La libera circolazione di merci e di
capitali ha favorito l’arrivo di nuovi e maggiori flussi migratori che hanno
determinato l’acuirsi di alcune contraddizioni anche in seno alla classe
operaia. Veniamo da anni bui per un pensiero critico, in materia di
immigrazione la bussola di orientamento è stata rappresentata dai diritti umani
o al massimo quelli civili, un approccio umanitario di stampo cattolico
progressista (assai più avanzato, per intenderci, del pensiero democratico
americaneggiante se non proprio liberista del centro sinistra) che non ha
saputo indagare alcuni aspetti dirimenti dei flussi migratori.
Se vogliamo entrare nel merito delle questioni non possiamo eludere alcuni
fatti storici come il crollo del Muro di Berlino, le politiche di assalto neo
liberiste che hanno spinto all’immigrazione i popoli dell’est Europa, le guerre
scatenate dalla Nato che a loro volta hanno disegnato nuove rotte immigratorie
(ad esempio dalla Siria e dai paesi africani).
Se poi pensiamo alla Ue dovremmo aprire prima una seria
riflessione sugli interessi reali che hanno portato al pareggio di bilancio
nella Costituzione Italiana, ai flussi migratori verso i paesi europei
alimentati anche dalla necessità di alcuni paesi di quella manodopera a basso
costo indispensabile per le loro aziende. Il rapporto tra guerra e immigrazione
dovrebbe alimentare la nostra analisi; basterebbe guardare ai numeri della
popolazione ucraina in uscita verso i paesi Ue, da qui ogni ulteriore
considerazione sul ruolo della Nato. Proviamo allora a riflettere, in
maniera volutamente schematica, su alcuni punti dirimenti per non farci
sommergere da una lettura parziale e spesso acritica.
- Tra il
2004 e il 2007, prima della crisi del 2008, sono arrivati circa 170 mila
migranti dall’est europeo ridisegnando in sostanza la mappa dei flussi
migratori, numeri oggi in forte discesa anche per il calo demografico nei
paesi in questione. Per anni alcune nazioni Ue avevano una immigrazione “controllata”
proveniente dalle loro ex colonie, una sorta di afflusso guidato da
richieste contingenti dei settori economici. Al contempo si registra anche
una immigrazione interna ai paesi Ue, dal Mediterraneo all’Europa centrale
e nordica, immigrazione che a partire dagli anni novanta del secolo scorso
viene comunque ridimensionata rispetto ai flussi provenienti da altre aree
del globo. I processi di delocalizzazione produttiva verso l’est Europeo
sono stati determinanti per costruire anche alcune politiche in materia di
immigrazione ristrettive, paesi come Ungheria e Polonia per anni sono
stati feroci controllori delle loro frontiere e leggi liberticide si sono
estese anche al lavoro per contenere il potere di contrattazione e la
libera organizzazione sindacale. Di questo dovremmo parlare ogni qual
volta si affronta la questione immigrazione senza dimenticare che il
crollo del Muro di Berlino è stato un fattore determinante per i flussi
dall’Est europeo verso i paesi più ricchi del vecchio continente
- La fascia
di età dei migranti è in prevalenza assoluta under trenta e
per questo diventa un formidabile esercito industriale di riserva
nevralgico per il capitalismo, specie per quei paesi economicamente più
forti e bisognosi di manodopera a basso costo che hanno alternato
politiche di delocalizzazioni a processi immigratori. Ma in tempi di crisi
economica e di crisi della produzione l’apporto della forza lavoro
migrante diventa anche un fattore di crisi sociale alimentata dalla
propaganda xenofoba e razzista
- Il sistema
di welfare prefigurato delle destre come quella di Meloni potremmo
definirlo un sorta di stato sociale nazionalista che guarda
essenzialmente alle fasce più vecchie della popolazione, se pensiamo
ai provvedimenti adottati in alcuni paesi si capisce che lo stato sociale
è stato disegnato a salvaguardia degli autoctoni e di conseguenza i
migranti, in gran parte giovani, vengono di fatto esclusi al pari dei
coetanei autoctoni . Se ci limitiamo all’Italia diventa emblematica
la cancellazione del RdC che include, pur in numeri esigui, migranti con
regolare permesso di soggiorno, ergo possiamo asserire che i flussi
migratori non sono stati accompagnati dalla riorganizzazione dello stato
sociale e da misure di sostegno attivo al lavoro. Altri paesi come Francia
e Germania, ma anche la Gb, si sono mossi diversamente, per questo non
mancano contraddizioni e frizioni tra i paesi Ue in materia di politiche
immigratorie, tutto dipende dalla forza economica e dal bisogno di forza
lavoro.
