Sottrarre Alfredo Cospito al 41 bis
è un atto costituzionale - Vito Totire
Signor Ministro,
mi rivolgo a lei memore della percezione che ebbi alcuni decenni fa in un
incontro presso la prefettura di Bologna, primi anni ’90 secolo scorso, a
latere di una manifestazione contro la guerra.
La percezione,
supportata anche da eventi precedenti, era che lei fosse propenso al dialogo
con le comunità rom della città piuttosto che all’uso o alla stessa minaccia
della “ruspa”. Rimasi sorpreso quando seppi della sua vicinanza all’area
politica della Lega anche se, al momento, questo particolare potrebbe apparire
una intenzione polemica che invece vorrei assolutamente evitare perché,
soprattutto oggi, sarebbe del tutto fuori luogo.
La mia percezione
di lei come persona incline al dialogo mi induce a suggerirle che lei è in
errore (e con lei altri esponenti del governo in carica) se dovesse ritenere
che la “questione Cospito” sia una questione che riguarda soltanto
governo/stato/istituzioni e anarchici (o una parte dell’area anarchica).
Viceversa la “questione Cospito” cioè , brutalmente, il fatto che Alfredo
Cospito non diventi il “Bobby Sands italiano”, è questione che riguarda certo
governo/stato/istituzioni ma riguarda assolutamente tutti i cittadini italiani
che scongiurano un epilogo mortifero della vicenda.
Il garante
nazionale (che ringrazio per l’impegno profuso) ha proposto una strategia (poi,
tardivamente, accolta) che rischia di “medicalizzare” un conflitto che in
verità non necessita di tso e/o di alimentazione coatta ma necessita della
sospensione del 41/bis e di una gestione della temporanea privazione della
libertà che contemperi la interruzione dei canali potenzialmente utilizzabili
per organizzare attività illegali con la esigenza di non sconfinare in forme di
deprivazione socio-sensoriale capaci di compromettere gravemente la salute
psico-fisica della persona reclusa.
Come è ovvio
questa non è una critica al “garante” che ha agìto nell’ambito delle sue
competenze istituzionali e col fine, comunque meritorio, di “riduzione del
danno”.
Il recente trasferimento di Alfredo Cospito al carcere di Opera è dunque una
decisione incongrua: una sintesi tra rischioso (per la persona detenuta)
temporeggiamento e medicalizzazione inappropriata; nella condizioni cliniche
note il temporeggiamento è sofferenza evitabile e ingiustificata.
Pensare che le
condotte messe in atto negli ultimi giorni da alcuni manifestanti siano state
dirette da Alfredo Cospito è del tutto fuori dalla realtà; la deprivazione
socio-sensoriale che egli subisce , piuttosto, sconfina palesemente nell’abuso
di mezzi di correzione e nel trattamento disumano e degradante.
Il braccio di
ferro facilita l’escalation ma la grande maggioranza dei cittadini italiani al
braccio di ferro non ha mai partecipato e non intende parteciparvi in futuro.
La vera aspettativa della stragrande maggioranza dei cittadini è evitare un
lutto che peserebbe su tutta la comunità.
La Costituzione
esige che la speranza di vita e di salute di Alfredo Cospito sia uguale a
quella di tutte le altre persone; governi, istituzioni e cittadini possono e
devono cooperare per il superamento della violenza ma senza che sia messa a
rischio il diritto alla vita e alla salute dei singoli.
Signor ministro,
la sospensione del regime 41/bis per il detenuto Alfredo Cospito sarebbe un
atto coerente con la costituzione e alimenterebbe la non – violenza , non il
contrario.
I bollettini medici ci riempiono di angoscia e disturbano il sonno anche di noi
cittadini “non detenuti”; occorre costruire ponti senza arroccarsi a causa e
per effetto di riflessi condizionati .
Con la aspettativa
di un riscontro, certo potrei essere in errore io, la invito comunque a
riflettere ulteriormente.
Vito Totire,
medico psichiatra, circolo “Chico” Mendes (Rete europea per l’ecologia sociale)
CARISSIMO ALFREDO, GRAZIE
Carissimo Alfredo,
grazie.
La lotta terribile che stai portando avanti è per noi tutti.
A questo punto ancora una volta ti preghiamo, ti imploriamo di accettare
l’aiuto delle decine di cittadini che stanno digiunando al tuo fianco, delle
migliaia di cittadini nel mondo che stanno manifestando in tuo nome, di
accettare perfino l’aiuto di quei detentori di potere che, non potendoti più
ignorare, ora chiedono giustizia per il “caso Cospito”, e sollevano sdegnati il
sopracciglio di fronte al tabù della tortura carceraria e del 41 bis.
Non ti chiediamo di fermarti, ma di continuare con noi tutti, da vivo.
Accetta l’aiuto dei tuoi compagni di digiuno, accetta l’aiuto delle piazze,
accetta l’aiuto di chi ti era stato avversario, torna a nutrirti per arrivare
insieme al 7 marzo, di fronte alla Corte di Cassazione.
Accetta di vivere e di accompagnare il potere sul banco degli imputati, un
potere colpevole di fronte alle sue stesse leggi, di fronte alla sua
Costituzione, di fronte agli uomini, di fronte alla verità.
Camminiamo insieme, i tuoi amici in lotta e in digiuno,
Davide Tutino, Marianna Panico, Aligi Taschera, Giulia Abbate, Carlo Papalini,
Domenico Spena, Lidio Maresca, Anna Ricci, Mario Marchitti, Maria Teresa de
Carolis, Andrea Valcarenghi detto Majid, Kamaljeet Kaur, Umberto Baccolo, Elisa
Torresin, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Ugo Mattei, Gianpiero Cassarà,
Mirko De Carli, Ciro Silvestri.
Seguono le firme dei digiunanti della staffetta di Resistenza Radicale
Antonella Garofalo, Antonia Esposito, Clara Reina, Barbara Cargiolli, Davide Di
Napoli, Emanuele Fanesi, Eugenio Carugo, Gabriella Oliviero, Giovanni Bella,
Giuliano Castellino, Grazia Fecchio, Ilham Menin, Luisella Zanchettin, Paolo
Damian, Roberta Spaventa, Stefania De Marco, Marco Ricagno, Maria Orsini,
Pierangela Bertolo, Francesca Contini, Nathassia Cucco, Clara Emanuela
Curtotti, Brunella Brindisi, Paola Lorenzini, Pierluigi Polese, Michele
Poccecai, Angela Fabiano, Michaela Vera, Maria Elvermann, Yuri De Letteriis,
Silvana Taliero, Anna Maria La Nave, Alessandra Patella, Gina Bonafè, Francesca
Romana Nascè
Per chi volesse
sottoscrivere la lettera-appello per la Vita ad Alfredo può inviare una mail
con nome, cognome e città a scrivi@resistenzaradicale.eu
CASO COSPITO: IMPORTANTE COMPRENDERE LA VIOLENZA DELLO
STATO - Giulia Abbate
Dal 31 dicembre Resistenza Radicale
è al fianco di Alfredo Cospito: detenuto in isolamento al 41 bis, è giunto
quasi al novantesimo giorno di sciopero della fame, oltre il limite di guardia
per la sua salute. Dopo i sette giorni di digiuno di Marianna Panico e i sette
giorni di Davide Tutino, è iniziata lunedì 16 gennaio la staffetta del digiuno,
portata avanti da militanti di Resistenza Radicale.
