martedì 21 febbraio 2023

Forza lavoro autoctona e migrante, sfruttamento e riduzione del potere di acquisto - Federico Giusti

 

 

La libera circolazione di merci e di capitali ha favorito l’arrivo di nuovi e maggiori flussi migratori che hanno determinato l’acuirsi di alcune contraddizioni anche in seno alla classe operaia.  Veniamo da anni bui per un pensiero critico, in materia di immigrazione la bussola di orientamento è stata rappresentata dai diritti umani o al massimo quelli civili, un approccio umanitario di stampo cattolico progressista (assai più avanzato, per intenderci, del pensiero democratico americaneggiante se non proprio liberista del centro sinistra) che non ha saputo indagare alcuni aspetti dirimenti dei flussi migratori.

Se vogliamo entrare nel merito delle questioni non possiamo eludere alcuni fatti storici come il crollo del Muro di Berlino, le politiche di assalto neo liberiste che hanno spinto all’immigrazione i popoli dell’est Europa, le guerre scatenate dalla Nato che a loro volta hanno disegnato nuove rotte immigratorie (ad esempio dalla Siria e dai paesi africani).

Se  poi pensiamo alla Ue  dovremmo aprire prima una seria riflessione sugli interessi reali che hanno portato al pareggio di bilancio nella Costituzione Italiana, ai flussi migratori verso i paesi europei alimentati anche dalla necessità di alcuni paesi di quella manodopera a basso costo indispensabile per le loro aziende. Il rapporto tra guerra e immigrazione dovrebbe alimentare la nostra analisi; basterebbe guardare ai numeri della popolazione ucraina in uscita verso i paesi Ue, da qui ogni ulteriore considerazione sul ruolo della Nato.  Proviamo allora a riflettere, in maniera  volutamente schematica, su alcuni punti dirimenti per non farci sommergere da una lettura parziale e spesso acritica.

