lunedì 27 febbraio 2023

I conti con Maurizio Costanzo - Andrea Masala

Chiunque voglia occuparsi seriamente di egemonia culturale, i conti con #mauriziocostanzo li deve fare bene. E non è per niente facile.

Il personaggio è infatti doppio, triplo, quadruplo. Sicuramente genio, forse però del male.

I meriti sono palesi: sceneggia una giornata particolare, partecipa alla stesura delle 120 giornate di Sodoma, scrive con Morricone se telefonando e soprattutto inventa con quelll’altro genio (del bene però) il personaggio di Fracchia.

Anche le collaborazioni lunghe sono indicative: Alberto Silvestri, Paolo Pietrangeli, Enrico Vaime.

Però toglie truffaldinamente il Brancaccio a Giggi Proietti, e questo non ce lo doveva fare.

E poi c’è il resto. Che è tutto Maurizio Costanzo.

Il suo passaggio dalla Rai a Mediaset fa della tarda serata di Canale5 il salotto italiano. Che smette di essere pubblico, si fa privato. Da lì escono personaggi (del male e del bene: da Sgarbi a Mastrandrea, da Carmelo Bene [non è che esca da lì, ma da lì parla al paese] a De Lorenzo, da Di Bella a de Crescenzo) ma soprattutto gli argomenti di discussione nel paese, le griglie di interpretazione dei fatti pubblici, la modernizzazione spettacolare della visione del mondo, perfino tic e tormentoni.

L’Italia cambia con quel salotto. Si modernizza di una modernizzazione americaneggiante ma comunque italiana, di una certa Italia sì, ma tanta Italia, tanto Italia. Italia che Costanzo conosce e capisce, ma soprattutto plasma e trasforma nell’intimo, nella mente, nelle parole, nei comportamenti.

Tra anni 80 e 90 è l’altra faccia di Berlusconi, il lato destro del cervello, la sua controanima. Non è lo specchio degli italiani, non pretende di rappresentarli (come poi farà Silvio): pretende di educarli (come mai farà Silvio). Educarli dall’alto, con spocchia intellettuale ma con un modo che non è rifiutato dal popolo/pubblico, anzi si pende dalle sue labbra. Non è un demagogo popolare come Funari, non è piacione professionale come Baudo, è spesso stronzo come un intellettuale di sinistra, però non viene odiato come un intellettuale di sinistra. Ne prende le mosse, ma con le stesse lui riesce a piacere.

In quegli anni Costanzo ha una visione geniale, l’ennesima: la tv, dice lui, non la faremo più noi professionisti ma la gente normale, il pubblico. Che sarà pubblico di sé stesso.

Lo dice prima dei reality e dei talent. Molto prima.

Lo aveva intuito nel suo salotto dove aveva fatto passare ogni genere di ciarlatano come in un circo del far-west: spiritiste che parlavano coi morti del pubblico del Parioli, guaritori, amici di extraterrestri. Il Tutto mescolato con iniziative antimafia con Falcone e Santoro (ci rimediò una bomba), scoperte continue di grandi talenti comici e musicali, interviste a mostri sacri della cultura.

Ma appunto lui parla con tutti allo stesso modo, con Gassman come con quello degli ufo, con la Montalcini come con la spiritista.

E incontra la moglie.

Un incontro che somiglia ai grandi incontri della storia. Quell’intuizione geniale (la tv la faranno le persone normali, la farà il pubblico) con Maria De Filippi diventa realtà. Anzi Reality.

E parte il secondo tempo della storia dell’egemonia culturale Made in Costanzo, ora Costanzos. Con lei è possibile ciò che prima era solo pensabile.

E non si pensi che questa egemonia sia destinata a finire coi social: su TikTok gli adolescenti di oggi vedono pezzi di Amici e Uomini e Donne e ne ricalcano i modi, le parole, le dinamiche relazionali, i frame mentali. Parlano come loro, pensano come loro, sentono come loro.

Ancora una volta è il doppio del doppio, impasto di bene e male che diventano ancora altro: in quei programmi si guarda con simpatia e rispetto al gay e contemporaneamente si riproducono, rinnovati, misoginia e patriarcato. Si promuovono nuovi stili di vita e insieme si blindano le antiche gerarchie relazionali. Un impasto impossibile da tenere insieme ma che nella spettacolarizzazione insieme ci sta, eccome.

Fare i conti con l’egemonia culturale Made in Costanzos è lavoro più duro di quello di Gramsci coi feuilletton e Croce: quei due livelli in Costanzo stanno insieme, e c’è un nuovo americanismo dello spettacolo, e c’è Debord applicato al contrario ma perfettamente (altro che quella pipparsugo di Freccero), e c’è un andare al popolo dandogli un quarto d’ora e più di celebrità e il resto della vita di illusioni e rimpianti, e c’è l’era del narcisismo di massa di Lasch.

Sicuramente con un background culturale e frequentazioni di sinistra, sicuramente senza nessun tratto culturale di destra, sicuramente utilissimo, direi fondamentale, per la destra (e per il neocapitalismo privatistico), mostruosamente dannoso, direi mortale, per la sinistra (e per le pratiche di vita non ripiegate sul privato).

Insomma liquidarlo con le battute sulla P2 significa aver capito poco Gramsci e per niente la P2 e l’Italia.

da qui 

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