Con il nostro sciopero della fame
intendiamo ottenere questi scopi:
- Stare
vicino ad Alfredo Cospito: nel buio quasi totale della sua prigionia,
sapere che “fuori” esiste un sostegno di questo tipo può aiutare e fare
sentire meno sola una persona che oggi fronteggia la morte.
- Prendendo
su di noi l’onere del digiuno, indurlo a interrompere il suo, evitandogli
danni irreversibili alla salute.
- Tenere
aperto il dibattito sul “caso Cospito”: parallelamente alla “notizia” del
digiuno a staffetta, ci impegniamo a divulgare le ragioni per le quali il
“caso Cospito” è un segnale di allarme fortissimo per tutte e tutti noi.
- Produrre
una testimonianza di impegno civile, attraverso la pratica gandhiana, che
ispiri chi si lascerà ispirare, e che possa farci sentinelle e presenze,
se mai un giorno qualcuno voglia dire: come mai nessuno si oppose, né fece
o disse nulla?
Essendo coinvolta nel coordinamento
di questa iniziativa (ho redatto io stessa gli obiettivi appena espressi,
insieme a Marianna Panico), sono stata particolarmente attenta alle reazioni
che essa ha suscitato.
Ho considerato post e commenti
social, in diverse bacheche Facebook e in chat di militanti del cosiddetto
“dissenso”, in particolare in quelle del “CLN – Comitato di Liberazione
Nazionale”, nel quale pure milito attivamente, della regione in cui vivo, la
Lombardia.
Dopo lettura e riflessione e un
paio di brevi confronti (i cui esiti non so misurare, essendo avvenuto
nell’ambiente insterilito di una chat Telegram), ho deciso di scrivere questa
nota per chiarire alcuni dei dubbi più spesso sollevati, e con più veemenza –
segno questo che il tema è comunque sentito e coinvolge, cosa per me positiva.
Iniziamo: chi è Alfredo Cospito?
Alfredo Cospito è un militante
anarchico, che si trova in prigione dal 2012.
Fu riconosciuto colpevole di:
- aver posto,
il 2 giugno 2006, due ordigni rudimentali in un cassonetto davanti alla
scuola dei Carabinieri di Fossano (Cuneo). Il primo ordigno doveva
esplodere per attirare l’attenzione, il secondo per colpire chi fosse
accorso sul posto.
- aver
gambizzato un dirigente dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi, nel 2012 a Genova.
Cospito ha rivendicato il secondo
crimine, l’aggressione del 2012, per il quale gli sono stati comminati 10 anni
nel 2013. Invece si dichiara totalmente estraneo alla doppia bomba: questo
delitto gli è stato imputato quando Cospito era già in prigione per la
gambizzazione, e per esso gli sono stati comminati vent’anni per strage, in
base all’articolo 422 del Codice Penale; recentemente è stato rideterminato
dalla Corte di Cassazione in “strage allo scopo di attentare alla sicurezza
dello stato”, che ricade sotto l’articolo 285 del Codice Penale e prevede
l’ergastolo anche nel caso in cui non ci siano morti. Nel maggio scorso,
Cospito è stato sottoposto al regime carcerario 41 bis, presumibilmente perché
continuava a far pubblicare suoi articoli sulla stampa anarchica, articoli che
incitavano a compiere altri atti violenti di ribellione.
Ricordiamo che il 41 bis prevede
l’isolamento totale del detenuto, che non può più ricevere né notizie, né
giornali, né libri dall’esterno; né può comunicare con l’esterno in nessun
modo, con l’eccezione degli avvocati. Il detenuto al 41 bis viene relegato in
un isolamento perpetuo e ha diritto ad una sola ora d’aria al giorno, da
trascorrere isolato in un cubicolo di cemento coperto da una grata.
Ammesso che il 41 bis sia
compatibile con la Costituzione della Repubblica italiana, va ricordato che
tale regime era stato concepito per impedire ai capi mafia arrestati di avere
modo di continuare a dirigere l’organizzazione mafiosa attraverso contatti con
l’esterno. Cospito non è “capo” di alcunché: come è noto, gli anarchici
non hanno capi, altrimenti non sarebbero tali.
Dopo qualche mese al regime 41 bis,
Cospito ha iniziato nell’ottobre scorso uno sciopero della fame a oltranza:
- per
protestare contro l’applicazione del 41 bis alla sua persona
- per
chiedere di ritornare al regime carcerario precedente.
Nel frattempo, la situazione si è
aggravata, in quanto la Corte di Cassazione ha riqualificato il reato,
sostenendo che non si tratta della fattispecie prevista dall’art. 422
(strage) ma della fattispecie prevista dall’art. 285 (strage allo scopo
di attentare alla sicurezza dello Stato). Questo reato non prevede alcuna pena
diversa dall’ergastolo. Ciò ha aumentato la determinazione di Cospito di
arrivare fino alle estreme conseguenze.
Dopo aver illustrato la situazione,
vado ora a esprimere qualche valutazione.
La violenza delle azioni di Cospito
non può certamente trovarci a loro difesa. Negli anni, inoltre, l’uomo ha
ribadito in diverse interviste e scritti la convinzione verso ciò che ha fatto.
In particolare, da una intervista
per il giornale anarchico Vetriolo del 2018, mi ha colpita
questa considerazione: “Oggi la progettualità “informale” (basata sulla
comunicazione senza intermediari tramite rivendicazioni di azioni distruttive
indette da fluidi e caotici singoli e gruppi di affinità sparsi per il mondo)
ci sta regalando la possibilità di rilanciare concretamente in maniera
pericolosa per il sistema una “internazionale” che potrebbe innescare una
reazione a catena inarrestabile. Certo, parliamo di infinitesimali minoranze,
ma perché escludere a priori che come spesso avviene in natura un
impercettibile virus iniettato magari da una insignificante puntura di una
piccola zanzara possa uccidere il possente elefante?”
L’intervista è stata citata anche
dai magistrati, nel 2021, per ribadire la pericolosità di Cospito.
