Introduzione
Secondo la narrativa dominante, la propaganda, vale a dire la sistemica
produzione di falsità, colpirebbe solo le nazioni prive di libertà di
espressione, i paesi autocratici, autoritari o dittatoriali (appellativi,
invero, attribuiti a seconda delle convenienze). Nei paesi autoritari,
con qualche diversità dall’uno all’altro, il quadro è piuttosto evidente,
domina la censura: alcune cose si possono fare, altre no. A dispetto delle
apparenze, tuttavia, anche nelle cosiddette democrazie, l’obiettivo
è il medesimo, controllare il disagio della maggioranza contro i privilegi
della minoranza, cambia solo la tecnica, una tecnica basata sulla Menzogna, che
opera in modo sofisticato, creando notizie dal nulla, mescolando bugie e
verità, omettendo fatti e circostanze, rimestando abusivamente passato e
futuro, paragonando ostriche a elefanti.
Confondendo ulteriormente il quadro, per il discorso del potere –
in cima al quale, a ben guardare, troviamo sempre l’impero americano in qualche
sua incarnazione – i paesi autoritari sono poi quelli che non si piegano al
dominio dell’unica nazione indispensabile al mondo (Clinton,
1999), colonna portante del Regno del Bene.
Coloro che dominano la narrativa pubblica, dunque, controllano la società e
per la proprietà transitiva la ricchezza e le inquietudini che vi si aggirano.
D’altra parte, persino chi siede in cima alla piramide è inquieto, preso
dall’angoscia di perdere ricchezza e potere. E la coercizione non basta,
occorre il consenso e il ruolo della propaganda è quello di disarticolare il
conflitto, contenere quel malessere che si aggira ovunque come un felino in
attesa della preda. Essa è anche un aspetto costitutivo della più vasta nozione
di egemonia, nell’accezione gramsciana del termine[1], secondo la quale il
ceto dominante, oggi transnazionale, ha bisogno di guidare la narrazione
pubblica, servendosi di un’impalcatura di servizio, politici,
militari/burocrati, giornalisti, accademici.
Il potere è slegato da ogni ideologia, non essendo fondato su valori, ma
solo su interessi: liberalismo o socialismo, conservatorismo o progressismo,
fondamentalismo cristiano o islamico, suprematismo o meticciamento e via
dicendo, il fine è solo uno, la massificazione di sè stesso e dei profitti
correlati. Il Regno del Bene non ha sfumature di pensiero, tanto meno di
azione.
La narrativa pubblica diffonde inoltre un messaggio inconscio: “sappiamo
bene che la situazione non è ideale, le cose dovrebbero andar meglio, ma,
ahimè, non vi sono alternative. D’altro canto, si faccia attenzione perché le
cose potrebbero andare molto peggio, e solo noi siamo in grado di evitare che
la situazione precipiti”.
Taluni sono persuasi che solo chi vive ai margini, i poveri di spirito e
gli individui senza istruzione o acume siano esposti al sortilegio della
propaganda. Uno sguardo disincantato rivela invece che tale dipendenza non ha
nulla a che vedere con la cultura o l’intelligenza. Anzi, entrambe tendono a
rafforzare la resistenza a riconoscere la porosità alla manipolazione. La
capacità di opporsi al mainstream appare invero connessa con
l’umile qualità di saper riconoscere i propri errori, e all’occorrenza la
propria credulità. Si tratta di una caratteristica critica dell’essere umano
che esprime maturità emotiva e spessore culturale. Sul piano filosofico,
invece, l’abilità a smascherare l’inganno discende dall’aderenza al principio di
verità, che non può prescindere da una vita condotta in coerenza. Si tratta di
peculiarità poco diffuse, ma che fioriscono in ogni genere di individui e sono
essenziali per la vita e la prosperità del genere umano.
Il trampolino della propaganda
Nell’incipit del saggio The Propaganda Multiplier[2],
lo svizzero Konrad Hummler afferma che “davanti a qualsiasi genere di
informazione non dovremmo mai tralasciare di chiederci: perché ci giungono
queste notizie, perché in questa forma e in questo momento? In fin dei conti si
tratta sempre di questioni che riguardano il potere”.
