto di essere d'accordo con il generale Dunford, capo di Stato maggiore delle Forze armate americane, il quale aveva appena dichiarato che "l'Isis non è stato contenuto".
Il tutto a seguito di un rapporto dell'intelligence (anticipato dal sito americano Daily Beast) che diceva: purtroppo no, l'Isis sta benone, i foreign fighters continuano ad arrivare e, anzi, c'è il pericolo che dalla Siria il jihadismo si estenda a molte altre parti del mondo. Sinistro presagio di quel che sarebbe stato annunciato nelle scorse ore: Al Baghdadi è vivo, è stato curato in turchia e ora si trova in Libia. chissà come ci è arrivato, tra l'altro?
Conclusione: preferiamo pensare che il Governo Usa abbia un piano che non ci piace, ma un piano, piuttosto che credere che Presidente e ministri della più grande potenza non sappiano quel che dicono o quel che fanno.
Per la Siria, invece, è diventato un accanito oppositore dei "boot on the ground", gli stivali sul terreno, ovvero l'impiego di soldati sul campo di battaglia. Ovviamente si può capirlo, mandare tanti giovani a sparare e farsi sparare è una decisione che persino il comandante in capo dell'esercito degli Usa (Paese che quest'anno spenderà 620 miliardi di dollari per la Difesa e ha in servizio 1 milione e 100 mila soldati) non può prendere a cuor leggero. E' possibile che a Obama sia rimasto impresso l'esito del suo "surge" in Afghanistan, dove il 73% dei ragazzi americani caduti in combattimento (ovvero, 1.593 dei 2.162) perse la vita proprio dopo la sua decisione di aumentare le truppe nel febbraio 2009.
Però Obama, per far fuori l'Isis, ha i bombardamenti. E una fior di coalizione di 60 Paesi, e basi militari in tutto il Medio Oriente, e l'appoggio di Paesi come la Turchia (520 mila uomini in servizio permanente effettivo, più 400 mila riservisti) e l'Arabia Saudita (primo importatore di armi al mondo), vere potenze regionali. E invece niente, neanche lì. Dopo 7.500 incursioni aeree l'Isis è ancora vivo e vegeto. E anche questo è un mistero, un incredibile fenomeno di mira sbagliata.
Forse Obama è diventato sensibile. Perché ai tempi dell'Afghanistan non era di cuore così tenero. Nel 2009, appunto dopo il famoso "surge", le vittime civili in Afghanistan crebbero di colpo del 14%. O forse la coalizione americo-turco-saudita, quando colpisce in Siria, non spara a casaccio, come si dice che facciano altri. E anche questo è un bel cambio di passo, perché Unama (la missione in Afghanistan delle Nazioni Unite) "certificò" che nel 2009, in Afghanistan, morirono 596 civili a causa delle azioni della missione militare internazionale a guida e componente principale americana. Cifra scesa a 440 nel 2010 e a 270 nel 2011, ma pur sempre significativa.
Ora, se vogliamo esser seri, dobbiamo ammettere che non c'è alcuna vera guerra Usa all'Isis. C'è, invece, come ripetutamente teorizzato da importanti think tank e strateghi americani, il tentativo di dirigere l'Isis, di contenerlo in Iraq (per non consegnare definitivamente il Paese all'influenza dell'Iran e non minacciare il Kurdistan) e indirizzarlo contro Assad in Siria. L'importante è che i consiglieri della Casa Bianca stiano attenti a quel che fanno dichiarare a Obama. Il quale, proprio il giorno prima delle stragi di Parigi, disse in un'intervista che l'Isis era stato "contenuto" ("From the start our goal has been first to contain, and we have contained them"), mentre ieri il suo ministro della Difesa, Ash Carter, comparendo davanti alla Commissione Forze Armate del Senato, ha detto di essere d'accordo con il generale Dunford, capo di Stato maggiore delle Forze armate americane, il quale aveva appena dichiarato che "l'Isis non è stato contenuto".
Il tutto a seguito di un rapporto dell'intelligence (anticipato dal sito americano Daily Beast) che diceva: purtroppo no, l'Isis sta benone, i foreign fighters continuano ad arrivare e, anzi, c'è il pericolo che dalla Siria il jihadismo si estenda a molte altre parti del mondo. Sinistro presagio di quel che sarebbe stato annunciato nelle scorse ore: Al Baghdadi è vivo, è stato curato in turchia e ora si trova in Libia. chissà come ci è arrivato, tra l'altro?
Conclusione: preferiamo pensare che il Governo Usa abbia un piano che non ci piace, ma un piano, piuttosto che credere che Presidente e ministri della più grande potenza non sappiano quel che dicono o quel che fanno.
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