Da parte mia penso che una
pericolosità esista. Ma che non consista in un pericolo immediato per le
persone, nonostante le parole chiaramente violente di Cospito, a causa della
natura dei movimenti anarchici, che non prendono ordini, ma che tutt’al più si
scambiano idee e si ispirano a vicenda. Da questo punto di vista, quindi,
pericoloso sarà chi raccoglierà l’invito di Cospito alla violenza e lo metterà
in atto.
Alfredo Cospito, piuttosto, è
pericoloso per il sistema che combatte, e lo testimonia proprio la decisione di
dargli il 41bis: di buttarlo in un buco, come ha detto efficacemente Davide
Tutino, e di impedirgli di comunicare con il mondo esterno.
Da ciò si deduce anche che c’è un
sistema di potere che ha paura del “mondo esterno”, ha paura cioè che le parole
incendiarie di Cospito trovino sponda. Il mio personale parere è che le parole
davvero pericolose di Cospito non siano (solo) quelle incendiarie, ma le molte
altre che ha dedicato a elaborazioni teoriche e a denunce della profonda
iniquità del sistema in cui viviamo.
E ancora di più: il pericolo
rappresentato da Cospito sta nel fatto che questo criminale ha rivendicato i
suoi crimini, ne ha parlato nei termini riportati da Vitriol quando era già in
prigione, e ora si lascerà consapevolmente morire. Cospito, in sostanza, è un
irriducibile, ed è difficile per il potere svalutare del tutto le convinzioni
che portano un uomo a un tale limite, nonostante la sproporzione di mezzi.
Lo Stato ha la legge, le forze di
ordine pubblico, i tribunali, le galere, e inoltre è oggi al servizio un
sistema più grande, quello neoliberista delle multinazionali (definite
“personalità psicopatiche” da un bellissimo documentario che consiglio di
recuperare: The Corporation) le quali hanno mezzi ancora più enormi della
coercizione: hanno la propaganda, la voce, le trombe, i privilegi, i sogni
innestati artificialmente, il benessere somministrato a mo’ di narcotico
huxleyano.
Alfredo Cospito, di fronte a tutto
questo, non ha nulla, tranne la sua nuda vita. E ha messo sul piatto
esattamente quella.
Quanti farebbero, quanti faranno lo
stesso? Per il benessere, per il privilegio, per il potere… ma anche per la
giustizia, per qualcosa in cui crediamo, per qualcuno che amiamo, saremmo noi
disposti a fare lo stesso? Smettere di nutrirci, giorno dopo giorno, ora dopo
ora, fino a deperire, e ancora bloccare eventuali soccorsi, rifiutare qualsiasi
tipo di aiuto medico, in vista di una morte sopravveniente? Lo faremmo, lo
faresti? Per l’Italia, per la tua parte politica, per tutti i regni del mondo,
saresti disposto a morire e a ribadirlo ininterrottamente per novanta giorni di
seguito?
Ecco la forza di Alfredo Cospito,
ecco l’irriducibilità che fa paura. Significativo che questo combattente
convintamente violento sia arrivato a forza di estremi verso l’estremo opposto,
la nonviolenza e l’autoimmolazione dimostrativa. Perché è qui che il potere
cessa di raggiungerti, è qui che esiste una esile prospettiva di prevalenza, oltre
qualsiasi bomba e pistola.
Torniamo alla ricezione di tutto
questo, alle discussioni che ho seguito nelle chat e che mi hanno convinta
della necessità di scrivere il presente articolo.
Una delle opposizioni più forti che
ho letto relativa alla nostra azione di sciopero della fame riguarda la persona
di Cospito, come io l’ho descritta: un militante della violenza, convinto della
sua utilità e necessità, che ha fatto del male direttamente, e che lo
rifarebbe. Ovvero: “Vi dite nonviolenti e poi difendete uno così?”
La risposta più semplice che mi
viene alle dita è: bella forza avremmo, se ci mettessimo a difendere un
crocerossino. La forza di un principio si mette alla prova anche su questo
piano: per chi vale? Fino a dove può spingersi?
Posso applicare la mia nonviolenza
a una persona cattiva? Posso rivolgerla verso un assassino? La risposta è
semplice da dare, seppur difficile da vivere nei fatti.
Essendo la nonviolenza (anche) un
modo per gestire i conflitti, è nel conflitto che essa si forgia e si dispiega;
nel momento in cui essa si confronta con una persona perbene non ha
ragion d’essere dal punto di vista politico e di lotta.
Non mi pare che Gesù, a cui Gandhi
espressamente si ispira, dicesse: “Ama solo la gente perbene”. Alleggerendo il
concetto, impegnativo e complesso, di amore cristiano, possiamo dirci “con la
coscienza nonviolenta” a posto nel momento in cui difendiamo da un abuso un
nemico, una persona che normalmente non stimeremmo, un uomo che ha fatto del
male.
Restiamo ora nel presente e nella
realtà italiana attuale. Senza volerci spingere su esempi evangelici, ci basti
ricordare tre principi sui quali si regge il nostro ordinamento:
- La funzione
rieducativa della pena carceraria.
Qui l’intero 41bis è in questione,
perché non è mirato a rieducare o a riabilitare, ma è espressamente pensato per
spezzare i legami della persona con l’esterno, mettendola in uno stato di
intensa deprivazione. Potrebbe essere chiamata tortura, e c’è chi lo ha fatto,
servendosi di evidenze come lo stato di follia al quale l’isolamento
fisiologicamente porta.
Chiaramente non è un argomento
“facile”, e con lo sciopero della fame noi di Resistenza Radicale ci impegniamo
anche a suscitare una necessaria discussione in merito, consapevoli che forse
un accordo generale totale non ci può essere. Si tratta di decidere fino a che
punto, nel contrasto ai criminali, ci si può spingere, e non è una decisione da
prendere alla leggera, né in modo definitivo.
Qualcuno direbbe che chi ha sciolto
nell’acido un bambino merita ben altre deprivazioni. A me, che percepisco una
macchia raccapricciante in chi tortura ben più che in chi viene torturato,
viene da chiedermi: se ciò che ci guida è il senso di vendetta e la
disinvoltura nel macchiarci noi stessi di abuso, perché non ripristiniamo la
pena di morte? Non è una domanda ironica. Per quale ragione manteniamo in vita,
alimentiamo, teniamo al caldo e magari anche “curiamo” con un medico una
persona che nel frattempo torturiamo, depriviamo e facciamo impazzire? Per
anni! Che senso ha?
- La
proporzionalità della pena.