Forse, ciò chiarisce perché nessuno dà conto della singolare congiuntura –
è questo un esempio tra i tanti – per la quale i cittadini russi possono
leggere i nostri giornali e ascoltare le nostre TV, mentre noi non abbiamo il
diritto di reciprocare, leggere e ascoltare i media russi[3]. In attesa di venirne
informati, ci soccorre il vocabolario orwelliano, nel quale si
scrive pace per significare guerra, democrazia per
intendere oligarchia–plutocrazia, sovranità per
esprimere sottomissione, libertà di giustizio per
la sua soppressione.
Hummler aggiunge che un aspetto sostanzialmente ignoto del sistema
mediatico riguarda la struttura del suo funzionamento, in specie la circostanza
che la quasi totalità delle notizie che ci giungono sugli eventi del mondo è generato
da tre sole agenzie internazionali di stampa. Il loro ruolo è
talmente centrale che i fruitori mediatici – TV, giornali e internet – coprono
quasi sempre gli stessi eventi con i medesimi argomenti, lo stesso taglio, il
medesimo formato. Si tratta di agenzie che godono di coperture e sostegni di
governi, apparati militari e intelligence, essendo da questi utilizzate quali
piattaforme di diffusione di informazioni pilotate[4].
Come fa il giornale (o la TV) che leggo (o ascolto) a conoscere ciò che
afferma di conoscere su un argomento internazionale? – si chiede
Hummler – e la risposta è banale: quel giornale o quella TV non sa nulla, si
limita a copiare da una delle citate agenzie. Queste lavorano in modo felpato,
dietro le quinte. La prima ragione di tale discrezione è
beninteso il controllo della notizia, la seconda risiede nella circostanza che
giornali e TV non hanno interesse a far conoscere ai loro lettori di non essere
in grado di raccogliere notizie indipendenti su quanto raccontano.
Le tre agenzie in questione sono:
·
Associated Press (AP), che ha oltre 4000
dipendenti sparsi nel mondo. AP ha la forma di società cooperativa, ma è di
fatto controllata da finanziarie quotate a Wall Street; dall’aprile 2017, il
suo presidente è Steven Swartz, il quale è anche CEO di Hearst Communications, il colosso Usa dei
media. AP fornisce informazioni a oltre 12.000 giornali e TV internazionali,
raggiungendo ogni giorno oltre metà della popolazione mondiale;
·
Agence France-Presse (AFP)[5], partecipata dallo
stato francese, ha circa 4000 dipendenti e trasmette ogni giorno oltre 3000
reportage a testate mediatiche di tutto il mondo;
·
Agenzia Reuters, con sede a Toronto, con migliaia di persone in ogni dove,
dal luglio 2018 il 55% del suo capitale è proprietà di Blackstone Group, quotata a Wall Street; nel
2008 è stata acquisita dalla canadese Thomson Corporation e si è poi fusa
nella Thomson-Reuters.
Le corporazioni statunitensi (e con esse gli apparati militari e di
sicurezza, lo stato profondo, etc…) dominano anche il mondo internet,
poiché le prime dieci società mediatiche online, tranne una, sono di proprietà
americana e hanno tutte sede negli Usa.
Essendo tale impalcatura alla radice della creazione, soppressione e adulterazione mediatica
degli accadimenti nel mondo[6], è curioso che siano
poche le persone interessate a conoscerne ruolo e meccanismi operativi.
Un ricercatore svizzero (Blum[7]) ha rilevato che nessun
quotidiano occidentale può far a meno di tali agenzie se vuole occuparsi di
questioni internazionali. Noi conosciamo solo ciò su cui queste decidono di
riferire. La Grande Menzogna nella quale è immersa la
popolazione (con eccezioni, beninteso) sta devastando l’etica pubblica e la
sensibilità collettiva. Il lavaggio del cervello è implacabile, tutto è piegato
alle esigenze del potere (l’Occidente e quella parte del mondo pilotata
dall’Occidente), così gerarchicamente ordinato: impero Usa (corporazioni, stato
profondo, forza militare), élite europee (finanza, banche, in prevalenza
nordiche), classi dirigenti nazionali (politici, media, accademia).
