…ogni persona amante della pace, indipendentemente dalla nazionalità, dovrebbe pregare affinché la Russia vinca questo conflitto in Ucraina e sconfigga l’agenda della NATO…(Scott Ritter)
articoli, immagini, musica di Matteo Saudino, Umberto Franchi, Donatella Di Cesare, Alessandro Orsini, Tommaso Cerno, Fulvio Scaglione, Stefano Orsi, Nicolai Lilin, Jeffrey Sachs, Agata Iacono, Antonio Mazzeo, Andrés Manuel López Obrador, Douglas McGregor, Andrei Raevsky, Caitlin Johnstone, Giacomo Gabellini, Enrico Tomaselli, Lucio Caracciolo, Davide Malacaria, Andrea Zhok, Antonio Gramsci, Angelo D’Orsi, Fabrizio Marchi, Scott Ritter, Lucio Dalla, Luca Fazzi, Leonardo Tricarico, Francesco Masala, Thierry Meyssan, George Soros, Big Serge Thought, Paolo Ferrero, Atlantic Council, Richard Kemp, Vincenzo Brandi, Fabrizio Verde
Dockers calling: per una grande manifestazione nazionale a Genova il 25 febbraio contro la guerra e l’invio di armi – Gregorio Piccin
L’assemblea di ieri convocata dal Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) per organizzare a Genova una mobilitazione nazionale il prossimo 25 febbraio contro la guerra e il traffico di armi ha visto una partecipazione straripante e forse inaspettata. La sala messa a disposizione dal Calp presso il Circolo dell’autorità portuale di Genova non ha potuto contenere le oltre cento persone che hanno partecipato all’assemblea.
Presenti in video conferenza anche gruppi e collettivi da Torino, Padova, e Cagliari. Centri sociali della città come il Zapata (che sta battagliando contro lo sgombero) e l’Askatasuna di Torino si sono alternati negli interventi con esponenti di Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Rete dei comunisti, Unione popolare e di sigle del sindacalismo di base come Usb, molto attive nel contrasto diretto alla “logistica di guerra”.
Tutti hanno confermato l’adesione all’iniziativa del Calp per costruire insieme una grande manifestazione nazionale il prossimo 25 febbraio.
Tra le proposte avanzate l’apertura alle realtà cattoliche di base e il dialogo con chiunque sia contrario all’economia di guerra in cui il governo Meloni, in continuità con Draghi, ha precipitato il Paese aggravando la crisi sociale in atto.
“Siamo maggioranza” è stato detto riferendosi ai recenti sondaggi che vedono il 70% degli italiani contro l’invio di armi all’Ucraina, Leopard compresi.
“Sempre al fianco del Calp” hanno dichiarato gli studenti medi dell’Opposizione studentesca d’alternativa in un applauditissimo intervento in cui hanno ricordato come la militarizzazione nelle scuole passi anche attraverso l’alternanza scuola lavoro presso la sede genovese di Leonardo.
Il coordinamento nazionale porti di Usb (presente oltre che a Genova anche a Livorno e Civitavecchia) ha annunciato uno sciopero generale a copertura della manifestazione.
Condivisa da molti interventi la critica a un pacifismo troppo generico, che non ha il coraggio di affrontare le trasversali responsabilità di guerra del nostro Paese, prima fra tutti l’invio di armi con l’unico effetto di prolungare l’inutile strage.
“Guardarsi allo specchio” e combattere la co-belligeranza dell’Italia è stato infatti il senso comune emerso dalla gran parte degli interventi, anche perché questa belligeranza sta affossando l’economia e viene fatta pagare principalmente a lavoratori e lavoratrici. Intanto il governo non fa nulla per mettere la museruola alle speculazioni sulle bollette che stanno producendo extra-profitti stellari per le multinazionali di bandiera.
Stoccate nel merito anche alla Fiom-Cgil che sulla questione centrale del comparto militare industriale marca uno schiacciamento tendenzialmente corporativo (come del resto le altre sigle confederali) sulle politiche industriali del management, che da Moretti a Profumo hanno trasformato Finmeccanica in una holding dell’hi-tech militare. Nessuna prospettiva alternativa alla trasformazione dell’industria militare in un finanziatissimo pilastro della politica estera italiana. Una contraddizione gigantesca che pesa come un macigno perché il ricatto guerra-lavoro e ambiente-lavoro deve essere spezzato. L’ultimo “brindisi” dei confederali per una grossa commessa militare è peraltro arrivato proprio qualche giorno fa a Palermo, dove è stata consegnata una nave da guerra nuova di zecca realizzata da Fincantieri e consegnata alla marina del Qatar.