È stato ben evidenziato che il
41bis, regime usato per “sconfiggere la mafia”, non è attualmente comminato a
chi stupra e uccide, a chi compie omicidi multipli e anche a chi si macchia di
strage “comune” come era stata indicata l’azione di Cospito, azione che, lo
ripeto, non provocò morti né feriti. Non li provocò perché andò male,
d’accordo: ma allora contano le intenzioni? Se scambio lo zucchero con
l’arsenico e non avveleno mio marito per un soffio, vado comunque in galera per
omicidio? Non esisteva un “tentato” di fronte al delitto, proprio in virtù di
una proporzionalità tra la pena e il crimine?
- La legge è
uguale per tutti.
La legge si applica solo ad alcune
persone, a persone già “giuste”? O non è piuttosto una regola da seguire
universalmente? Cospito è un ideologo controverso e incallito e non è facile
concordare con quello che dice, scrive e fa. Questo autorizza lo Stato a fargli
qualsiasi cosa?
Cosa forse ancora più importante,
la questione si estende: dal caso “Stato contro Alfredo Cospito” diventa
facilmente “Stato contro qualsiasi individuo”, “Stato contro chiunque”, “Stato
contro tutti”.
Perché se la legge è uguale per
tutti, la legge deve essere uguale anche per lo Stato.
Questo è un principio ben più
antico della modernità, che in occidente è sancito dal XIII secolo, da quando
nemmeno lo Stato esisteva: esisteva il re, e il re, che firmò la Magna Charta,
si sottomise all’imperio della legge. La legge valeva anche per il re, e oggi
vale anche per lo Stato. Non è certo un principio accettato pacificamente: nel
XVIII secolo gli assolutismi hanno tentato di scardinarlo, è finita con la
scure per Carlo I e la ghigliottina per Luigi XVI. Oggi questo principio è
considerato alla base del nostro vivere associato, e lo Stato non può eluderlo
sulla base di proprie considerazioni su minacciosità e pericolosità potenziale
del soggetto.
Non può funzionare così, altrimenti
possiamo tutti e tutte essere in pericolo. Una volta aperta la strada alla
pericolosità potenziale decisa di volta in volta, chi sarà al sicuro?
Cospito è un apripista, un sopruso
facile. E qui arrivo a una seconda critica che è mossa a chi oggi, nella
cosiddetta “area del dissenso”, si sta occupando del suo caso. Ovvero: “Con
tutti i guai che abbiamo, perché pensare a lui? Noi vogliamo lottare contro
obbligo vaccinale e green pass, che c’entra Cospito?”
Bè, c’entra eccome, se valutiamo la
cosa come una questione di metodo. Perché il metodo è un po’ lo stesso.
Apripista, l’ho definito.
L’indignazione che proviamo verso
le azioni di Cospito è esattamente la crepa che il potere usa per portarci
dalla sua parte, contro il nostro stesso interesse. Come ha fatto con la paura
verso il virus, il terrore del contagio, della morte intubati, delle bare sui
camion, dei nipotini killer, dei giovani bastardi che ridono e si divertono
mentre io sto paralizzata in casa, in ascolto della conta quotidiana dei morti.
Quante cose abbiamo permesso, dominati da questa paura? Quanto spazio abbiamo
dato al potere per rapinarci nella nostra quotidianità, nei nostri affetti, nei
nostri legami, nel nostro lavoro, attraverso la falla della paura?
La ripugnanza verso i gesti
violenti di Cospito rischia di portarci su questa stessa strada: a cedere
terreno al sopruso del potere, e persino ad applaudire, mentre esso costruisce
con metodo il precedente di base, che verrà poi rinforzato dalla prassi e
dall’inazione generale.
Basta una falla. Basta una prima,
piccola inoculazione. Basta un virus, “un impercettibile virus iniettato magari
da una insignificante puntura”. Cospito lo ha capito. Lo Stato anche,
perfettamente. Temo invece che noi, dopo tre anni di lotte e di dissenso,
dobbiamo ancora impararlo davvero.
CON
Aligi Taschera e Pasquale Valitutta detto Lello per la stesura della parte
“legale” sul caso Cospito;
Marianna Panico per la revisione.
Resistenza
Radicale – Azione Nonviolenta
resistenzaradicale.eu
Non un filo d’erba. La lotta di Alfredo Cospito per la dignità prosegue da
oltre 90 giorni - Viola Hajagos
L’avvocato Flavio Rossi Albertini ad Adnkronos racconta: “C’è una finestra nella cella
di due metri e mezzo per tre metri e mezzo, una finestra schermata dal
plexiglass che non si apre quasi mai e che si affaccia, al di là delle sbarre,
su un cubicolo interno circondato da muri di cemento alti metri e metri,
schiacciati da una rete metallica a chiudere il quadrato di cielo. Cospito vive
in quella cella da solo, come impone il regime carcerario al quale è
sottoposto, ci passa 21 ore della sua vita. Le restanti tre le divide tra
socialità, un colloquio di un’ora con gli altri 3 detenuti del suo gruppo di
socialità, e due ore d’aria in quella sorta di cubicolo di cemento dal quale
non può vedere un albero, una siepe, un fiore o un filo d’erba, un colore, solo
sbarre e cemento”.
Le condizioni di salute di Alfredo possono precipitare da un momento
all’altro. La dottoressa Angelica Milia che lo ha visitato in carcere ha
dichiarato: “Dopo 90 giorni di sciopero della fame Alfredo ha perso 40 kg,
le condizioni sono stabili rispetto alla settimana
scorsa, ma le riserve di grasso e zuccheri sono ormai esaurite e
quindi è possibile che le condizioni di salute generale possano peggiorare da
un momento all’altro”.
Le iniziative di solidarietà alla lotta di Alfredo Cospito sono numerose in
Italia e all’estero: in diverse città si sono tenuti presidi e cortei; domani,
domenica 22 gennaio, ci sarà un nuovo presidio al carcere di Bancali a Sassari
dove è detenuto.
Con Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale
presso l’Università degli Studi di Torino abbiamo parlato della repressione del
dissenso e del processo di una progressiva deriva della democrazia.
La democrazia, come sosteneva Bobbio, non può esistere senza dissenso. La
democrazia è conflitto. Oggi assistiamo ad una progressiva criminalizzazione
del dissenso, come della solidarietà, e, in senso ampio, della conflittualità
sociale. La repressione avviene attraverso l’introduzione di norme restrittive
e punitive (penso al decreto sicurezza Salvini, come al precedente di Minniti,
o al recente “decreto Piantedosi” sulle ONG), così come attraverso l’uso
sproporzionato (alias abuso) di strumenti civili e penali (dalle richieste di
risarcimento in sede civile al perseguimento di reati anche bagatellari[1] se compiuti da attivisti di un
movimento sociale all’utilizzo dello strumento penale come diritto penale del
nemico). Esemplare è il “trattamento” del movimento No TAV, nei cui confronti è
stato fatto uso di richieste di risarcimenti in sede civile, un largo ricorso a
misure di prevenzione e cautelari, qualificazioni penali “eccessive” (il
terrorismo), …
La Costituzione nata in seguito alla sconfitta della dittatura fascista
oggi sembra essere antagonista alle politiche dei governi.