Sebbene molti paesi dispongano di proprie agenzie – la tedesca DPA,
l’austriaca APA, la svizzera SDA, l’italiana Ansa e così via – la carta
stampata e le TV private/pubbliche, se vogliono occuparsi di temi
internazionali, sono costrette a rivolgersi alle tre menzionate, le quali si sono
appropriate di un ruolo insostituibile potendo contare su risorse, copertura
geografica e capacità operativa: i reportage di tali agenzie vengono tradotti e
copiati, talvolta utilizzati senza citare la fonte, altre volte
parzialmente riscritti, altre ancora ravvivati e arricchiti con immagini e
grafici per farli apparire un prodotto originale. Il giornalista
che lavora su un dato argomento seleziona i passaggi che ritiene importanti, li
manipola, li rimescola con qualche svolazzo e poi li pubblica (Volker
Braeutigam)[8]”.
Quelli che il pubblico ritiene contributi originali del giornale o della TV
sono in realtà rapporti fabbricati a New York, Londra o Parigi. Non sorprende
che le notizie siano le stesse a Washington, Berlino, Parigi o Roma. Un
fenomeno da brividi, poco dissimile dalle vituperate pratiche dei
cosiddetti paesi illiberali.
Quanto ai corrispondenti, gran parte dei media non se ne può
permettere nessuno. Quando esistono, coprono diversi paesi, anche dieci o
venti, e si può immaginare con quale competenza! Nelle zone di guerra,
raramente si avventurano fuori dall’hotel dove vivono, e pochissimi possiedono
le competenze linguistiche per capire cosa succede intorno. Sulla guerra in
Siria, scrive Hummler, molti riferivano da Istanbul, Beirut,
Il Cairo, Cipro, mentre le citate agenzie dispongono di corrispondenti ovunque
e ben addestrati.
Nel suo libro People Like Us: Misrepresenting
the Middle East, il corrispondente olandese dal Medio Oriente, Joris Luyendijk, ha
descritto candidamente come lavorano i corrispondenti e in
quale misura dipendono dalle tre sorelle: “pensavo che questi
fossero degli storici del momento, che davanti a un evento di rilievo,
scoprissero cosa stesse davvero succedendo e riferissero in proposito. In
verità nessuno va mai a verificare cosa accade. Quando succede qualcosa, la
redazione chiama, invia per fax o e-mail comunicati-stampa già confezionati e
il corrispondente in loco li rimbalza con parole sue, commentandoli alla radio
o TV, oppure ne fa un articolo per il giornale di riferimento. Le notizie
vengono nastro-trasportate. Su qualsiasi argomento o evento i corrispondenti
aspettano in fondo al tapis-roulant, fingendo di aver prodotto qualcosa, ma è
tutto falso”.
In altre parole, il corrispondente solitamente non è in grado di produrre
inchieste indipendenti e si limita a rimodellare resoconti confezionati nelle
redazioni o da una delle tre agenzie. È così che nasce l’effetto mainstream.
Ci si potrebbe chiedere perché i giornalisti non provano a produrre
inchieste indipendenti. Luyendijk scrive in proposito: “ho provato a farlo,
ma ogni volta, a turno, le tre sorelle intervenivano sulla redazione e
imponevano la loro storia, punto“[9]. Talvolta alla TV alcuni giornalisti
mostrano una preparazione che suscita ammirazione, perché rispondono con
competenza e disinvoltura a domande difficili. La ragione, tuttavia, è banale:
conoscono in anticipo le domande. Quello che si vede è puro teatro[10]. Talora, per
risparmiare, alcuni media si servono dei medesimi corrispondenti e in tal caso
i reportage che giungono alle testate sono due gocce d’acqua.
Nel libro The Business of News, Manfred Steffens, ex-redattore
dell’agenzia tedesca DPA, afferma “non si capisce la ragione per la quale
una notizia sarebbe attendibile se ne viene citata la fonte. Anzi, può esser
vero il contrario, poiché la responsabilità viene in tal caso attribuita alla
fonte citata, potenzialmente altrettanto inattendibile[11]“.