Senza il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori dell’industria e della logistica, cruciali per la belligeranza voluta da un trasversale ceto politico guerrafondaio, il movimento pacifista non sarà mai in grado di imporre un’inversione di rotta.
In questo senso, hanno detto i camalli genovesi, il 25 febbraio sarà allo stesso tempo “proseguimento e tappa di un percorso che viene da lontano”.
Russia, Italia e gli (inutili) insegnamenti della storia – Angelo D’Orsi
Nel pieno dello scontro fra rivoluzione e controrivoluzione nella Russia dopo la vittoria di Lenin, le potenze imperialistiche occidentali, e il Giappone, intervennero militarmente per dare manforte ai “Bianchi”, ossia i controrivoluzionari, guidati dall’ammiraglio Kolciak, il quale costituì un suo governo antibolscevico, in Siberia, che venne prontamente riconosciuto dalle potenze occidentali, compresa l’Italia. Commentava il giornalista socialista Antonio Gramsci (il 21 giugno 1919, su “L’Ordine Nuovo”): “questo riconoscimento equivale a una dichiarazione di guerra al popolo russo. Che la guerra non sia condotta direttamente da soldati italiani, ma sia combattuta dai giapponesi, è quistione che non esonera lo Stato italiano dalle terribili responsabilità che si è assunto. Politicamente e moralmente lo Stato italiano sostiene la reazione antiproletaria in Russia; il sangue che sarà versato nella guerra infame ricadrà anche sul popolo italiano, se esso non scinde ogni sua responsabilità dall’atto del presidente del Consiglio”.
Non è peregrino leggere queste parole alla luce dell’attualità davanti ai nuovi, incessanti “pacchetti” di aiuti militari economici e “umanitari” che l’Italia, paese guidato da una classe politica pronta a chinare la testa davanti ai potenti della finanza nazionale o internazionale, un paese che forse meriterebbe di meglio, un paese che vorrebbe, nella larga maggioranza dei suoi abitanti, vivere in pace ed essere lasciato in pace, come d’altronde prescrive la sua Grundnorm, la sua legge fondamentale, quella Costituzione che da troppi anni, governi di ogni orientamento negligono, ignorano, violano, tranquillamente. Lo stesso paese reale, che sta affrontando una crisi economica gravissima, una crisi che colpisce i poveri, le classi medie, e arricchisce i ricchi, e soprattutto le multinazionali, del farmaco, dell’energia, delle armi… Lo stesso paese da quasi un anno, subisce sempre più sgomento l’effetto non solo del rialzo di prezzi ingiustificato, ma anche delle sanzioni imposte alla Russia, che sono sanzioni contro l’Europa e contro l’Italia, e a vantaggio soltanto degli Stati Uniti. La Russia che non è più quella bolscevica di Lenin, ma che rimane un secolo dopo la bestia nera degli occidentali. E che gli occidentali hanno spinto a questa guerra, che rischia di essere infinita. E dalle conseguenze imprevedibili, quanto angosciose. Lascio ancora la parola a Gramsci:
“Intanto anche in Italia è ricominciata l’ascesa dei prezzi dei consumi: i salari sono precipitati. Mancano le materie prime, mancano i viveri. L’Italia, più di ogni altro paese, avrebbe bisogno della pace effettiva nel mondo, di una immediata ripresa dei traffici coi mercati di materie prime e di viveri”. Sì, sarebbe interesse vitale dell’Italia, più di altri paesi, la pace, la ripresa degli scambi commerciali, e aggiungiamo pure, delle relazioni culturali e umane. E invece, che accade? Si succedono i governi, trascorrono i mesi, militari e civili muoiono nei campi fangosi della “terra di confine” (questo significa Ucraina), gli edifici crollano, quelle che erano città qualche mese fa, ora appaiono ammassi di ruderi, la fame si aggiunge alla distruzione, l’odio degli uni non placa il risentimento degli altri. E i governanti italiani, come quelli di quasi tutti gli Stati dell’Unione, sottomessi alla volontà di Washington, ripetono: “armi all’Ucraina, denaro all’Ucraina, aiuti all’Ucraina”, ma soprattutto, armi sempre più pesanti, essendo venuta meno la ridicola distinzione tra armi offensive e difensive, che per i primi mesi del conflitto ci veniva ammannita.
“Sarebbe interesse vitale dell’Italia che il governo russo dei Soviet si consolidi”, scriveva Gramsci: togliamo il riferimento ai Soviet e possiamo leggere questo articolo, del giugno 1919, come una cronaca dei nostri giorni. Un monito, anche, a pensare a costruire le condizioni della pace, e non a portare avanti un massacro, che colpisce anche noi sul piano economico, mentre, grazie a schiere di di giornalisti al soldo delle verità prefabbricate, di commentatori asserviti al mainstream, la grande menzogna si è impadronita di noi tutti. Lottare contro di essa è ogni giorno più difficile, ma non possiamo non farlo, se non altro per salvare le nostre coscienze.