La Costituzione oggi più che attuata dalle istituzioni, è praticata dai
movimenti sociali; diviene una “alternativa antagonista” rispetto alle
politiche di governi che ne hanno abbandonato il progetto di emancipazione
sociale. Pensiamo al definanziamento della sanità rispetto alla garanzia del
diritto alla salute, alla deregolamentazione del diritto del lavoro che non lo
garantisce come strumento di dignità, ad un sistema fiscale sempre più lontano
da un modello progressivo che assicuri redistribuzione e diritti sociali.
Seguendo questa traccia che ripercorre la relazione tra i governi e il
dissenso proseguiamo la riflessione rispetto alla criminalizzazione delle lotte
e i principi tutelati dalla Costituzione.
Il modello della Costituzione è una democrazia pluralista, conflittuale e
sociale. L’art 3, c. 2, della Costituzione prevede un progetto di
emancipazione sociale e di trasformazione della società nel senso di un pieno
sviluppo della persona e della sua partecipazione alla vita del Paese. È un
progetto controcorrente rispetto alle politiche neoliberiste che, dagli anni
Ottanta, hanno veicolato una regressione nella tutela dei diritti sociali e
processi di liberalizzazione e privatizzazione. A questo si aggiungono riforme
costituzionali, come il principio del pareggio di bilancio, che inserisce una
nota stonata rispetto al modello di democrazia sociale, nonché progetti di
riforma della forma di governo, per fortuna bocciati nei referendum (ma stiamo
di nuovo per affrontare una riforma in senso presidenziale), tesi a introdurre
modelli di verticalizzazione del potere.
La democrazia, come sociale e politica è svuotata, e inclina verso una
deriva autoritaria. Si inserisce qui il discorso, dal quale siamo partite,
della repressione del dissenso, che si estende e si fa sempre più penetrante.
Pensiamo alla disobbedienza civile di movimenti come Ultima Generazione,
Extinction Rebellion, rispetto alla quale la reazione delle istituzioni è
eccessiva, “violenta” a fronte di azioni non violente, di cui gli attivisti si
assumono la responsabilità.
La voracità del neoliberismo lo porta ad accantonare ogni progetto di
redistribuzione, di giustizia sociale, così come di giustizia ambientale (per
non parlare del suo sfociare nella guerra), e, di fronte alla loro
rivendicazione, a chiudersi in una cittadella sempre più autoritaria.
La deriva di criminalizzazione progressiva e generale del dissenso ha
riguardato anche i fatti legati al processo Scripta Manent con
la qualificazione
di strage politica da parte della Cassazione.
Senza entrare nel merito del diritto penale approfondiamo la questione del
41 bis comminato ad Alfredo Cospito, primo anarchico cui è stato applicato
questo regime carcerario.
L’articolo 41 bis nasce con un carattere temporaneo e ristretto a
fattispecie specifiche, quindi, nel tempo, viene “normalizzata” la sua presenza
ed estesa la sua applicabilità; in questo senso è un esempio di quella che
viene definita la normalizzazione dell’emergenza.
È un trattamento, quello del 41-bis, che impatta pesantemente sulla dignità
della persona, tutelata in ogni circostanza, sempre e ovunque. Mi limito a
ricordare l’art. 13, “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà” e l’art.27, “Le
pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato” della Costituzione. Ma, oltre
la Costituzione, possiamo citare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
le pronunce della Corte europea proprio riguardo al 41-bis e alla sua
(in)compatibilità con l’art. 3 della Convenzione che stabilisce il divieto di
tortura e di trattamenti inumani e degradanti.
La dignità della persona deve sempre essere tutelata e garantita. Lo Stato
non può essere “vendicativo” nei confronti di una persona detenuta, ma
garantire in ogni caso la dignità e tendere, dice la Costituzione, alla
rieducazione, ovvero a garantire la partecipazione alla società.
Come sottolineato da più parti e recentemente da Mario Palma, garante dei
diritti dei detenuti, si tratta di un uso forzato del 41 bis che “si
traduce nell’accentuazione dell’afflizione non motivata e non motivabile come
volontà di interrompere i collegamenti (ndr con altri associati
all’organizzazione criminale), ma semplicemente come regola di carcere
duro, non ha più alcuna legittimità costituzionale.”
All’interno della campagna di mobilitazione per far uscire dal silenzio la
lotta di Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, il 7 gennaio è stato
lanciato un appello firmato da diverse persone del mondo accademico, culturale,
sociale e giuridico dal titolo “Alfredo
Cospito non deve morire”.
Alessandra Algostino è tra le firmatarie e firmatari dell’appello che ha
raccolto oltre 5.000 firme. Che cosa chiedete?
Vorremmo che le istituzioni, in primo luogo, intervenissero a proposito
della situazione personale di Alfredo Cospito, a partire dalla revoca del
regime del 41 bis, e, insieme, sollevare la questione del rispetto della
dignità di tutte le persone detenute.
Lo sciopero di Alfredo Cospito riguarda anche l’ostatività: la
cancellazione della possibilità di qualsiasi beneficio per i detenuti che hanno
questa ulteriore restrizione.
La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte a tal riguardo (ord.
97/2021 e 122/2022), rinviando per consentire un intervento del legislatore,
sino all’ultima ordinanza, 227/2022, con la quale ha rinviato gli atti di
Cassazione essendo nel frattempo intervenuto il decreto legge 162 del 2022.
Una riforma dell’ostatività (l’intervento legislativo intercorso non è
sufficiente) è necessaria per evitare che la scelta di non collaborare con la
giustizia si riveli punitiva, in termini di benefici (nel caso, la liberazione
condizionale), per il detenuto; in gioco sono la dignità della persona, il
senso della pena (e la sua proporzionalità).
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dell’utilizzo delle
applicazioni di regimi carcerari speciali (As2 e 41 bis) e il ricorso a misure
restrittive della libertà di movimento, obblighi di dimora, fogli di via,
sorveglianze speciali.
La legislazione d’emergenza è diventata normale. A partire
dall’attentato alle Torri gemelle a New York si è assistito all’introduzione di
nuovi reati (come, nel Regno Unito, l’incitamento indiretto al terrorismo, che,
per intenderci, avrebbe portato ad incriminare Nelson Mandela per i suoi
discorsi) e nuove misure limitative della libertà di manifestazione del
pensiero (ad esempio maggiori possibilità di prevedere intercettazioni).