- L’arrivo
dei migranti in Italia è servito anche per rallentare il calo
demografico ma la regolarizzazione di tutti sarebbe stata
insostenibile per un welfare deficitario come il nostro oltre ai
pregiudizi ideologici determinati dal motto “prima gli italiani”. Non a
caso la confusione ideologica ha regnato per anni con settori del centro
sinistra in sintonia con le ronde anti immigrati della Lega. Ricordiamoci
sempre che l’invecchiamento demografico è anche un problema economico per
il capitalismo e le società europee devono fare i conti con esso pensando,
in tempi brevi, a misure di welfare analoghe nei vari paesi UE ma questo
disegno si è infranto proprio in virtu’ delle regole di Maastricht e dei
processi speculativi che hanno messo in ginocchio alcuni paesi impoveriti
sotto il giogo del ricatto finanziario (vedi la Grecia)
- Teniamo
conto che gli immigrati di seconda e terza generazione stanno assumendo le
medesime abitudini riproduttive proprie dei paesi di accoglienza quindi il
problema dell’invecchiamento della popolazione europea sta diventando
generale. I flussi immigratori sono stati indirizzati verso le aree
metropolitane e in alcuni paesi interi quartieri periferici, degradati per
lo più, vedono la presenza di un nuovo proletariato con presenze numeriche
importanti di immigrati.
- Il sovranismo identitario
è nato sia sulla spinta dell’anticomunismo e della subalternità ai dettami
economici capitalisti ma anche perché in alcune nazioni la percentuale dei
migranti, in pochi anni, è cresciuta a tal misura da essere dipinta come
una minaccia sociale (da qui l’imposizione di ordine e sicurezza e
politiche securitarie che colpiscono indistintamente autoctoni e migranti
, politiche sovente costruite dai governi di centro sinistra portando
acqua al mulino delle destre sociali e poltiche);
- Vale
per i migranti come per gli autoctoni in alcuni paesi più economicamente
deboli, tra i quali l’Italia, il ricorso al part time involontario per
le donne che rappresenta un problema rilevante per alcune aree
industriali. E la precarizzazione del lavoro ha indebolito prima le classi
lavoratrici autoctone e poi si è estesa ai migranti. Ma è proprio la
precarietà ad avere determinato quel senso di esclusione delle classi
popolari autoctone che si sono spostate a destra come dimostrano i flussi
elettorali degli ultimi 20 anni.
- Quando
parliamo di classe lavoratrice dovremmo saper guardare alla sua
composizione etnica; negli ultimi 20 anni, anche a causa delle guerre Nato
e occidentali, sono arrivati migranti in età da lavoro. I tassi di
partecipazione al mercato del lavoro non sono per tutti i migranti uguali
e presentano differenze marcate da paese a paese dentro la Ue.
- L’arrivo
dei migranti ha oggettivamente avuto ripercussioni negative sui
salari degli indigeni, la questione non va affrontata con paraventi
ideologici ma con dati oggettivi , la solidarietà di classe è entrata in
crisi non solo per l’attacco padronale e la divisione della forza lavoro
nella stagione delle privatizzazioni ma anche per altre ragioni. E’
emblematico che negli appalti dei servizi e delle industrie la forza
lavoro precaria e sfruttata si registri un’elevata percentuale di
migranti.
- La
scelta di favorire l’immigrazione in alcuni paesi è stata funzionale
a ridurre i salari e a costruire meccanismi di ricatto padronale anche
facendo leva sui permessi di soggiorno e attraverso normative in materia
di immigrazione alquanto inique e vessatorie (una forza lavoro ricattata e
per lo più silente, era questo l’obiettivo non dichiarato dei padroni. Non
è casuale che perfino una discussione sulla regolamentazione dei flussi
migratori, in alcuni ambienti politici, sia stata inficiata dalle
richieste padronali).