  • Tra il 2004 e il 2007, prima della crisi del 2008, sono arrivati circa 170 mila migranti dall’est europeo ridisegnando in sostanza la mappa dei flussi migratori, numeri oggi in forte discesa anche per il calo demografico nei paesi in questione.  Per anni alcune nazioni Ue avevano una immigrazione  “controllata” proveniente dalle loro ex colonie, una sorta di afflusso guidato da richieste contingenti dei settori economici. Al contempo si registra anche una immigrazione interna ai paesi Ue, dal Mediterraneo all’Europa centrale e nordica, immigrazione che a partire dagli anni novanta del secolo scorso viene comunque ridimensionata rispetto ai flussi provenienti da altre aree del globo. I processi di delocalizzazione produttiva verso l’est Europeo sono stati determinanti per costruire anche alcune politiche in materia di immigrazione ristrettive, paesi come Ungheria e Polonia per anni sono stati feroci controllori delle loro frontiere e leggi liberticide si sono estese anche al lavoro per contenere il potere di contrattazione e la libera organizzazione sindacale. Di questo dovremmo parlare ogni qual volta si affronta la questione immigrazione senza dimenticare che il crollo del Muro di Berlino è stato un fattore determinante per i flussi dall’Est europeo verso i paesi più ricchi del vecchio continente
  • La fascia di età dei migranti è  in prevalenza assoluta under trenta e per questo diventa un formidabile esercito industriale di riserva nevralgico per il capitalismo, specie per quei paesi economicamente più forti e bisognosi di manodopera a basso costo che hanno alternato politiche di delocalizzazioni a processi immigratori. Ma in tempi di crisi economica e di crisi della produzione l’apporto della forza lavoro migrante diventa anche un fattore di crisi sociale alimentata dalla propaganda xenofoba e razzista
  • Il sistema di welfare prefigurato delle destre come quella di Meloni potremmo definirlo un sorta di stato sociale nazionalista che guarda essenzialmente alle fasce più vecchie della popolazione,  se pensiamo ai provvedimenti adottati in alcuni paesi si capisce che lo stato sociale è stato disegnato a salvaguardia degli autoctoni e di conseguenza i migranti, in gran parte giovani, vengono di fatto esclusi al pari dei coetanei autoctoni . Se  ci limitiamo all’Italia diventa emblematica la cancellazione del RdC che include, pur in numeri esigui, migranti con regolare permesso di soggiorno, ergo possiamo asserire che i flussi migratori non sono stati accompagnati dalla riorganizzazione dello stato sociale e da misure di sostegno attivo al lavoro. Altri paesi come Francia e Germania, ma anche la Gb, si sono mossi diversamente, per questo non mancano contraddizioni e frizioni tra i paesi Ue in materia di politiche immigratorie, tutto dipende dalla forza economica e dal bisogno di forza lavoro.
  •  L’arrivo dei migranti in Italia è servito anche per rallentare il calo demografico ma la regolarizzazione di tutti sarebbe  stata insostenibile per un welfare deficitario come il nostro oltre ai pregiudizi ideologici determinati dal motto “prima gli italiani”. Non a caso la confusione ideologica ha regnato per anni con settori del centro sinistra in sintonia con le ronde anti immigrati della Lega. Ricordiamoci sempre che l’invecchiamento demografico è anche un problema economico per il capitalismo e le società europee devono fare i conti con esso pensando, in tempi brevi, a misure di welfare analoghe nei vari paesi UE ma questo disegno si è infranto proprio in virtu’ delle regole di Maastricht e dei processi speculativi che hanno messo in ginocchio alcuni paesi impoveriti sotto il giogo del ricatto finanziario (vedi la Grecia)
  • Teniamo conto che gli immigrati di seconda e terza generazione stanno assumendo le medesime abitudini riproduttive proprie dei paesi di accoglienza quindi il problema dell’invecchiamento della popolazione europea sta diventando generale.  I flussi immigratori sono stati indirizzati verso le aree metropolitane e in alcuni paesi interi quartieri periferici, degradati per lo più, vedono la presenza di un nuovo proletariato con presenze numeriche importanti di immigrati. 
  • Il sovranismo identitario è nato sia sulla spinta dell’anticomunismo e della subalternità ai dettami economici capitalisti ma anche perché in alcune nazioni la percentuale dei migranti, in pochi anni, è cresciuta a tal misura da essere dipinta come una minaccia sociale (da qui l’imposizione di ordine e sicurezza e politiche securitarie che colpiscono indistintamente autoctoni e migranti , politiche sovente costruite dai governi di centro sinistra portando acqua al mulino delle destre sociali e poltiche);
  • Vale per i migranti come per gli autoctoni in alcuni paesi più economicamente deboli, tra i quali l’Italia, il ricorso al part time involontario per le donne che rappresenta un problema rilevante per alcune aree industriali. E la precarizzazione del lavoro ha indebolito prima le classi lavoratrici autoctone e poi si è estesa ai migranti. Ma è proprio la precarietà ad avere determinato quel senso di esclusione delle classi popolari autoctone che si sono spostate a destra come dimostrano i flussi elettorali degli ultimi 20 anni.
  • Quando parliamo di classe lavoratrice dovremmo saper guardare alla sua composizione etnica; negli ultimi 20 anni, anche a causa delle guerre Nato e occidentali, sono arrivati migranti in età da lavoro. I tassi di partecipazione al mercato del lavoro non sono per tutti i migranti uguali e presentano differenze marcate da paese a paese dentro la Ue.
