mercoledì 28 febbraio 2018

L’Ambasciata, l’elemosina ed il BDS – Gianni Lixi




“…il mondo mi ha fatto l’elemosina. Mi ha dato farina, vestiti, tende a me ed ai miei figli mai nati. Io in cambio gli ho dato la patria e la sicurezza.” Mahmud Darwish

In queste parole di uno dei più grandi autori del nostro secolo (Josè Saramago lo definisce il più grande poeta del mondo), prese da un racconto del 1973 “Diario di ordinaria tristezza”,  vedo condensata l’unica vera attività “politica” che le istituzioni internazionali  possono fare  per la Palestina ed il suo popolo: l’elemosina. L’UNHCR forse è messa un po’  in difficoltà dalle minacce di Trump, ma non c’è pericolo. La buona Europa è già pronta per coprire la cifra che Trump ha tolto all’agenzia. L’Europa continuerà a fare l’unica cosa che sa fare per i palestinesi: l’elemosina.
Era il 1973 quando Mahmud Darwish scriveva quelle parole e continua ad essere così oggi. L’unica cosa che è cambiata dal ’73 è la superficie della terra sotto i piedi dei palestinesi.  In un costante e continuo furto gli israeliani hanno occupato più dei 2/3 del territorio palestinese.  Non ci sono mai stati dei veri processi di pace, l’unico vero processo è il processo di occupazione di terre e di pulizia etnica. In ogni finto processo di pace a cui israele si è presentata non ha mai messo in discussione un solo centimetro di terra occupata. I finti processi di pace si devono sempre iniziare con lo status quo. Cioè con tutto quello che sono riusciti a rubare. Ora arriva Gerusalemme. Venerdì 23/02/18 l’accelerata Americana. Il trasferimento dell’ambasciata, e quindi il riconoscimento ufficiale di Gerusalemme come unica capitale israeliana, si farà non più in due anni ma in due mesi. A maggio , anche se il nuovo edificio non è ancora costruito. Nel consolato si stringeranno un po’. Questa accelerata è naturalmente a tutto vantaggio della traballante poltrona di Netanihau a causa di diverse accuse per frode. Non c’è comunque da stare allegri, chi vorrebbe prendere il suo posto è come lui e, se possibile,  peggio di lui.
A questo gravissimo atto, senza precedenti per le implicazioni del concetto di patria stessa che Gerusalemme ha  per tutti i palestinesi, come dovrebbero reagire questi ultimi? Con “rassegnazione”, con “tolleranza ”, cercando il “dialogo”. Abbas ha detto che non si siederà a nessun tavolo se israele dichiarerà Gerusalemme sua unica capitale. Ma continuerà a condannare ogni forma di resistenza del suo popolo.  E poi? Si dovrà continuare ad accettare “l’elemosina in cambio della patria”? Anche  le stesse UN riconoscono il diritto all’autodifesa del popolo occupato. Ma  quando uno sgangherato missile partito da Gaza cade sul territorio israeliano, i bombardamenti a tappeto israeliani cha fanno 2000 morti di cui 500 bambini,  sono politicamente accettati. Dico politicamente perché, al di là di innocue dichiarazioni di condanna sulle esagerazioni della risposta militare, non si è mai preso nessun tipo di provvedimento contro israele. Se un giovane si “suicida” buttandosi con un temperino contro altri giovani scafandrati che presidiano un check point in assetto di guerra e  che calpestano la sua terra, tutti i media lo chiamano terrorista. Non è un giovane resistente, un martire che sta difendendo la sua patria ma un “terrorista”.  “Gli stati hanno il diritto di uccidere i propri e gli altrui popoli, ma un individuo o un popolo non ha il diritto di combattere per la propria libertà” (Mahmud Darwish) . Con che cosa dovrebbe difendere la sua patria se altro non ha se non temperini, forbici e qualche volta una macchina da usare come arma? Con che cosa “il mondo” pensa che i palestinesi possano resistere all'occupante. Se avessero aerei, mitragliatrici, bulldozer, li chiamerebbero soldati, siccome hanno pietre, coltelli e forbici, li chiamano terroristi.
Con il cuore, con tutto il cuore mi auguro che non ci sia più bisogno di giovani che muoiono ne da una parte ne dall'altra. Con il cuore. Con la ragione no. Israele non andrà mai a trattare per fare concessioni di nessun tipo. L’unica possibilità e che lo si costringa. E per essere costretto bisogna obbligarlo. Sono solo due le possibili condizioni che possono obbligare Israele a sedersi in un tavolo e trattare davvero. La prima , la più pacifica, è l’isolamento internazionale soprattutto economico. Questa strada purtroppo si è dimostrata impercorribile. “Nel mondo” e prevalentemente nelle nazioni occidentali non c’è alcuna intenzione di punire israele. Anzi. Molti stati federali americani hanno promulgato leggi anti BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni); la Francia ha votato una legge anti BDS che ha già fatto le sue vittime tra i simpatizzanti del movimento BDS. La stessa Italia ha una legge già pronta ferma in un cassetto di qualche commissione parlamentare.
L’altra condizione è la paura. Se il popolo israeliano vivesse  nella paura di atti di resistenza sempre più numerosi che possono mettere in pericolo la vita spensierata e felice che conducono (secondo le statistiche è uno dei paesi più felici al mondo!) sarebbero loro stessi a rovesciare il sistema politico ed a cercarne un altro che garantisca un vero dialogo magari unendosi ai palestinesi per cercare di vivere meglio assieme. Non sto inneggiando alla violenza. Semmai alla resistenza contro la violenza dell’occupante sempre più sanguinaria e spavalda e non curante del diritto internazionale. Sto dicendo una cosa che molti pensano ma non vogliono ammettere.
Ma forse c’è qualcosa che può scardinare queste mie tristi certezze. La società civile. La società civile che spesso è stata capace di scardinare corsi storici ritenuti ormai ineluttabili. Se la società civile,  in ogni paese in ogni nazione, boicotta dal basso ogni prodotto, anche culturale, proveniente da Israele non si avrà bisogno di imbracciare i fucili. Questa rivoluzione pacifica che giorno dopo giorno sta crescendo si chiama BDS. Speriamo che funzioni perché l’alternativa è o altro sangue o la  svendita della patria  per un po’ di elemosina.


Perché svegli il mondo?”
“Questa non è la mia voce. E’ il tonfo del mio cadavere che cade a terra.”
“Perché non muori in silenzio?”
“Perché una morte in silenzio è una vita insignificante.”
“E una morte urlata?”
“E’ una causa.”
“Sei venuto a dichiarare la tua presenza?”
“Al contrario, sono venuto a dichiarare la mia assenza.”
“Perché uccidi?”
“Non uccido che l’omicidio. Non uccido che il crimine.”
“Vai all’inferno.”
“Vengo dall’inferno.”
Mahmud Darwish, autore e poeta Palestinese nato nel 1941 ad   al -Birwa  un villaggio Palestinese che non esiste più perchè raso al suolo dagli israeliani, morto a Houston – Texas nel 2008. Il brano è preso da “Diario di ordinaria tristezza” racconto poetico contenuto in “Una trilogia palestinese” edizioni economiche  Feltrinelli

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