Assistiamo, con un ossimoro, alla normalizzazione dell’emergenza e questo
porta ad una restrizione degli spazi politici, dei diritti.
Questo processo non riguarda esclusivamente la repressione delle lotte.
La tendenza a costruire un nemico per criminalizzare il dissenso propone
uno schema binario: la dicotomia tra amico e nemico. Ad esempio, chi è
contrario all’invio delle armi in Ucraina viene etichettato come putiniano e
quindi nemico; lo stesso è avvenuto nei confronti di chiunque abbia espresso
posizioni critiche durante la gestione della pandemia. Si compatta la società,
l’opinione pubblica, contro un nemico e così si occulta il conflitto sociale,
nella prospettiva del thatcheriano TINA[2] e del pensiero unico.
[1] il termine bagatella indica
una cosa di nessun conto. I reati bagatellari sono quelli che, per la
loro minima lesività, hanno minore rilevanza sociale e possono quindi
essere repressi con sanzioni più lievi.
[2] There is no
alternative, (T.I.N.A) era una delle formule più spesso usate da Margaret
Thatcher per esprimere una linea di pensiero che considera il neoliberismo come
la sola ideologia restante valida. Nell’economia, nella politica e nell’economia
politica questa frase ha preso il significato della mancanza di alternative al
sistema neoliberista: il libero mercato, il capitalismo e la globalizzazione
sono l’unica strada percorribile per lo sviluppo di una società moderna.
In difesa di
Cospito e di tutte le persone segregate in un regime che non ha più ragione di
esistere - Elton Kalica
Venezia
è forse l’unica città dove camminare di notte nel freddo non mi mette
tristezza. La pioviggine si deposita silenziosamente sullo schermo del
cellulare mentre seguo il google maps verso la Calle dei bari.
Dopo
l’ultima svolta nell’oscurità, le sagome di alcuni ragazzi che fumano sotto la
luce sbiadita di una lampadina mi rassicurano di aver trovato l’indirizzo.
Saluto e spingo la porticina. Entro. Il locale è caldo. Una ventina di sedie
disposte in quattro file. Di fronte un piccolo podio dove stanno conversando
alcuni ragazzi. Li raggiungo e mi presento.
Da
quando ho pubblicato la mia tesi di dottorato sul 41 bis sono stato invitato a
presentare il mio lavoro in giro per l’Italia da molti circoli, associazioni e
collettivi universitari. Ma il recente sciopero della fame di Alfredo Cospito
ha suscitato in particolare l’interesse di alcuni circoli anarchici. Tra i
quali anche questo gruppo veneziano che mi ha invitato a parlare della mia
ricerca. Quasi tutti studenti universitari provenienti da varie facoltà. Sono
indignati del trattamento inumano riservato ad un militante, e vogliono che
spieghi al gruppo le ragioni teoriche dell’esistenza di un dispositivo di
tortura come si può definire il 41-bis. Si tratta di un discorso tanto
giuridico e filosofico quanto politico. E non è sempre facile spiegare in pochi
minuti.
Ma
credo che il caso di Cospito mi faciliti in qualche modo la spiegazione del
diritto penale del nemico: un diritto non scritto che si rivolge a coloro (come
Cospito appunto) che non riconoscono l’ordinamento giuridico dello Stato e,
pertanto, devono essere messi in condizione di non nuocere. Ecco perché lo
Stato ricorre ad un sistema repressivo diverso da quello predisposto dal
diritto penale “normale”. Si tratta di una logica politica dell’amico/nemico: è
amico quando una persona si giudica solo per il reato commesso; è nemico quando
si giudica per quello che rappresenta, per quello che fa, per quello che è, per
quello che pensa e per quello che scrive. Il 41-bis fa parte di un dispositivo
più complesso costruito con una logica di guerra al quale lo Stato non intende
rinunciare. Creare la figura del nemico serve proprio per giustificare
l’utilizzo di un “diritto penale della pericolosità” che si manifesta
sospendendo per alcuni soggetti le garanzie previste per tutti gli altri nel
processo penale e nell’esecuzione della pena.
La
mia dissertazione è seguita immancabilmente dal dibattito dei presenti sul caso
concreto. Non conoscendo tanto della storia politica e processuale di Cospito,
mi limito ad ascoltare. E mi immergo in lontani ricordi scolastici che
affiorano improvvisamente. Cresciuto nell’Albania del socialismo reale, la mia
infanzia è stata plasmata dalla letteratura russa e quando sento parlare di
anarchia evoco irrazionalmente San Pietroburgo con i suoi demoni di Dostoevskij
e le incitazioni sovversive di Bakunin rivolte ai contadini e penso a Pugaçev,
il bandito rivoluzionario raccontato da Pushkin così come alle povertà sociali
e morali raccontate da Gogol e Lermentov. In questo ritorno mentale ai banchi
di scuola mi torna in mente anche il principe Andrej ferito ad Austerlitz e
penso alla religiosità anarchica di Tolstoj, che considera Cristo ribelle e
riformatore sociale, per cui gli ultimi saranno i primi in questa vita.
Tutti
elementi che appartengono ad un’idea romantica di lotta dove la narrazione
accosta l’impotenza e la tragedia di singoli sognatori al potere istituzionale
organizzato e determinato nella repressione e nella vendetta. Certamente, è
impensabile tracciare qualche relazione tra i demoni di Dostoevskij con gli
idealisti odierni che non devono lottare per liberare i servi della gleba,
mentre è più facile trovare analogie nel potere punitivo, capace di annientare
chi gli è ostile con estrema violenza.
Alla
fine saluto gli organizzatori e ripercorro le calli fredde e silenziose verso
la stazione. Mentre sono in treno mi assale il desiderio di tornare in carcere
e parlare di questo con i detenuti, quelli che forse non hanno mai voluto
sovvertire l’ordine sociale, ma che hanno comunque vissuto la sofferenza delle
repressioni draconiane.
La
mattina successiva il carcere di Padova mi accoglie con un’aria quasi
familiare. Ogni volta che ritorno, ripercorro il lungo corridoi che porta nella
redazione di Ristretti Orizzonti con la stessa serenità di undici anni fa,
quando ci andavo da detenuto. Intorno al tavolo una decina di persone. Vedo
diverse persone nuove ma anche alcune vecchie conoscenze, che sono entrate in
carcere prima di me e che sono ancora lì. Racconto subito del mio desiderio di
analizzare con loro la questione Cospito. Hanno letto i giornali. Sanno tutto.
Mentre cominciano a commentare io annoto sul taccuino: “Va bene che si
mobilitano così tante persone per l’anarchico, però dovrebbero farlo anche
quando ci finiamo noi altri! Il 41-bis è una tortura per tutti, non solo per i
detenuti politici”.
