Inviato da Enrico Vigna
Le distruzioni della guerra, la perdita dei giacimenti
petroliferi e le sanzioni occidentali influenzano tutti gli aspetti della vita
di milioni di siriani. Reportage da una capitale fantasma.
QUESTA è la situazione della SIRIA, un
paese e un popolo aggrediti martoriati e vessati da 11 ANNI, nel
silenzio mediatico e nell’indifferenza dell’occidente e dei suoi cantori. Ogni
ora ci parlano, narrano, denunciano, minacciano circa la situazione in
Ucraina dell’ULTIMO ANNO, quando, per otto anni la guerra contro la
popolazione in Donbass era stata silenziata, obliata, nascosta. 13.000 civili
uccisi, tra cui 300 bambini e migliaia di donne e anziani, oltre a 33.000
mutilati e feriti. PER OTTO ANNI NON HANNO FATTO NOTIZIA. Tranne poche voci,
nessuno si è commosso, nessuna gara di solidarietà, nessuno si è
“sensibilizzato” o indignato. Erano bambini, donne, anziani di “SERIE B”, forse
“subumani, come pensava il nazismo dei popoli slavi. E anche della Siria e del
popolo siriano la “vulgata”è identica.
Sono quei popoli e paesi che non rientrano nei canoni
della “civiltà occidentale”, che cercano strade e vie indipendenti, non
allineate, difendono caparbiamente la propria storia, custodiscono caramente le
proprie radici, le proprie tradizioni, le proprie scelte politiche, le proprie
culture e spiritualità.
Ciò, in questo mondo unipolare, egemonizzato e
dominato dalle politiche statunitensi e dai poteri finanziari internazionali ad
essi legati, con il servilismo delle classi politiche dei paesi “asserviti” e
incapaci di politiche autonome e legate agli interessi nazionali. La
“insignificante” Italia ne è un esempio dei più lampanti: decine e decine di
governi e coalizioni di varie colorazioni e partiti, oltre 75 anni di
politiche, SEMPRE asservite all’interesse atlantista e USA, mai un partito di
nessuna tendenza o colore, che abbia avuto il coraggio di dire NO, di affermare
in primis l’interesse nazionale dell’Italia e della sua popolazione.
Questo spiega il “silenzio”, l’indifferenza, il
distacco e la partecipazione alle aggressioni ai popoli renitenti in questi
decenni. Dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Jugoslavia al Libano, dalla Siria
alla Libia, dalla Palestina allo Yemen e oggi in Ucraina.
Noi continuiamo a denunciare, informare, agire al
fianco di questi popoli. Come SOS Siria/CIVG abbiamo in questi undici anni
costruito e supportato oltre una decina di Progetti di Solidarietà concreta…e
continuiamo.
L’invito è a leggere questa drammatica, ma lucida
testimonianza, che, senza troppe voli pindarici e analitici, ci dà la
fotografia di cosa hanno fatto di questo paese e di questo popolo, gli USA ed i
loro scagnozzi, in questo caso gli jihadisti e, in Ucraina, i neonazisti di
Kiev, con i vari servitori occidentali, per i loro famelici e banditeschi
interessi geopolitici ed egemonici.
Ma nessun informatore, nessun finto pacifista o
democratico, nessun cittadino o “sinistro” attivista della cosiddetta ed
agonizzante “sinistra” italiana, si senta assolto. Sono tutti complici di
questa situazione e di queste tremende sofferenze. Vergogna, vergogna e
vergogna è l’unico termine eticamente, politicamente, storicamente e
spiritualmente consono alle loro misere esistenze.
Grazie a Fiorenza di Ora Pro Siria per il continuo e prezioso
lavoro di informazione e denuncia che da sempre fa.
Aiutateci ad aiutarli…a RESISTERE. Enrico Vigna SOS Siria/CIVG
SOS SIRIA/CIVG: la
nostra solidarietà concreta continua
25
gennaio 2023
PAUL KHALIFEH, DI RITORNO DA DAMASCO
«Ali,
domani andrai con tuo zio ad Harasta a raccogliere legna da ardere!». Rannicchiata
sotto due spesse coperte in un angolo del soggiorno, Soumaya rimprovera il
figlio con uno sguardo severo. «Non avresti dovuto aspettare che gli ultimi
rami fossero consumati prima di andare», lo rimprovera Al centro della
stanza coperta di tappeti, le ultime manciate di ghiande di quercia e gusci di
pistacchio bruciano in una stufa a legna color ruggine. Il poco calore che
emette non è sufficiente a migliorare davvero la temperatura. Dall’altra parte
della stanza, un uomo anziano si strofina energicamente le mani. Al centro
della stanza, quasi incollati alla stufa, due bambini condividono una pelle di
montone.
