“In
Nigeria ci sono librerie?” Sembra una battuta di spirito, vero? E invece è
la domanda che una giornalista francese ha rivolto alla scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie nel corso di una
trasmissione televisiva. La scrittrice sembra basita sulle prime, poi la prende
con ironia: “Può sembrare sorprendente ma, sì, ci sono“.
What else? Nel senso: come bisognerebbe
rispondere a chi fa una domanda del genere. E cosa si dovrebbe dire quando la
giornalista – messa un po’ in ridicolo – rincara la dose dicendo: “Quando si
parla di Nigeria si pensa a Boko Haram, alla violenza, a un Paese non sicuro“.
Davvero?
Cioè, più di 186 milioni di
abitanti sono guerrafondai, radicalisti islamici e affiliati a Boko
Haram? E tutti sono ignoranti, tanto da non saper neanche leggere, quindi cosa
ci starebbero a fare librerie in un territorio pari a 923.768 km²?
Io alla
parola Nigeria associo l’attivista, scrittore e poeta Ken Saro-Wiwa, il re dell’Afro
Beat, Fela Kuti, la
scrittrice Buchi Emecheta (e
naturalmente Chimamanda), gli scrittori Chinua Achebe e Wole
Soyinka (che è stato anche insignito del Nobel per la Letteratura)
Penso a Nollywood e
persino all’Eba e all’Àmàlà soup.
La lista di
artisti, attori, scrittori, poeti, filosofi sarebbe lunghissima, ho citato solo
i più noti. Così lunga che quella domanda non sarebbe dovuta sfuggire nemmeno
per scherzo (e non era una battuta come la scrittrice nigeriana ha poi voluto
giustificare, bontà sua…).
I
giornalisti hanno la grande responsabilità di uscire dagli stereotipi, di leggere, viaggiare, essere informati.
Solo così saranno credibili e non rischieranno di incorrere nel ridicolo.
Grazie dei tuoi post. Sei veramente una risorsa. Abbiamo bisogno di teste pensanti non di giornalisti/e che fanno domande stupide ...
RispondiEliminafrugando in rete si trovano tante cose interessanti :)
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