“Quella
persona forse è stata messa in 41 perché ha tanto seguito tra i giovani. Hanno
voluto colpire il simbolo per dare un messaggio”.
“Voi
pensate che quello di Cospito sia un caso isolato, ma quando ero al 41-bis ho
visto arrivare ragazzi di vent’anni che poi sono stati assolti, ho visto
arrivare anche albanesi che portavano l’erba con i gommoni che non
appartenevano a nessuna grande organizzazione criminale, ho visto arrivare
gente arrestata per estorsione con “metodo mafioso. In 41-bis ora ci mettono di
tutto. Hanno bisogno di riempirlo”.
“Quello
che mi fa specie è che per Cospito sono tutti disposti ad esporsi perché non è
mafioso e non ha reati di sangue. Invece, se credono che il 41-bis sia una
barbarie devono trovare il coraggio di esporsi anche per noi, indipendentemente
dal reato.”
A
parlare sono principalmente persone che hanno vissuto il 41-bis in prima
persona anche per periodi lunghissimi. Mentre scrivo penso a quando lavoravo
sulla mia tesi di dottorato e mi sentivo dire che non dovevo difendere i
mafiosi e che il 41-bis era una vittoria sulla criminalità organizzata. “Sei
diventato amico dei mafiosi?” hanno chiesto anche a qualche parlamentare che
manifestava contrarietà al carcere duro. Perché chi tocca il 41-bis si ritrova
tutti contro, sempre.
Chi
studia la criminalità organizzata sostiene che la mafia è cambiata, che non
spara più, che ormai si confonde con la criminalità dei colletti bianchi, e che
non fa più paura per le strade. Chi studia i movimenti sostiene che
l’anarchismo ormai non solo non pratica più il terrorismo, ma non ha più la
presa che aveva sui giovani durante le proteste studentesche e operaie del ‘68.
Ciò nonostante le leggi emergenziali sono diventate permanenti. È chiaro che
mandare Cospito al 41-bis è stato un errore: certo, potevano impedirgli di
pubblicare le sue lettere sugli opuscoli anarchici semplicemente mettendo la
censura sulla posta anche tenendolo in Alta Sicurezza, dove stava prima;
sospendergli i diritti penitenziari è diventato un boomerang tale da rimettere
in discussione (giustamente) l’esistenza stessa del 41-bis. Ora che tanti
capimafia sono morti è chiaro a tanti che il 41-bis non ha più motivo di
esistere. E non è allargando la sua applicazione agli anarchici che si possa
tenere in vita un dispositivo di tortura che sarebbe dovuto uscire di scena
insieme a Riina e Provenzano.
Finita
la riunione con i detenuti torno a casa e mi metto al computer per leggere gli
ultimi articoli e l’appello del Manifesto che chiede al Ministro di revocare il
41-bis a Cospito. Scorro la lista, forse centinaia, di firmatari costituita da
giuristi, accademici, politici, scrittori, artisti e altre categorie di spicco
della società civile. Forse Cospito nella sua cella non sa cosa sta succedendo
fuori, ma io sento di dovergli riconoscere il merito di aver fatto nascere una
campagna che va oltre la difesa del suo diritto di espiare la pena in
condizioni umane; una campagna che sta mettendo finalmente in discussione
l’esistenza stessa del carcere duro e che esige il ripristino dei diritti
penitenziari per tutti i detenuti seppelliti al 41-bis.
Di
fronte a questo drammatico sacrificio di Cospito penso alla scena in cui il
dottor Zivago, che viaggia sul treno per la Siberia, incontra un anarchico
in catene che urla “Io sono l’unico uomo libero su questo treno”. Ecco spero tanto
che, dopo più di cento anni dalla repressione bolscevica degli anarchici, i
magistrati si rendano conto che non c’è più nessuna guerra da combattere e che
non è più tempo di neutralizzazione del nemico, e che non ha più senso colpire
le persone per quello che sono oltre che per quello che hanno fatto.
Elton
Kalica è un ricercatore all’Università di Padova.
L’articolo
è stato pubblicato da Ristretti Orizzonti.
Cospito, per lui lo Stato ha previsto il ‘fine
vendetta mai’. Come mai tutto questo zelo? - Sergio Brero
Che Alfredo Cospito non
sia un assassino ce lo dice la sua stessa storia processuale, infatti rivendica
di aver teso nel 2012 un’imboscata a Claudio Adinolfi,
allora ad di Ansaldo Nucleare, e di avergli sparato alle gambe. Se avesse avuto
l’attitudine ad uccidere, probabilmente Adinolfi, invece di avere problemi di
deambulazione, sarebbe in qualche camposanto. Ma Alfredo Cospito ed Anna Beniamino sono attualmente due detenuti delle
carceri italiane a cui è stato contestato il reato di strage “allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato”,
art. 285, che è un delitto contro la personalità dello Stato, probabilmente il
più grave dell’ordinamento.
Le pene richieste sono ergastolo ostativo
per lui e 29 anni per lei.
Viene contestato loro questo articolo a
seguito dello scoppio di due ordigni a basso potenziale, la notte tra il 2 e il
3 giugno 2006, nei dintorni della scuola per carabinieri di Fossano in
provincia di Cuneo. In questa occasione non ci furono feriti, né gravi danni,
nessuna ombra di vittime. Quando
Cospito ne parla dice: “…l’assurda accusa di aver commesso una
‘strage politica’, per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi
deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno e che di
fatto non hanno ferito e ucciso nessuno.” Tra l’altro sia
Alfredo Cospito sia Anna Beniamino non rivendicano l’azione e ne disconoscono la paternità, notando giustamente che
“…nell’anarchia c’è un rincorrersi di sigle dietro alle quali di fatto può
esserci chiunque”.
Questi a grandi linee i fatti.
A tutta prima viene il dubbio che i
giudici della Cassazione, quelli che a suo tempo decisero per la riqualificazione del reato, ne abbiano letto
soltanto il primo paragrafo, che in
precedenza recitava: “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza
dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio
dello Stato o in una parte di esso è punito con la morte”. Perché mi sono
dimenticato di dire che Alfredo Cospito, torinese, la sua pena la sta scontando
in regime di “carcere duro” o 41bis ormai da diversi mesi. Quindi non può uscire
all’aria come gli altri detenuti, gli è negata qualsiasi attività o socialità
all’interno del carcere, ha un solo colloquio mensile e la sua corrispondenza
viene censurata.
