I
corpi di tre coloni israeliani, scomparsi il 12 di giugno, sono stati ritrovati
in una fossa - poco profonda e scavata frettolosamente -, a Halhul, a nord di
Hebron. Dalla scomparsa di questi ragazzi da Gush Etzion, una colonia per soli
ebrei in Cisgiordania, Israele ha posto sotto assedio quattro milioni di
palestinesi, che già vivono sotto il suo stretto controllo, compiendo
incursioni nelle città, saccheggiando case e istituzioni civili, rubando,
effettuando sequestri, ferendo e uccidendo. Aerei da guerra sono stati mandati
a bombardare Gaza ripetutamente e in continuazione, distruggendo case e
compiendo omicidi extragiudiziali. Fino a oggi, oltre 570 palestinesi sono
stati sequestrati e imprigionati, in particolare Samer Issawi, il palestinese
che aveva continuato lo sciopero della fame per 266 giorni, in segno di
protesta contro una precedente detenzione arbitraria. Almeno dieci palestinesi
sono stati uccisi, tra di loro almeno tre bambini, una donna incinta, un uomo
malato mentale. Centinaia sono stati feriti, migliaia terrorizzati. Università
e organizzazioni per il bene sociale sono state devastate, chiuse, i loro
computer e le loro attrezzature distrutte o rubate; documenti pubblici sono
stati confiscati dalle istituzioni civili. Questa ordinaria brutalità è la
politica ufficiale dello stato portata avanti dai suoi militari, e non include
la violenza verso persone e proprietà compiuta dai coloni israeliani
paramilitari, le cui continue aggressioni verso i civili palestinesi sono
ancora aumentate nelle ultime settimane. E ora che si è avuta la conferma che i
coloni sono morti, Israele si è solennemente impegnata a esigere la vendetta.
Naftali Bennet, ministro dell'economia, ha dichiarato: “Non c'è pietà per gli
assassini di bambini. Questo è il momento dell'azione, non delle parole.”
Sebbene nessuna fazione palestinese abbia rivendicato la responsabilità del
sequestro e la maggior parte di esse, inclusa Hamas, neghi qualunque tipo di
coinvolgimento, Benjamin Netanyahu è irremovibile nel sostenere che
responsabile è Hamas. Le Nazioni Unite hanno richiesto che Israele fornisca
prove a sostegno del proprie affermazioni, ma nessuna prova è arrivata,
alimentando dubbi sulle affermazioni di Israele, in particolare alla luce della
sua ira riguardo la recente riunificazione delle fazioni palestinesi e
l'accettazione da parte del presidente Obama della nuova unità palestinese. In
Occidente, i titoli sulle immagini dei tre coloni israeliani si sono riferiti
al regno del terrore di Israele sulla Palestina in termini di “caccia all'uomo”
e “incursione militare”. Sono comparsi su tutte le agenzie di informazioni i
ritratti di giovani e innocenti vite israeliane, e sono riportate le voci dei
loro genitori, al colmo della loro angoscia. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea,
il Regno Unito, le Nazioni Unite, il Canada e il Comitato Internazionale della
Croce Rossa hanno condannato il sequestro e hanno richiesto il rilascio
immediato e senza condizioni. Alla scoperta dei corpi, c'è stata un'ondata di
condanna e di condoglianze. Il presidente Obama ha dichiarato: “Come padre, non
riesco a immaginare l'indescrivibile dolore che stanno provando i genitori di
questi adolescenti. Gli Stati Uniti condannano nel modo più forte possibile
questo insensato atto di terrorismo nei confronti di giovani innocenti.”