E invece il nostro paese, oggi come cento anni or sono, scrive Gramsci, “si associa all’Inghilterra, all’America, alla Francia e al Giappone per far sorgere in Russia una nuova formidabile guerra, che taglierà, per un tempo indeterminato, la Russia dai traffici mondiali. Consente a che gli Stati Uniti continuino a esercitare il monopolio del grano e impongano ai viveri prezzi di monopolio; consente a che la Francia e l’Inghilterra esercitino il monopolio del carbone e del ferro; consente a che il Giappone sottoponga al suo controllo le riserve minerarie e agricole della Siberia”. E l’azione del nostro governo, oggi come allora, “è rivolta a rovinare l’economia italiana, ad affamare il popolo italiano, a dare il popolo italiano in preda alle oligarchie finanziarie internazionali”.
La storia insegna, ma, sempre come scriveva Gramsci, “non ha scolari”.
Perchè l’Occidente odia e ha paura della Russia – Fabrizio Marchi
Stavo riflettendo, giorni fa, sul fatto che la Russia è forse l’unico paese che non sia mai stato colonizzato e occupato militarmente – se non per brevi periodi ai quali hanno fatto seguito ritirate disastrose – dall’Occidente. Quest’ultimo ci ha provato a più riprese con aggressioni dirette (guerre napoleoniche, guerra di Crimea, guerra civile post rivoluzione del ’17, attacco nazista nella seconda guerra mondiale) e indirette (il tentativo degli USA di colonizzazione economica e politica subito dopo il crollo dell’URSS), ma tutti questi tentativi sono sempre clamorosamente e fragorosamente falliti (e negli ultimi vent’anni, naturalmente, l’espansione ad est della NATO e il colpo di stato in Ucraina nel 2014).
E’ questa forse una delle principali ragioni della atavica ostilità occidentale nei confronti di quel paese. Insieme probabilmente all’ incapacità di comprendere lo spirito di quel popolo che non c’è stato verso di addomesticare. Probabilmente è un’ostilità che ha radici ancora più antiche, essendo la Russia l’erede del grande scisma che ha dato vita alla chiesa ortodossa.
E poi naturalmente la prima grande rivoluzione socialista della storia con tutto quello che ne è conseguito. E ancora la sua estensione e la sua cultura, intrinsecamente irriducibile a quella anglosassone, dominante in Occidente.
Ed è forse proprio quella incapacità di comprensione che ha generato e continua a generare nel mondo occidentale quella sorta di mistero frammista a inquietudine che a sua volta genera inevitabilmente la paura. La Russia non ha mai attaccato l’Occidente – dal quale è stata invece ripetutamente aggredita, anche ferocemente, come nel caso dell’invasione nazifascista – eppure viene percepita da una gran parte della cosiddetta opinione pubblica occidentale come un pericolo costante, come una minaccia perennemente incombente, come una forza bruta pronta in qualsiasi momento a scatenarsi.
Al di là delle considerazioni di ordine politico e geopolitico che si sono verificate di volta in volta e che naturalmente hanno le loro cause e ragioni concrete, credo che sia questo sentimento – in larga parte alimentato ad arte ma comunque profondamente radicato – a generare quell’ostilità.
Quando un impero declina la qualità dei governanti diventa sempre più bassa – Francesco Masala
Fra 100 anni, se esisterà il mondo, nessuno si ricorderà di Biden, Stoltenberg, Ursula Van der Leyen, Zelensky, e compagnia cantante, se non nelle pagine di cronaca nera della storia o nelle note.
Fra qualche anno nessuno vorrà più il dollaro negli scambi commerciali, se non sotto la minaccia delle armi, sarà per questo che tutti vorranno disfarsi del biglietto verde (tranne i servi, naturalmente).
Quando la Nato, se continuerà ad esistere, vorrà combattere per liberare i territori occupati verrà in Sardegna per eliminare basi e servitù militari (è uno scherzo!, le loro occupazioni sono sante)
Quando hanno assassinato Allende e il Cile, Biden era senatore, come quando sosteneva l’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq, e quando sosteneva e sostiene Zelensky (che assassinava l’Ucraina) era ancora senatore e poi 46° presidente Usa, che coerenza, sempre dalla parte dei cattivi.
La prossima volta toccherà al cavallo di Caligola, chiunque potrà far di meglio della classe politica della nostra epoca.
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