Ciò che le agenzie ignorano non è mai avvenuto. Nella guerra in Siria,
l’Osservatorio siriano per i diritti
umani – un’organizzazione di scarsa indipendenza, con sede a
Londra e finanziata dal governo britannico[12] – ha avuto un
ruolo di primo piano. L’Osservatorio ha inviato i suoi reportage
alle tre agenzie, che li hanno inoltrati ai media, i quali a loro volta
hanno informato milioni di lettori e telespettatori in tutto
il mondo. La ragione per la quale le agenzie hanno fatto riferimento a
tale Osservatorio – e chi lo finanziava – resta tuttora
misteriosa.
Mentre alcuni temi sono semplicemente ignorati, altri sono enfatizzati,
anche se non dovrebbero esserlo: “una plateale falsità o una messa in scena[13] sono digerite senza obiezioni
davanti alla presunta rispettabilità di una blasonata agenzia di stampa o una
rinomata testata, poiché in questi casi il senso critico tende a sfiorare lo
zero[14]”. Tra gli attori più
efficaci nell’iniettare menzogne troviamo i ministeri della difesa (in
Occidente tutti a vario modo penetrati dall’intelligence Usa).
Nel 2009, il capo dell’agenzia AP, Tom Curley, ha pubblicamente affermato che il Pentagono impiegava oltre 27.000 specialisti
in pubbliche relazioni che con un budget annuale di cinque miliardi di
dollari diffondevano quotidianamente informazioni manipolate (da allora budget
e numero di specialisti sono cresciuti di molto!). Le agenzie di sicurezza
americane hanno l’abitudine di raccogliere e distribuire a giornali e TV
informazioni create a tavolino con una tecnica che rende impossibile conoscerne
l’origine, facendo ricorso a formule quali ‘secondo fonti d’intelligence, secondo
quanto confidenzialmente trapelato o lasciato intendere da
questo o quel generale, e così via”[15].
Nel 2003, dopo l’inizio della guerra in Iraq, Ulrich Tilgner, veterano del
Medio Oriente per TV tedesche e svizzere, ha parlato dell’attività
manipolatoria dei militari e del ruolo dei media. “Con l’aiuto
di questi ultimi, i militari costruiscono la percezione pubblica e la usano per
i loro scopi, diffondendo scenari inventati. In questo genere di guerra, gli
strateghi mediatici statunitensi svolgono una funzione simile a quella dei
piloti dei bombardieri”.
Ciò che è noto all’esercito Usa lo è anche ai servici d’intelligence.
In tema di disinformazione, un ex-funzionario dell’intelligence Usa e un
corrispondente della Reuters hanno riferito quanto segue alla TV
britannica Channel 4: “Un ex-agente della Cia, John Stockwell, ha rivelato[16] che occorreva far sembrare la
guerra angolana come un’aggressione nemica. Per tale ragione abbiamo sostenuto
in ogni paese coloro che condividevano questa tesi. Un terzo del mio staff era
formato da diffusori di propaganda, pagati per inventare storie e trovare il
modo per farle arrivare alla stampa. Di solito, le redazioni dei giornali
occidentali non sollevano dubbi quando ricevono notizie in linea con la narrazione
dominante. Abbiamo inventato tante storie, che stanno ancor in piedi, ma è
tutta spazzatura[17]“.
Fred Bridgland[18], riferendo del suo
lavoro come corrispondente di guerra per la Reuters, afferma: “abbiamo
basato i nostri rapporti sulle comunicazioni ufficiali. Solo alcuni anni dopo
siano stati informati che un piccolo esperto di disinformazione della Cia da
una scrivania situata in un’ambasciata degli Stati Uniti produceva comunicati
che non avevano alcuna relazione con la verità o i fatti sul campo.
Fondamentalmente, per dirla in modo crudo, puoi fabbricare qualsiasi schifezza
e farla pubblicare su un giornale“.
I servizi d’intelligence, certamente, dispongono di un’infinità di contatti
per far passare le loro menzogne, ma senza il ruolo servizievole delle
tre agenzie in questione, la sincronizzazione mondiale della propaganda e della
disinformazione non sarebbe così efficace[19]. Attraverso questo
meccanismo moltiplicatore, racconti interamente fabbricati da
governi, servizi militari e d’intelligence raggiungono il pubblico senza alcun
filtro. La professione del cosiddetto giornalista meainstream,
ormai ridotta a strapuntino del potere, si concretizza nel
rabberciare, sulla scorta di veline elaborate altrove,
questioni complesse di cui sanno poco o nulla in un linguaggio privo di logica
fattuale e indicazione di fonti.