A
Damasco, dove la temperatura è vicina allo zero, la lotta contro il freddo è la
sfida principale per gli abitanti. «La mia unica preoccupazione è riscaldare la
mia famiglia durante questo rigido inverno, dice Soumaya, vedova, che a 50 anni
ne dimostra dieci di più. Tutto ciò che può essere bruciato va sul fuoco». «Il
freddo è il peggior nemico», afferma il vecchio con voce roca.
Combustibili
introvabili
Per la
maggior parte dei siriani, il sistema di riscaldamento centrale a gasolio è un
vecchio ricordo, un grande lusso che solo pochi fortunati possono ancora permettersi,
vista la cronica carenza di carburante. La maggior parte delle famiglie è
passata alle stufe a legna, che per essere installate richiedono di perforare
le pareti o i soffitti per far passare i tubi..
Ma
anche questo metodo di riscaldamento all’antica non è una passeggiata. Una
tonnellata di legno viene venduta a oltre 2 milioni di lire siriane,
l’equivalente di 320 dollari al tasso del mercato nero. Un prezzo inaccessibile
in un paese in cui lo stipendio di un dipendente pubblico arriva al massimo a
100.000 lire siriane, ovvero meno di 17 dollari al mese.
Foreste
spazzate via
«Il
legno scarseggia, dice Khaled, un ex meccanico che si è dedicato al commercio
della legna. Prima della guerra, la Ghouta orientale di Damasco era ricoperta
di frutteti e boschi. I combattimenti e i tagli incontrollati incoraggiati
dalla mancanza di sorveglianza non hanno lasciato nulla. In alcuni luoghi, come
a Maliha, un tempo verdi e boscosi, non è rimasto in piedi nemmeno un albero».
li
andrà quindi ad Harasta, una località situata a circa dieci chilometri a
nord-est di Damasco, distrutta per il 60% dai combattimenti tra l’esercito
siriano e i ribelli. «Lì i raccoglitori di macerie hanno smontato persiane,
porte e tetti in legno per venderli. Dicono che sia molto più economico che
abbattere alberi», spiega con calma.
Ma i
problemi del giovane non sono finiti. La carenza di carburante ha colpito
duramente il settore dei trasporti. Il gasolio e la benzina sono fortemente razionati
e spesso non disponibili.
La
maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani si trova a Hassakeh, nel
nord-est, e nella provincia orientale di Deir Ezzor, entrambe controllate dalle
forze curde, sostenute dagli Stati uniti. L’esercito statunitense ha
trasformato i campi petroliferi in basi militari. Il governo siriano non è
quindi in grado di sfruttare le risorse energetiche del paese, che ora vengono
utilizzate per finanziare l’amministrazione autonoma curda.
Le
quantità di carburante disponibili sul mercato provengono dall’Iran e, più
raramente, dalla Russia, i due alleati della Siria. La priorità nella
distribuzione va alle forze armate. Ciò che rimane, cioè poco, è riservato alla
popolazione.
Nelle
ultime settimane, la penuria si è aggravata. «Con la mia tessera annonaria
(rilasciata due anni fa dal governo a milioni di persone), normalmente ho
diritto a 50 litri di gasolio due volte nell’inverno. Ho fatto la mia richiesta
a metà settembre sulla piattaforma, ma non ho ancora ricevuto risposta», si
lamenta Mustafa, insegnante cinquantenne di una scuola pubblica.
Il
combustibile contrabbandato dalle aree controllate dai curdi viene venduto a
250.000 lire siriane per un bidone da da 20 litri, ovvero quasi 40 dollari. La
benzina, che arriva di contrabbando dal vicino Libano, viene venduta quasi allo
stesso prezzo. Solo una piccola minoranza può permettersi di acquistarla.
Damasco,
una città fantasma
Gli
effetti della carenza di carburante sono impressionanti. Damasco, solitamente
molto trafficata e congestionata, sembra una città fantasma. Di giorno il
traffico è scorrevole, di notte le strade sono quasi deserte di notte e i taxi
sono rari. Al calar della notte, gli abitanti si rintanano nelle loro case
fredde e buie, a causa del draconiano razionamento dell’elettricità. Ventuno
ore di interruzione di corrente al giorno a Damasco, ventitré nelle zone
rurali. «Da due mesi non vado all’università a causa dell’alto costo dei
trasporti, si lamenta Salim, studente di medicina al secondo anno. Ho pensato
di andare in bicicletta da Douma (10 km a est della capitale) a Damasco. Ma il
viaggio di ritorno di notte attraverso queste strade buie e deserte mi ha
dissuaso». Il giovane sostiene che un terzo degli studenti dell’Università di
Damasco, la più grande del paese, non frequenta più regolarmente le lezioni.