Sebbene centinaia di bambini palestinesi siano sequestrati, trattati in modo
brutale o uccisi da Israele, inclusi quelli delle ultime due settimane,
raramente nel mondo c'è una reazione simile, ammesso che ce ne sia una. Poco prima
dell'uccisione dei tre giovani coloni israeliani, l'uccisione di due giovani
palestinesi fu registrata da una videocamera di sorveglianza locale. Ampie
prove - tra le quali i proiettili ritrovati e una videocamera della CNN che
riprendeva un tiratore scelto israeliano nell'atto di premere il grilletto nel
preciso momento in cui uno dei ragazzi veniva colpito -, indicavano che erano
stati uccisi a sangue freddo dai soldati israeliani. Non ci sono state condanne
o appelli alla giustizia per questi ragazzi da parte di autorità politiche
mondiali o di istituzioni internazionali, non c'è stata solidarietà nei
confronti dei genitori affranti dal dolore, non c'è stata alcuna menzione degli
oltre 250 bambini palestinesi portati via dai loro letti o mentre andavano a
scuola, che continuano a languire nelle prigioni israeliane senza capi di
imputazione o processi, fisicamente e psicologicamente torturati. Per non dire
niente del barbaro assedio di Gaza, o di decenni di continui furti, espulsioni,
aggressioni all'istruzione, confisca di terre, demolizioni di case, sistemi di
carte di permesso con diversi colori, imprigionamenti arbitrari, restrizioni al
movimento, esecuzioni extragiudiziali, torture e continue negazioni che
schiacciano i palestinesi in ghetti isolati. Ma niente di tutto questo sembra
interessare. Non conta che nessuno sappia chi ha ucciso gli adolescenti
israeliani. Sembra che l'intero paese chieda il sangue palestinese, il che
ricorda i linciaggi negli Stati Uniti nei confronti dei neri nel sud del paese,
ogniqualvolta un bianco veniva trovato morto. E non conta nemmeno che questi
ragazzi israeliani fossero coloni che vivevano in colonie illegali, per soli
ebrei, costruite su terra rubata dallo stato per lo più a proprietari
palestinesi del villaggio di Al Khader. Una buona parte di questi coloni sono
americani, per lo più di New York, come uno dei ragazzi uccisi, che esercitano
il privilegio ebraico di tenere una doppia cittadinanza, cioè di avere un paese
in più, non importa di dove siano: un paese nella loro terra natale e un paese
nella nostra, mentre al tempo stesso i palestinesi dimorano in campi profughi,
in ghetti occupati o in un esilio senza fine. Bambini palestinesi sono
aggrediti o uccisi ogni giorno e molto di rado la stampa occidentale si ricorda
delle loro vite. Mentre le donne palestinesi sono spesso accusate quando gli
israeliani uccidono i loro bambini, accusate di mandarli alla morte o di non
tenerli a casa, lontani dai cecchini israeliani, nessuno obietta nulla a Rachel
Frankel, la mamma di uno dei coloni uccisi. Non le si chiede di commentare il
fatto che uno dei coloni sequestrati è un soldato che ha probabilmente
partecipato all'oppressione dei vicini palestinesi. Nessuno le chiede perché
abbia trasferito la sua famiglia dagli Stati Uniti per vivere in una colonia
segregata, espressione di un principio di supremazia, fondata su terra
confiscata ai nativi proprietari non ebrei. Certamente nessuno osa accusarla di
avere esposto in questo modo i suoi figli a una situazione di pericolo. Nessuna
madre dovrebbe sopportare l'uccisione di un suo bambino. Nessuna madre e nessun
padre. Questo non si applica soltanto ai genitori ebrei. Le vite dei nostri
bambini non sono meno preziose e la loro perdita non è meno distruttiva e
psicologicamente devastante. Ma qui c'è una terribile disparità nel valore
della vita agli occhi dello stato e del mondo, dove la vita palestinese è di
scarso valore e a perdere, mentre la vita ebraica è sacrosanta. Questo
eccezionalismo, questa supremazia della vita ebraica è un principio fondante
dello Stato di Israele. Pervade ogni loro legge e protocollo, e si accorda con
quello che appare come un loro disprezzo e disinteresse per la vita
palestinese. Sia per le leggi che favoriscono gli ebrei per quanto riguarda le
opportunità di impiego o di istruzione, sia per le leggi che permettono
l'esclusione dei non-ebrei dall'acquisto o dall'affitto presso ebrei, sia per
gli infiniti ordini militari che ostacolano il movimento, il consumo di acqua,
l'accesso al cibo, l'istruzione, le possibilità dei matrimoni, l'indipendenza
economica, sia per questi periodici stravolgimenti della vita civile
palestinese, la vita dei non-ebrei alla fine si conforma all'editto religioso
emanato da Dov Lior, rabbino capo di Hebron e di Kiryat Arba, che sostiene che
“mille vite non-ebraiche non valgono l'unghia di un dito di un ebreo”. La
violenza israeliana delle ultime settimane è generalmente attesa e accettata. E
il terrore che sappiamo sarà scatenato sulla nostra popolazione sarà
mascherato, come sempre, sotto la legittimità delle uniformi e delle macchine
da morte. La violenza israeliana, non importa quanto volgare, è fatta
sistematicamente passare come violenza in senso eroico o ironico, che i mezzi
di informazione occidentali inquadrano come “risposta”, come se la stessa
resistenza palestinese non fosse una risposta all'oppressione di Israele.