Per l’ex-giornalista di AP, Herbert Altschull, “secondo la prima legge
del giornalismo i mezzi d’informazione sono ovunque uno strumento del
potere politico e/o economico. Giornali, periodici, stazioni radiofoniche e
televisive di mainstream non operano mai in modo indipendente, anche quando ne
avrebbero la possibilità”[20].
Sino a poco fa, la libertà di stampa era ancor più teorica, date le elevate
barriere d’ingresso, le licenze da ottenere, le frequenze da negoziare, i
finanziamenti e le infrastrutture tecniche necessarie, i pochi canali
disponibili, la pubblicità da raccogliere e altre restrizioni. Oggi, grazie a
Internet, la prima legge di Altschull è stata parzialmente
infranta. È così emerso un giornalismo di qualità finanziato dai lettori, di
livello superiore rispetto ai media tradizionali, in termini di capacità
critica e indipendenza.
Ciononostante, i media tradizionali restano cruciali, poiché disponendo di
risorse ben più copiose sono in grado di catturare una moltitudine di lettori
anche online. E tale capacità è collegata al ruolo delle tre
agenzie, i cui aggiornamenti al minuto costituiscono la spina dorsale della
maggior parte dei siti mainstream reperibili in rete.
In quale misura il potere politico ed economico, secondo la legge
di Altschull, riuscirà a mantenere il controllo dell’informazione davanti
all’avanzare di notizie incontrollate, cambiando così la struttura
del potere e almeno in parte la consapevolezza della popolazione, solo il
futuro potrà dirlo. Se si guarda ai rapporti di forza l’esito parrebbe
scontato. L’uomo resta, tuttavia, arbitro del proprio destino. La lotta è
sempre in corso.
Gli operatori mediatici internazionali
Noam Chomsky, forse il più grande intellettuale vivente, nel suo saggio “What makes the
mainstream media mainstream“, afferma che: “se rompi gli
schemi il potere ha molti modi per rimetterti in riga. Eppure, si può e si deve
comunque reagire[21]. Alcuni grandi
giornalisti affermano che nessuno ha mai detto loro cosa scrivere.
Chomsky chiarisce così tale
apparente contraddizione: “costoro non sarebbero lì se non avessero già
dimostrato di scrivere o dire ogni volta, e spontaneamente, la cosa giusta. Se
avessero iniziato la carriera scrivendo cose sbagliate, non sarebbero mai
arrivati nel luogo dove ora possono dire, in apparenza, ciò che vogliono. Lo
stesso vale per le facoltà universitarie nelle discipline che contano“[22].
Il giornalista britannico John Pilger[23], noto per le sue inchieste
coraggiose, scrive di aver incontrato negli anni Settanta una delle principali
propagandiste del regime di Hitler, Leni Riefenstahl, secondo la quale per
giungere alla totale sottomissione del popolo tedesco era stato necessario, ma
non difficile, manipolare le menti della borghesia liberale e istruita;
il resto era venuto in automatico.
La tragedia di tale scenario è che gli accadimenti di valenza politica,
geopolitica o economica con risvolti internazionali (ma in genere tutti gli
argomenti sensibili) vengono accolti con minimo senso critico. I
media occidentali vivono di pubblicità (corporazioni private) o di sovvenzioni pubbliche,
e riflettono gli interessi della narrativa atlantica, sotto l’egida
dell’architettura economica e di sicurezza americana.
I mass-media hanno l’obiettivo di distogliere le persone
dalle questioni centrali: “puoi pensare quel che vuoi, ma siamo noi che
gestiamo lo spettacolo. Lascia che s’interessino di sport, di cronaca, scandali
sessuali, problemi delle celebrità, della finta dialettica governo-opposizioni,
ma non di cose serie, poiché quelle sono riservate ai grandi“.