  •  L’arrivo dei migranti ha oggettivamente avuto ripercussioni negative sui salari degli indigeni, la questione non va affrontata con paraventi ideologici ma con dati oggettivi , la solidarietà di classe è entrata in crisi non solo per l’attacco padronale e la divisione della forza lavoro nella stagione delle privatizzazioni ma anche per altre ragioni. E’ emblematico che negli appalti dei servizi e delle industrie la forza lavoro precaria e sfruttata si registri un’elevata percentuale di migranti.
  • La scelta di favorire l’immigrazione in alcuni paesi è stata funzionale a ridurre i salari e a costruire meccanismi di ricatto padronale anche facendo leva sui permessi di soggiorno e attraverso normative in materia di immigrazione alquanto inique e vessatorie (una forza lavoro ricattata e per lo più silente, era questo l’obiettivo non dichiarato dei padroni. Non è casuale che perfino una discussione sulla regolamentazione dei flussi migratori, in alcuni ambienti politici, sia stata inficiata dalle richieste padronali).
  • L’arrivo dei migranti, impiegati per lo più nei settori di specializzazione medio-bassa, ha in parte modificato la composizione etnica della forza lavoro spingendo al contempo il mercato del lavoro verso impieghi sottopagati, il fatto che ci siano norme restrittive in materia di lavoro è anche legato alla necessità di tenere a bada questo esercito industriale di riserva mettendo in competizione lavoratori autoctoni e immigrati con bassa scolarizzazione e destinati ad occupazioni senza specializzazione. 
  • Alcuni settori dell’economia italiana sono ormai dipendenti dai bassi salari ove opera anche la forza lavoro migrante il che favorisce  un clima di odio e disprezzo sul quale soffiano le destre che non a caso oggi, nel settore della ristorazione e del turismo, ripropongono il voucher che torna comodo ai padroni del settore per abbassare ulteriormente il costo della forza lavoro.
  • Ricordiamoci di Orban, uno dei capisaldi del sovranismo identitario: l’Ungheria ha approvato una legge che vieta il diritto di sciopero, nel paese le delocalizzazioni produttive tedesche sono state particolarmente forti e per questo anche le politiche vessatorie contro i migranti sono state accompagnate dal silenzio assenso della Ue. Non dimentichiamo poi della tendenza a impiegare forza lavoro sempre nuova per corrispondere salari decisamente più bassi – sempre nel caso in cui siano regolari le retribuzioni. Da qui il fatidico mito liberista del cambiare lavoro con estrema frequenza, una ideologia plasmata sullo sfruttamento della classe. Resta il fatto che se i padroni sono favorevoli in certe fasi all’incremento dei flussi migratori, ciò avviene per acquisire un esercito industriale di riserva da impiegare a basso costo lasciando al sindacato il ruolo di calmiere sociale.
  •  L’arrendevolezza e la subalternità sindacale ai datori è anche funzionale all’abbassamento del costo del lavoro in cambio di elementi compensativi come previdenza e sanità integrativa, per poi affermare una contrattazione di secondo livello decisamente a ribasso tra deroghe ai contratti nazionali e scambi diseguali tra porzioni miserrime di salario a grandi incrementi della produttività
  •  Viviamo in società alle prese con una crescita economica contenuta se non proprio in fase recessiva, la carenza dell’offerta occupazionale porta inevitabilmente spazio alle culture regressive delle destre e a forme di razzismo e di odio sociale.
  • Urge aprire una riflessione sui lavoratori a bassa qualifica dentro i quali la componente migrante ha un forte peso, per evitare in futuro di riprodurre gli schemi ideologici perdenti del recente passato. La questione non va inquadrata nella competizione tra forza lavoro migrante e autoctona ma come tendenza alla riduzione del costo del lavoro, al sopravvento della precarietà e ricattabilità della forza lavoro meno specializzata
  •  Non è errato pensare a una divisione della forza lavoro tra specializzati e non, tra alte e basse qualifiche, la nostra impressione è che negli ultimi lustri si sia allargata la forbice salariali tra gli uni e gli altri alimentata anche da politiche fiscali che escludono in partenza ogni ridistribuzione della ricchezza per favorire invece una società basata sulla disuguaglianza strutturale.  E non a caso anche i flussi elettorali dimostrano che la classe autoctona più bassa e maggiormente sfruttata esprime da tempo consensi verso le destre mentre le fasce più abbienti della popolazione , specie nelle aree metropolitane, sono lo zoccolo duro del centro sinistra. Anche di questo dobbiamo tenere conto.
  • Sullo sfondo delle politiche migratorie, dentro i processi di ristrutturazione, è avvenuta non solo la tendenza al ribasso dei salari ma anche la loro perdita del potere di acquisto e piu’ in generale l’indebolimento dello strumento sindacale e del potere contrattuale . 

Lo ripetiamo per non essere travisati: la riduzione del potere di acquisto e di contrattazione, i salari al ribasso, la ricattabilità estrema della forza lavoro non sono causate dai flussi migratori ma dalla gestione dell’immigrazione nell’economia capitalistica. Da qui la urgenza di costruire sul campo forme di solidarietà attiva e di classe dentro vertenze e lotte sociali unificanti tra autoctoni sfruttati e forza lavoro migrante e prima ancora di comprendere i cambiamenti avvenuti senza paraventi ideologici e moralisteggianti.

bibliografia di riferimento:

A. Barba – M. Pivetti, Il lavoro importato, Meltemi 2019

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