Quando al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) fu chiesto di
formulare un simile appello per il rilascio immediato e incondizionato delle centinaia
di bambini palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane (anche questo in
violazione della legge umanitaria internazionale), l'ICRC si è rifiutato,
mostrando che c'è una differenza tra il sequestro isolato di ragazzi israeliani
e i sequestri abituali - così come le torture, l'isolamento e gli
imprigionamenti -, di bambini palestinesi. Quando i nostri bambini lanciano
pietre contro jeep e blindati israeliani pesantemente armati che percorrono le
nostre strade, siamo genitori da disprezzare, e dobbiamo essere considerati
responsabili per l'uccisione dei nostri bambini, se vengono colpiti dai soldati
o dai coloni israeliani. Quando ci rifiutiamo di capitolare in modo completo,
non siamo “partner per la pace” e meritiamo di vederci confiscata altra terra,
a uso esclusivo degli ebrei. Quando prendiamo le armi in mano, reagiamo
combattendo e catturiamo un soldato, siamo terroristi di tipo estremo, e non
dobbiamo dar la colpa a nessuno se non a noi stessi, mentre Israele sottopone
l'intera popolazione palestinese a punizioni collettive. Quando protestiamo in
modo pacifico, siamo rivoltosi che meritano le pallottole che ci sparano
addosso. Quando discutiamo, scriviamo o boicottiamo, siamo antisemiti che
dovrebbero essere ridotti al silenzio, deportati, marginalizzati o accusati. E
allora cosa dovremmo fare? La Palestina viene proprio letteralmente spazzata
via dalla carte geografiche da uno Stato che sostiene apertamente la supremazia
ebraica e il privilegio ebraico. Il nostro popolo continua a essere derubato delle
case e della propria eredità, sospinto ai margini dell'umanità, biasimato per
il nostro stesso destino miserabile. Siamo una società traumatizzata,
sostanzialmente disarmata, che viene distrutta e cancellata da una delle
potenze militari più forti del mondo. Rachel Frankel è andata alle Nazioni
Unite per perorare il loro sostegno, affermando che “è sbagliato prendere
bambini, ragazzi e ragazze innocenti, e utilizzarli come strumenti di lotta. E'
crudele … Vorrei chiedere: ogni bambino non ha forse il diritto di ritornare a
casa in sicurezza da scuola?”. Questi principi si applicano anche ai bambini
palestinesi?
Qui
e qui
e qui
e
qui
e
qui
e qui
ci
sono video che mostrano rapimenti di bambini di notte dalle loro case, o sulla
strada tra casa e scuola. Ma niente di tutto questo conta, non è così? Conta
solo che tre ebrei israeliani siano stati uccisi. Senza che importi nulla chi
lo ha fatto, o quali ne siano state le circostanze, l'intera popolazione palestinese
sarà fatta soffrire, ancor più di quanto già soffra.
Traduzione
di Federico Lastaria. The Hindu, 3
luglio 2014,
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