Inoltre, le persone-chiave dei media principali vengono cooptate dall’élite
transatlantica, ottenendo in cambio carriere e posizioni. I circoli ristretti del
potere transnazionale – quali il Council for Foreign Relations, il Gruppo
Bilderberg, la Commissione Trilaterale, l’Aspen Institute, il World Economic
Forum, Chatham House e altri – reclutano a man bassa operatori mediatici (i
nomi degli italiani, insieme agli uomini politici, sono disponibili in rete).
Per Chomsky le università non fanno la differenza. La narrazione prevalente
riflette quella mainstream. Esse non sono indipendenti. Possono esserci
professori indipendenti, e questo vale anche per i media, ma l’istituzione come
tale non lo è, poiché dipende da finanziamenti esterni o dal governo (a sua
volta piegato ai menzionati poteri). Coloro che non si conformano sono
accantonati strada facendo. Il sistema premia conformismo e obbedienza. Nelle
università si apprendono le buone maniere, in particolare come interloquire con
i rappresentanti delle classi superiori. È così che, senza dover ricorrere alla
menzogna esplicita, l’accademia e i media interiorizzano valori e posture del
potere da cui dipendono.
Come noto, ne La fattoria degli animali George Orwell fa
una satira spietata dell’Unione Sovietica. Trent’anni dopo si scopre però che,
nell’introduzione da lui scritta a suo tempo, e che qualcuno aveva soppresso,
egli scriveva “la censura letteraria in Inghilterra è efficace come quella
di un sistema totalitario, sola la tecnica è diversa, anche qui, a
ulteriore evidenza che le menti indipendenti, quelle che generano riflessioni
sbagliate, vengono ovunque ostacolate o estirpate.
Il Presidente statunitense Woodrow Wilson fu eletto nel 1916 su una
piattaforma contro la guerra. La gente non voleva combattere guerre
altrui. Pace senza vittoria, dunque senza guerra, era stato lo
slogan. Una volta eletto, Wilson cambiò idea e si pose la domanda: come
si fa a convertire una nazione pacifista in una disposta a far la guerra ai
tedeschi? Fu così istituita la prima, e formalmente unica, agenzia di
propaganda statale nella storia degli Stati Uniti, il Comitato per
l’Informazione Pubblica (bel titolo orwelliano!), chiamato Commissione Creel,
dal nome del suo direttore. L’obiettivo di spingere la popolazione nell’isteria
bellicista e sciovinista fu raggiunto senza troppe difficoltà. In pochi mesi
gli Stati Uniti entrarono in guerra. Tra coloro che furono impressionati da
tale successo, troviamo anche Adolf Hitler. In Mein Kampf, questi
afferma che la Germania fu sconfitta nella Prima guerra mondiale perché perse
la battaglia dell’informazione, e promise: la prossima volta sapremo
reagire con un adeguato sistema di propaganda, come in affetti avvenne
quando giunse al potere.
Walter Lippmann, esponente di punta della Commissione Creel tra i più rispettati
del giornalismo americano per circa mezzo secolo, affermava: “in democrazia
esiste un’arte chiamata fabbricazione del consenso”, che non ha
beninteso nulla di democratico. “Se si riesce a farla funzionare, si può
accettare persino il rischio che il popolo vada a votare. Con adeguato consenso
si riesce a rendere irrilevante anche il voto. Affinché gli umori siano
allineati ai desideri di chi comanda occorre mantenere l’illusione che sia il
popolo a scegliere governi e orientamenti politici. In tal modo, la democrazia
funzionerà come deve. Ecco cosa significa applicare la lezione della propaganda”.
Del resto, James Madison, uno dei padri della costituzione americana, affermava
che l’obiettivo principale del sistema era quello di proteggere la
minoranza dei ricchi contro la maggioranza dei poveri. E ancora una volta,
a tal fine, lo strumento principe era la propaganda.
Il già citato John Pilger ricorda[24] che negli ultimi
70 anni gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare oltre
cinquanta governi, in gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni
democratiche di una trentina di Paesi. Hanno bombardato le popolazioni di
trenta nazioni, la maggior parte povere e indifese. Hanno tentato di
assassinare i dirigenti politici di una cinquantina di stati
sovrani. Hanno finanziato o sostenuto la repressione contro movimenti di
liberazione nazionale in una ventina paesi. La portata e l’ampiezza di questa
carneficina viene evocata ogni tanto, ma subito accantonata, mentre i
responsabili continuano a dominare la vita politica americana.
