I ragazzi hanno una forza, uno slancio assoluto e non intaccato verso la vita, che gli adulti hanno perso. E allora, parlare in classe, venire contestati, sentirsi dire con tono perentorio «se voglio sapere dei musulmani chiedo ai musulmani» o anche «la verità è scritta nel Corano», colpisce come una lama e quasi ferisce (l’amor proprio, almeno). Però in qualche modo apre gli occhi sulla necessità di non passare tutto sotto silenzio. Perché il voler evitare per gentilezza ed educazione lo scontro non è che ipocrisia. Mentre noi e voi tacciamo, o ci limitiamo a liquidare con superiorità chi pronuncia frasi razziste, in classe o negli uffici una tensione che nasce da un confronto inespresso e trattenuto, con i musulmani, o comunità diverse, c’è già.
La nostra relazione con i musulmani in Italia va
affrontata con consapevolezza. La consapevolezza del nostro pregiudizio,
innanzitutto.Un ragazzo religioso
musulmano, magari con barbetta, che cerca lavoro, parte con ogni probabilità
svantaggiato rispetto a un coetaneo italiano. E probabilmente vive su di sé
ogni giorno qualche piccolo episodio d’incomprensione. Come sanno tutti quelli
che fanno parte di una minoranza, l’incontro con l’altro è mediato dal
pregiudizio, e inevitabilmente anche dall’ignoranza. Sta a noi prenderne poco a
poco coscienza e ascoltare, ma sta anche alla minoranza, più che denunciare,
farsi conoscere e compiere qualche passo nei confronti dell’altro.
Va però rafforzata anche un’altra consapevolezza: ci sono valori di fronte ai quali non dovremmo essere disposti a indietreggiare di un millimetro. E tra questi, la certezza che il sapere è storico, empirico, non rivelato. Che si può discutere di tutto. A lungo in Italia si è preferito evitare il dibattito sull’Islam, o di quello che è il punto critico: dov’è che fa attrito con le nostre società, e dov’è che si crea il cortocircuito? (Finendo per regalare un incredibile vantaggio ai populisti: di appropriarsi dell’esperienza comune che il problema in effetti esiste). Buttarsi in quest’arena non è elegante, si finisce quasi inevitabilmente colpiti da schizzi di fango. Ma se uno crede che il nostro destino non sia l’Eurabia, se pensa che le nostre società con l’arrivo dei migranti cambieranno per forza, ma che non saremo ricacciati tutti indietro nel Medioevo tra i crociati e gli elfi e i barbari in Jeep, forse si dovrebbe cominciare a scontrarci sulle idee. Il fatto che siamo così in ritardo, non vuol dire che non sia urgente .
Va però rafforzata anche un’altra consapevolezza: ci sono valori di fronte ai quali non dovremmo essere disposti a indietreggiare di un millimetro. E tra questi, la certezza che il sapere è storico, empirico, non rivelato. Che si può discutere di tutto. A lungo in Italia si è preferito evitare il dibattito sull’Islam, o di quello che è il punto critico: dov’è che fa attrito con le nostre società, e dov’è che si crea il cortocircuito? (Finendo per regalare un incredibile vantaggio ai populisti: di appropriarsi dell’esperienza comune che il problema in effetti esiste). Buttarsi in quest’arena non è elegante, si finisce quasi inevitabilmente colpiti da schizzi di fango. Ma se uno crede che il nostro destino non sia l’Eurabia, se pensa che le nostre società con l’arrivo dei migranti cambieranno per forza, ma che non saremo ricacciati tutti indietro nel Medioevo tra i crociati e gli elfi e i barbari in Jeep, forse si dovrebbe cominciare a scontrarci sulle idee. Il fatto che siamo così in ritardo, non vuol dire che non sia urgente .
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