Chiunque
voglia occuparsi seriamente di egemonia culturale, i conti con #mauriziocostanzo
li deve fare bene. E non è per niente facile.
Il
personaggio è infatti doppio, triplo, quadruplo. Sicuramente genio, forse però
del male.
I meriti
sono palesi: sceneggia una giornata particolare, partecipa alla stesura delle
120 giornate di Sodoma, scrive con Morricone se telefonando e soprattutto
inventa con quelll’altro genio (del bene però) il personaggio di Fracchia.
Anche le
collaborazioni lunghe sono indicative: Alberto Silvestri, Paolo Pietrangeli,
Enrico Vaime.
Però toglie
truffaldinamente il Brancaccio a Giggi Proietti, e questo non ce lo doveva
fare.
E poi c’è il
resto. Che è tutto Maurizio Costanzo.
Il suo
passaggio dalla Rai a Mediaset fa della tarda serata di Canale5 il salotto
italiano. Che smette di essere pubblico, si fa privato. Da lì escono personaggi
(del male e del bene: da Sgarbi a Mastrandrea, da Carmelo Bene [non è che esca
da lì, ma da lì parla al paese] a De Lorenzo, da Di Bella a de Crescenzo) ma
soprattutto gli argomenti di discussione nel paese, le griglie di
interpretazione dei fatti pubblici, la modernizzazione spettacolare della
visione del mondo, perfino tic e tormentoni.
L’Italia
cambia con quel salotto. Si modernizza di una modernizzazione americaneggiante ma
comunque italiana, di una certa Italia sì, ma tanta Italia, tanto Italia.
Italia che Costanzo conosce e capisce, ma soprattutto plasma e trasforma
nell’intimo, nella mente, nelle parole, nei comportamenti.
Tra anni 80
e 90 è l’altra faccia di Berlusconi, il lato destro del cervello, la sua
controanima. Non è lo specchio degli italiani, non pretende di rappresentarli
(come poi farà Silvio): pretende di educarli (come mai farà Silvio). Educarli
dall’alto, con spocchia intellettuale ma con un modo che non è rifiutato dal
popolo/pubblico, anzi si pende dalle sue labbra. Non è un demagogo popolare
come Funari, non è piacione professionale come Baudo, è spesso stronzo come un
intellettuale di sinistra, però non viene odiato come un intellettuale di
sinistra. Ne prende le mosse, ma con le stesse lui riesce a piacere.
In quegli
anni Costanzo ha una visione geniale, l’ennesima: la tv, dice lui, non la
faremo più noi professionisti ma la gente normale, il pubblico. Che sarà
pubblico di sé stesso.
Lo dice
prima dei reality e dei talent. Molto prima.
Lo aveva
intuito nel suo salotto dove aveva fatto passare ogni genere di ciarlatano come
in un circo del far-west: spiritiste che parlavano coi morti del pubblico del
Parioli, guaritori, amici di extraterrestri. Il Tutto mescolato con iniziative
antimafia con Falcone e Santoro (ci rimediò una bomba), scoperte continue di
grandi talenti comici e musicali, interviste a mostri sacri della cultura.
Ma appunto
lui parla con tutti allo stesso modo, con Gassman come con quello degli ufo,
con la Montalcini come con la spiritista.
E incontra
la moglie.
Un incontro
che somiglia ai grandi incontri della storia. Quell’intuizione geniale (la tv
la faranno le persone normali, la farà il pubblico) con Maria De Filippi
diventa realtà. Anzi Reality.
E parte il
secondo tempo della storia dell’egemonia culturale Made in Costanzo, ora
Costanzos. Con lei è possibile ciò che prima era solo pensabile.
E non si
pensi che questa egemonia sia destinata a finire coi social: su TikTok gli
adolescenti di oggi vedono pezzi di Amici e Uomini e Donne e ne ricalcano i
modi, le parole, le dinamiche relazionali, i frame mentali. Parlano come loro,
pensano come loro, sentono come loro.
Ancora una
volta è il doppio del doppio, impasto di bene e male che diventano ancora
altro: in quei programmi si guarda con simpatia e rispetto al gay e
contemporaneamente si riproducono, rinnovati, misoginia e patriarcato. Si
promuovono nuovi stili di vita e insieme si blindano le antiche gerarchie
relazionali. Un impasto impossibile da tenere insieme ma che nella
spettacolarizzazione insieme ci sta, eccome.
Fare i conti
con l’egemonia culturale Made in Costanzos è lavoro più duro di quello di
Gramsci coi feuilletton e Croce: quei due livelli in Costanzo stanno insieme, e
c’è un nuovo americanismo dello spettacolo, e c’è Debord applicato al contrario
ma perfettamente (altro che quella pipparsugo di Freccero), e c’è un andare al
popolo dandogli un quarto d’ora e più di celebrità e il resto della vita di
illusioni e rimpianti, e c’è l’era del narcisismo di massa di Lasch.
Sicuramente
con un background culturale e frequentazioni di sinistra, sicuramente senza
nessun tratto culturale di destra, sicuramente utilissimo, direi fondamentale,
per la destra (e per il neocapitalismo privatistico), mostruosamente dannoso,
direi mortale, per la sinistra (e per le pratiche di vita non ripiegate sul
privato).
Insomma
liquidarlo con le battute sulla P2 significa aver capito poco Gramsci e per
niente la P2 e l’Italia.
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