Il 41bis, che diversi esponenti della
società civile hanno denunciato come lesivo dei
diritti per boss mafiosi con decine di omicidi al passivo, è stato applicato a
Cospito perché continuava ad intrattenere rapporti di corrispondenza con
riviste di area anarchica. La tesi dell’accusa è che con questa corrispondenza
Cospito impartisse istruzioni operative per le colonne
anarchiche armate ai suoi ordini. Cioè dopo un paio di secoli di processi ad
anarchici di tutti i tipi, la procura di Torino ha finalmente individuato il
capo degli anarchici, visto che si sa, gli anarchici hanno capi e strutture
gerarchiche…
Se non fosse che si sono presi sul serio,
e che in ballo ci sono i diritti e le vite di persone reali, farebbe sorridere.
E qui veniamo a quello che secondo me è il
succo della questione: ad Alfredo Cospito non è rimasto altro modo per
contestare questa situazione estrema che metterne in discussione la sostenibilità. Ovvero, dichiarare che vivere in una
situazione di deprivazione sensoriale, oltre che di privazione della libertà,
senza orizzonti di speranza, all’interno di una galera italiana, è una vita che può non valer la pena affrontare. Questa
dichiarazione l’ha fatta entrando in sciopero della fame, ormai mesi fa,
perdendo nel frattempo più di 30 kg.
Come rapportarsi a questa vicenda? Ha senso che persone come Alfredo Cospito espiino
la loro pena in regime di 41bis? Cosa pensare di chi stravolge la mitica
“funzione riabilitativa” della pena e trasforma la carcerazione di alcuni
detenuti quasi in una vendetta quotidiana dello
Stato – fine vendetta mai?
Da appassionato di storia dei servizi segreti, so che
dietro alle strategie delle forze di sicurezza e degli apparati repressivi c’è
un verminaio di strumentalizzazioni, macchinazioni, situazioni indicibili che
ne informano le vicende e ne rendono opachi e inaccessibili i percorsi. Basta
leggere Fasanella, Giannulli e gli altri giornalisti/storici che si occupano di
rendere conoscibili al pubblico i documenti segreti mano a mano che
vengono desecretati per rendersi conto di quello che
realmente accade ad un certo livello dei nostri apparati statali. Tra stragi di
Stato, omicidi eccellenti, vendette incomprensibili e protezioni scandalose, i colpevoli restano misteriosi, i mandanti
inafferrabili, ma gli effetti sull’opinione pubblica reali e duraturi. E adesso
abbiamo Alfredo Cospito che potrebbe prendersi un ergastolo ostativo, si trova
già al 41bis, ed è in sciopero della fame; Anna Beniamino potrebbe vedersi
condannata a 29 anni di prigione per una vicenda in cui non ci sono vittime.
Come mai tutto questo zelo? E’ perché sono
senza protezioni varie? Sono gli unici che la magistratura riesce
a condannare a piacimento e gli scarica addosso la frustrazione accumulata? E’
perché Alfredo Cospito ed Anna Beniamino fanno talmente paura allo
Stato da dovergli tappare la bocca a qualsiasi costo, altrimenti chissà cosa
potrebbe succedere? E’ perché con un trattamento iniquo ed estremo vogliono
spingere all’azione eventuali sodali degli imputati in modo da poterli castigare?
Chi ricorda la storia dei suicidi in
carcere degli anarchici torinesi Maria Soledad Rosas ed Edoardo Massari nel 1998? A fronte di accuse
ingigantite e montate ad arte si tolsero la vita, per accuse relative alla Tav
e alla val di Susa. E’ perché si vuole un replay di quanto successo allora?
L’articolo Cospito, per lui lo Stato
ha previsto il ‘fine vendetta mai’. Come mai tutto questo zelo? proviene
da Il
Fatto Quotidiano.
Il digiuno di Cospito è il nostro
digiuno - Davide
Tutino
Cos’è un
anarchico? Non è nulla se
viene rinchiuso in un buco di cemento, se viene isolato dalla società e dal
mondo, impossibilitato a contattare chiunque e perfino a leggere un libro; ma
questo nulla ha un nome e cognome, Alfredo Cospito. Il nome e cognome, pur essendo un abito di suoni
e di segni, alle volte ti sottrae all’annullamento, ti permette di entrare in
un dia-logo, uno scambio di racconti, di ragioni e di ragione. È grazie al suo
nome che noi possiamo parlare di Alfredo Cospito, perché di lui ci è tolto
tutto il resto: ci sono tolte le sue parole, il volto, il corpo, in violazione
del principio costituzionale della proporzionalità tra pena e reato.
Alfredo Cospito era già in galera dal 2016, per
aver sparato alla gamba di un industriale, ed era sotto processo per una bomba
carta esplosa senza vittime di fronte a una caserma. Era in prigione quando il
suo reato è stato riqualificato in “strage”, e gli è
stato comminato l’ergastolo ostativo, con impedimento di qualunque contatto col
mondo esterno. Che cosa sono l’ergastolo ostativo e il famigerato 41 bis per il
quale l’Italia è già stata censurata da organismi internazionali? È isolamento
e tortura, fino alla follia o fino alla morte, e Alfredo sta per uscirne con la
morte. Nel giorno di pubblicazione di questo articolo egli, se ancora vivo, si
avvicina al novantesimo giorno di sciopero della fame. La gran parte della
gente ignora il suo nome, ma finalmente una parte del mondo intellettuale si
sta accorgendo di questo peso sulla coscienza del paese. Decine tra professori,
magistrati, giuristi, avvocati, nell’omertà quasi completa della
classe politica, chiedono l’interruzione della tortura e
dell’isolamento, e la restituzione di Alfredo a un regime
carcerario rispettoso della sua dignità umana, dei suoi diritti e
della sua salute.
Chiedevamo che cos’è un anarchico, e ricordiamo
tristemente cosa è stato nella storia. Quando non è più possibile nascondere
gli abusi del potere sul suo corpo, un anarchico appare nella nudità della sua
condizione di fronte al potere: è un esperimento, è il corpo inerme su cui si
esercita di volta in volta un nuovo slittamento del diritto, delle procedure e
dei significati. Sull’anarchico il potere sperimenta volentieri fin dove può
arrivare, se noi non ci opponiamo, se noi non lo fermiamo. Noi chi? Noi che
sappiamo, noi che sapendo non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo tacere. Sta
a noi che non si proceda oltre questo pericoloso slittamento giuridico:
il 41 bis, procedimento già discutibile concepito
per isolare i mafiosi, viene esteso al vasto mondo dei reati politici, in un
momento storico in cui il dissenso e la libertà di opinione sono già in serio
pericolo. È la Procura di Torino ad aver chiesto la
riqualificazione del reato per cui Cospito stava già scontando la pena dal 2016, la
stessa procura che si sta rendendo protagonista della criminalizzazione
del dissenso politico.
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