Chissà perché in
questi giorni ho finito per associare Edward Luttwak a Giuliano Poletti.
Sono due persone
diversissime per storia cultura e esperienze, l'uno intellettuale militante dell'imperialismo
USA, l'altro burocrate un poco rozzo del pentitismo comunista. Sono persone
normalmente lontanissime eppure le loro uscite di questi giorni sui mass media
italiani me li hanno fatti sembrare assai vicini. Il primo a
La7 ha rivendicato con orgoglio il sostegno degli Stati Uniti ai talebani e a
ciò che ne è seguito. È stato un buon affare comunque, ha detto, perché in
Afghanistan è crollata l'Unione Sovietica è così l'Occidente ha visto sconfitto
il suo principale nemico.
Il secondo ha
dichiarato inutili le lauree con alti voti, magari conseguite in ritardo, e poi
ha rivendicato la necessità di superare il concetto stesso di orario di lavoro,
sostituendolo con la retribuzione a prestazione.
Io trovo che
entrambi abbiano brutalmente descritto la verità. Per Luttwak la guerra si fa
per conquistare potere e chi la vince, qualsiasi mezzo usi, ha sempre ragione.
Non troveremo in lui le ributtanti ipocrisie sulle guerre umanitarie e
democratiche. Le guerre servono a tutelare precisi interessi e per questo
devono essere astute e spietate. Le guerre di Luttwak sono quelle del
capitalismo liberista e globalizzato di oggi, quello santificato da George Bush
padre allorché dichiarò: il nostro sistema di vita non è negoziabile e verrà
difeso in tutti i modi.
Giuliano Poletti
deve esercitare qualche ipocrisia in più, vista la professione, ma alla fine
non scarseggia in brutalità. Il suo attacco al 110 e lode corrisponde ad un
mercato del lavoro nel quale i giovani laureati vanno a fare le polpette ai
MCDonald, naturalmente nascondendo il titolo di studio altrimenti non
verrebbero assunti. A che serve studiare tanto se i lavori che vengono offerti
non corrispondono minimamente alla cultura acquisita?
Poco tempo fa ho
conosciuto un ricercatore universitario che, stufo di fare la fame, aveva
rilevato la bancarella del padre ai mercatini. Poletti sta semplicemente
cercando di adeguare le aspettative scolastiche alla realtà del mercato del
lavoro. Nel quale serve soprattutto una piccola istruzione di base adatta alla nostra
società mediatica e consumista. Solo ad una élite rigidamente selezionata,
quasi sempre su basi censitarie, sarà consentito di lavorare esercitando le
competenze apprese in lunghi studi. Per la maggioranza dei giovani studiare
troppo è tempo buttato. Come aveva lamentato Berlusconi, non può essere che
anche l'operaio voglia il figlio dottore. Le controriforme della scuola di
Gelmini e Renzi hanno cominciato ad adeguare, con i tagli, il sistema formativo
al mercato del lavoro fondato su precariato e disoccupazione di massa. Meglio
studiare meno e prepararsi ai lavoretti precari che verranno offerti, piuttosto
che accumulare rabbia per una laurea non riconosciuta da nessuno.
Anche sull'orario
di lavoro Poletti ha in fondo detto la verità. La globalizzazione finanziaria,
l'euro, le politiche di austerità hanno progressivamente distrutto le secolari
conquiste del mondo del lavoro. Che per avere un orario definito per la propria
prestazione e ridotto a dimensioni umane e legato ad una retribuzione dignitosa,
ha speso 150 anni di lotte e miriadi di vittime. Oggi tutto è in discussione e
non perché il lavoro non abbia più bisogno delle tutele conquistate, ma perché
il capitale ha trovato la forza di distruggerle. Consiglierei a Poletti, che
non pare persona particolarmente colta, la lettura di Furore di John Steinbeck.
È la storia di una famiglia che, durante la crisi degli anni 30 negli USA, è
costretta a migrare e a trovare lavoro a cottimo. E arrivano in una azienda ove
si raccolgono le cassette di arance a cinque centesimi l'una, senza orario di
lavoro e se non va bene via.
Il New Deal
keynesiano di Roosevelt si rivolse anche contro quel sistema di sfruttamento,
che oggi non a caso viene invece riproposto nell'Europa in cui, con
l'austerità, trionfa il liberismo e si distruggono lo stato sociale e i diritti
del lavoro.
Luttwak e Poletti
sono dei reazionari, la loro visione del mondo fa venire i brividi e fa tornare
indietro di secoli, ma non hanno inventato nulla. Ciò che dicono corrisponde a
ciò che si fa realmente nelle nostre società malate. Quindi più che per le loro
parole conviene mostrare scandalo per la realtà che cinicamente descrivono e
difendono. E soprattutto conviene, quella realtà, provare a cambiarla.
Nessun commento:
Posta un commento