Ormai sono duemila anni che sentiamo parlare di “Pace”. In uno Stato come il nostro poi, con il Vaticano come coinquilino, la pace come messaggio centrale del cristianesimo è da sempre la parola più gettonata dai pulpiti cattolici: la pace dei popoli, la pace dell’anima, la pace del Signore, andate in pace, ecc ecc… La cosa più assurda però è che spesso sentiamo parlare anche di “Lotta per la pace” quindi poi agli attenti lettori sorge il dubbio: parliamo di pace e vicino troviamo la parola “Lotta”? Ciò significa che, in qualche modo, anche la gloriosa e decantata parola “Pace” si serve anche del suo contrario. Ecco appunto, “Lotta”.
La lotta, la guerra e il conflitto. Sinonimi tra di loro che alla fine
ricadono sempre soprattutto sulle popolazioni più che sugli eserciti e
sull’economia della guerra. Si chiede la pace con il culo delle popolazioni,
con la lotta dei volontari, con la giusta Resistenza e con lo strascico
dell’arrangiarsi degli sfollati. Bombardati anche noi in questo periodo da
televisioni propagandistiche troviamo sui tanti schermi e sulla poca carta
molte storie e immagini di civili in difficoltà. Proviamo così dai nostri
comodi divani a capirci qualcosa e invece alla fine ne capiamo meno di prima
perché le vere notizie sono contaminate e inondate dalle storie del dolore
televisivo (quello che fa share) o dalla sofferenza multimediale legata ai
video amatoriali web. Sentiamo parlare poco di validi programmi pacifisti, non
sentiamo per niente parlare di prove di disarmo e soprattutto fino all’anno
scorso non sapevamo neanche quale fosse lo stato europeo più grande per
estensione dopo la Russia e ora vogliamo capire di guerre e conflitti?
Non sapevamo nulla del comico che guidava il governo giallo-blu, non
sapevamo nulla delle proteste filorusse del 2014 e ignoravamo l’importanza del
più grande “granaio” europeo. Sapevamo qualcosa sulla corrotta politica
ucraina? Sapevamo che legame ci fosse con le organizzazioni di ultra-destra
nelle regioni al confine russo? Sapevamo qualcosa del reggimento Azov? Sapevamo
che tipo di simbologia neonazista usano i loro militari? Abbiamo anche ignorato
che tra il 2017 e il 2018 l’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani abbia
descritto i militari della brigata Azov come omofobi, sessisti, e razzisti. Ora
invece? Cosa facciamo di bello? Continuiamo ad armare un faceto comico, ormai
tragico, che elemosina pezzi di artiglieria in giro per il mondo. Si sente
francese per missili, tedesco per i carri-armati, americano per i caccia e
italiano per i fucili e i mitra.
Se siete arrivati fino a qui in questa lettura mi direte: – Allora sei un
filo-russo? Rispondo – No! Semplicemente non vorrei armare nessuno e
soprattutto non sono filo-americano che come sempre (gli americani) sono in
cerca di burattini per combattere guerre lontane da casa loro.
Nutro un senso di acriticità nella visione di questa guerra che mi rende
impassibile a capirne la vera natura e i vari cambiamenti. Non si può capire
cosa succede veramente tra la marea di fake news, la continua stampa
propagandistica e le battute di agenzia sui nostri piccoli politici. Piccoli
come statisti, piccoli per i loro valori, piccoli come amministratori. Nessuno
escluso.
La vera ragione è che l’uomo è troppo stupido per sopravvivere. Le guerre
sono comportamenti di studio infatti è inutile nascondere che i soldati si
preparano ad usare armi e ad uccidere e non al solo a difendersi come da anni
ci viene detto in occasione di pompose kermesse militari. I conflitti
esisteranno sempre perché la guerra è la natura dell’uomo e della sua economia.
C’è chi la vuole perché è motivo di ricchezza e di potere, c’è chi la prepara e
la studia producendo armamenti, e c’è anche chi tra la pace e la guerra sceglie
la partita la domenica o il nuovo programma culinario in tv. Ipocrita Putin con
la sua “Operazione Speciale” , ipocrita la Rai e ipocrita la letterina di
Volodymyr durante il Festival. Ipocriti i nostri parlamentari che tutto hanno
detto tranne che spiegarci come, secondo loro, si dovrebbe raggiungere una
giusta e adeguata tregua. Ipocriti tutti noi che al posto di pensare alle
popolazioni devastate pensiamo al gas per i nostri inverni o al carburante
delle nostre automobili.
Allora a questo punto è doveroso tornare nel 1994 con un Carmelo Bene
ospite da Costanzo. E’ giusto ricordare la geniale critica che CB fece all’
ipocrisia, la stessa ipocrisia costruita su falsi sentimenti di cui non
riusciremo mai a liberarci:
“Non me ne fotte nulla del Rwanda, e lo dico.
Voi no, non ve ne fotte, ma non lo dite!”
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