Nessun
settore è risparmiato dalla crisi. Alla fine della scorsa settimana, un gran
numero di panifici statali non era più in grado di rifornire il mercato di pane
a causa della mancanza di olio combustibile.
Le
amministrazioni pubbliche, le scuole e le banche vanno al rallentatore. A
differenza del Libano, dove i generatori privati di quartiere forniscono a caro
prezzo l’elettricità alle abitazioni e alle imprese commerciali, in Siria non
funziona nulla quando manca la corrente. «Per diversi giorni, ho aspettato ore
per diversi giorni davanti al bancomat per prelevare il mio stipendio, ma la
macchina non ha mai funzionato a causa della mancanza di elettricità, lamenta
Ayman, un pensionato del Damascus Water Board. Ho chiesto che il mio reddito
non venga più trasferito alla banca. Voglio essere pagato in contanti».
Anche
il razionamento è in crisi
La tessera
di razionamento, che per un certo periodo ha contribuito
a organizzare la fornitura di generi alimentari di base e di carburante alla
popolazione, non è più efficace. «In teoria, il riso, lo zucchero e l’olio
sovvenzionati dallo Stato sono da tre a quattro volte più economici dei prezzi
di mercato, dice Mustafa. Ma la distribuzione è irregolare da tre mesi.
Facciamo le richieste ma non riceviamo più il messaggio che fissa la data di
consegna».
Coloro
che possono permetterselo sono costretti ad acquistare cibo a prezzi di mercato
e, nei periodi di carenza, al mercato nero. «Il mio stipendio di 100.000 lire
siriane mi permette di comprare 5 kg di zucchero e 3 litri di olio vegetale.
Per tutto il resto devo arrangiarmi», dice l’insegnante.
Il peso
delle sanzioni statunitensi
La
situazione è più gestibile nel settore privato, dove gli stipendi sono da
quattro a cinque volte superiori a quelli del settore pubblico. «Con il mio
stipendio di 400.000 lire, sono una privilegiata, dice Ghada, segretaria in uno
studio legale. Ma in realtà, per vivere decentemente servirebbe dieci volte
tanto».
L’assistenza
sanitaria è ancora teoricamente gratuita per tutti. Ma i tempi di attesa sono
molto lunghi. «Un’operazione a cuore aperto costa 1,3 milioni di lire in un
ospedale pubblico, con un tempo di attesa tipico di tre o quattro mesi. In un
ospedale privato, l’operazione è immediata ma costa 55 milioni di lire. Quanti
siriani possono permettersi di pagare questa cifra?», si chiede Atef,
cardiologo dell’ospedale al-Bassel.
Le
persone interpellate sono unanimi. Questo è il peggior inverno che la
popolazione siriana abbia affrontato dall’inizio della guerra nel 2011. La
distruzione di gran parte delle infrastrutture e l’impossibilità dello Stato di
sfruttare le risorse energetiche e agricole del paese, situate in regioni fuori
dal suo controllo, sono responsabili di questa situazione. Ma le sanzioni
occidentali, in particolare il Caesar Act approvato dal Congresso degli Stati
uniti nel 2020, hanno esacerbato la crisi. «Le sanzioni hanno reso molto difficili
le importazioni, afferma un alto funzionario che ha chiesto l’anonimato.
Nessuno osa effettuare transazioni finanziarie con i siriani per paura di
essere bersagliato dalle sanzioni. Questa situazione ha spezzato le catene di
approvvigionamento e ha sviluppato un enorme mercato nero nel quale i prezzi
stanno esplodendo».
Riportati
al Medioevo
Di
fronte alla crisi, si sono sviluppate iniziative private di solidarietà.
«Commercianti molto ricchi e uomini d’affari hanno contribuito a dotare una
scuola di un generatore, un ospedale di letti o una strada di un sistema di
illuminazione a energia solare. Ma tutto questo è limitato e insufficiente per
far funzionare un paese», dice l’alto funzionario.
«Non
sono riusciti a rovesciare il governo, ma ce l’hanno fatta a riportare la Siria
al Medioevo», osserva Soumaya, guardando un tavolino con i ritratti di due
uomini. Suo marito e il loro figlio maggiore, uccisi durante la guerra.
https://lecourrier.ch/2023/01/19/damas-le-pire-des-hivers/
Traduzione di Marinella Correggia – da Ora Pro Siria
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