Lo scrittore statunitense Harold Pinter, ricevendo il premio Nobel per la
letteratura nel 2005, aveva affermato: “la politica estera degli Stati Uniti
si può definire come segue: baciami il culo o ti spacco la testa. Essa è
semplice e cruda, e l’aspetto interessante è che funziona perché gli Usa hanno
risorse, tecnologie e armi per spargere disinformazione attraverso una retorica
distorsiva, riuscendo a farla franca. Essi sono dunque persuasivi, specie agli
occhi degli sprovveduti e dei governi sottomessi. In definitiva, si tratta di
una montagna di menzogne, ma funziona. I crimini degli Stati Uniti sono
sistematici, costanti, feroci, senza remore, ma pochissime persone ne parlano e
ne prendono coscienza. Essi manipolano in modo patologico il mondo intero,
presentandosi come paladini del Regno del Bene. Un meccanismo di ipnosi
collettiva che è sempre all’opera”.
Il lavaggio del cervello è sofisticato e va chiamato con il suo vero nome,
se vi vuole contenerne gli effetti letali. I limitati spazi, un tempo aperti
anche alle intelligenze controcorrente, si sono chiusi. Siamo in attesa di
uomini valorosi, come negli anni Trenta contro il fascismo, insieme a
intellettuali (quelli autentici), agli indignati, alle menti inquiete, a coloro
che hanno pietà per i propri simili, a chi non deve vendere l’anima per dare un
senso all’esistenza. La catarsi di una rivoluzione culturale, che resta
il sale della storia, un giorno potrebbe forse indurci a gridare insieme a voce
alta: basta, lorsignori, adesso basta! D’ora in avanti, il popolo spegne i
vostri funesti apparati, generatori di menzogne e turpitudini, e torna a
calpestare i sentieri della verità e della vita. Si sta facendo tardi, non c’è
più molto tempo.
[1] “La supremazia
di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione
intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che
tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente
dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente
già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni
principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere
ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare
ad essere anche dirigente” (Quaderni del carcere, Il Risorgimento,
p. 70).
[2] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier/
[3] Russia Today e
Sputnik sono raggiungibili se si accede dal motore di ricerca Brave e da
cellulari
[4] Hammler
riferisce ad esempio che, secondo un rapporto sulla copertura della guerra in
Siria (iniziata nel 2011) da parte di nove grandi testate europee, il 78% degli
articoli erano copiati in tutto o in parte dai resoconti di una di queste
agenzie. Nessun articolo era basato su ricerche indipendenti. Di conseguenza,
ça va sans dire, l’82% degli articoli pubblicati era a favore dell’intervento
militare di Stati Uniti-Nato.
[5] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier
[6] Höhne 1977, p.
11.
[7] Blum 1995, p. 9
[8] Per dieci anni
redattore dell’emittente TV tedesca ARD
[9] Luyendijk p.54ff
[10] Luyendjik 2009,
p. 20-22, 76, 189
[11] Steffens 1969,
p. 106
[12] https://en.wikipedia.org/wiki/Syrian_Observatory_for_Human_Rights
[13] Blum 1995, p. 16
[14] Steffens 1969,
p. 234
[15] Tilgner 2003, p.
132
[16] https://swprs.org/the-cia-and-the-media/
[17] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier/
[18] Fred Bridgland –
Wikipedia
[19] È istruttivo
scorrere le informazioni che si trovano su questo sito
https://swprs.org/media-navigator/.
[20] (Altschull
1984/1995, p. 298)
[21] Chomsky
1997, Cosa rende mainstream i media mainstream
[22] Chomsky 1997
[23] https://cambiailmondo.org/2022/12/28/il-silenzio-degli-innocenti-come-funziona-la-propaganda/
[24] https://cambiailmondo.org/2022/12/28/il-silenzio-degli-innocenti-come-funziona-la-propaganda/
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