- L’arrivo
dei migranti, impiegati per lo più nei settori di specializzazione
medio-bassa, ha in parte modificato la composizione etnica della forza
lavoro spingendo al contempo il mercato del lavoro verso impieghi
sottopagati, il fatto che ci siano norme restrittive in materia di lavoro
è anche legato alla necessità di tenere a bada questo esercito industriale
di riserva mettendo in competizione lavoratori autoctoni e immigrati con
bassa scolarizzazione e destinati ad occupazioni senza
specializzazione.
- Alcuni
settori dell’economia italiana sono ormai dipendenti dai bassi salari ove opera
anche la forza lavoro migrante il che favorisce un clima di odio e
disprezzo sul quale soffiano le destre che non a caso oggi, nel settore
della ristorazione e del turismo, ripropongono il voucher che torna comodo
ai padroni del settore per abbassare ulteriormente il costo della forza
lavoro.
- Ricordiamoci
di Orban, uno dei capisaldi del sovranismo identitario: l’Ungheria ha
approvato una legge che vieta il diritto di sciopero, nel paese le
delocalizzazioni produttive tedesche sono state particolarmente forti e
per questo anche le politiche vessatorie contro i migranti sono state
accompagnate dal silenzio assenso della Ue. Non dimentichiamo poi
della tendenza a impiegare forza lavoro sempre nuova per
corrispondere salari decisamente più bassi – sempre nel caso in
cui siano regolari le retribuzioni. Da qui il fatidico mito liberista del
cambiare lavoro con estrema frequenza, una ideologia plasmata sullo
sfruttamento della classe. Resta il fatto che se i padroni sono favorevoli
in certe fasi all’incremento dei flussi migratori, ciò avviene per
acquisire un esercito industriale di riserva da impiegare a basso costo
lasciando al sindacato il ruolo di calmiere sociale.
- L’arrendevolezza
e la subalternità sindacale ai datori è anche funzionale
all’abbassamento del costo del lavoro in cambio di elementi compensativi
come previdenza e sanità integrativa, per poi affermare una contrattazione
di secondo livello decisamente a ribasso tra deroghe ai contratti
nazionali e scambi diseguali tra porzioni miserrime di salario a grandi
incrementi della produttività
- Viviamo
in società alle prese con una crescita economica contenuta se
non proprio in fase recessiva, la carenza dell’offerta occupazionale porta
inevitabilmente spazio alle culture regressive delle destre e a forme di
razzismo e di odio sociale.
- Urge
aprire una riflessione sui lavoratori a bassa qualifica dentro i quali la
componente migrante ha un forte peso, per evitare in futuro di riprodurre
gli schemi ideologici perdenti del recente passato. La questione non va
inquadrata nella competizione tra forza lavoro migrante e autoctona ma
come tendenza alla riduzione del costo del lavoro, al sopravvento della
precarietà e ricattabilità della forza lavoro meno specializzata
- Non
è errato pensare a una divisione della forza lavoro tra
specializzati e non, tra alte e basse qualifiche, la nostra
impressione è che negli ultimi lustri si sia allargata la forbice
salariali tra gli uni e gli altri alimentata anche da politiche fiscali
che escludono in partenza ogni ridistribuzione della ricchezza per
favorire invece una società basata sulla disuguaglianza strutturale.
E non a caso anche i flussi elettorali dimostrano che la classe autoctona
più bassa e maggiormente sfruttata esprime da tempo consensi verso le
destre mentre le fasce più abbienti della popolazione , specie nelle aree
metropolitane, sono lo zoccolo duro del centro sinistra. Anche di questo
dobbiamo tenere conto.
- Sullo
sfondo delle politiche migratorie, dentro i processi di ristrutturazione, è
avvenuta non solo la tendenza al ribasso dei salari ma anche la loro
perdita del potere di acquisto e piu’ in generale l’indebolimento dello
strumento sindacale e del potere contrattuale .
Lo ripetiamo per non essere travisati: la riduzione del potere di
acquisto e di contrattazione, i salari al ribasso, la ricattabilità estrema
della forza lavoro non sono causate dai flussi migratori ma dalla gestione
dell’immigrazione nell’economia capitalistica. Da qui la urgenza di costruire
sul campo forme di solidarietà attiva e di classe dentro vertenze e lotte sociali
unificanti tra autoctoni sfruttati e forza lavoro migrante e prima ancora di
comprendere i cambiamenti avvenuti senza paraventi ideologici e
moralisteggianti.
bibliografia di riferimento:
A. Barba – M. Pivetti, Il lavoro importato, Meltemi 2019
Nessun commento:
Posta un commento