Non chiamatela autonomia
differenziata ma deregulation egoista per ricchi - Paolo Pileri
“A noi non interessa tanto di colmare l’abisso
di ignoranza, quanto l’abisso di differenza”. Queste parole, così forti e
belle, le pronunciava don Lorenzo Milani per sostenere che la scuola doveva
essere eccezionale ovunque nel Paese, così come l’impegno a far sì che tutti
potessero comprendere tutti e tutto, per non essere tagliati fuori. Ecco basta
questa frase per demolire quell’attentato all’equità che il governo sta
impacchettando con la legge sull’autonomia differenziata. Una norma che renderà
più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Più forti i poli territoriali forti
e ancor più deboli e dipendenti quelli marginali e in sofferenza. Più
emarginati i periferici e più centrali quelli che sono in centro. Pensavo che
uno Stato degno del nome di “Stato democratico” fosse tale se avesse il chiodo
fisso di generare equilibri, appianare differenze, creare condizioni di
uguaglianza in ogni dove, e non il contrario.
Quel che è
stato già dato in termini di autonomie alle Regioni ha spessissimo generato
problemi, ai più poveri e periferici ovviamente. Prendete il trasporto
ferroviario regionale il cui servizio si è ridotto al minimo del minimo del
minimo in alcune Regioni che sono in difficoltà finanziaria rendendo quei
cittadini meno cittadini di altri. E non bisogna andare al Sud, come dice
qualcuno, basta andare in Piemonte o nelle periferie regionali di alcune
Regioni “ricche”.
E potremmo
dire cose simili per le scuole. Per le infrastrutture. Acuire questi disastri
con una legge che dividerà, di fatto, l’Italia in venti Regioni ancor più
diseguali, è necessario? Qualcuno ha calcolato gli effetti sociali devastanti?
Già oggi vediamo spopolarsi intere aree del Paese per scivolare verso quattro
polarità italiane, con tutti i doppi effetti disastrosi di abbandono territoriale
da un lato e di eccesso territoriale dall’altro. Persone che si trovano
stritolate in una macchina urbana che li spolpa ma a cui non possono fare a
meno perché da dove vengono i servizi sono ridotti ovvero “differenziati”.
Continuiamo a vedere giovani che emigrano da un Paese sempre più diseguale e
sempre più chiuso alle loro aspettative. Questa legge arginerà quelle
emorragie? No, anzi le aggraverà. Stanno chiedendo il loro parere? No,
ovviamente. Men che meno si interrogano su questioni ambientali…
L’errore di fondo della
cosiddetta “autonomia differenziata” - Alessandro Volpi
La cosiddetta
“autonomia differenziata” contiene, tra i tanti, un errore di fondo. Uno dei
temi centrali sostenuti in particolare dalla Lega è il cosiddetto residuo
fiscale che consiste nella differenza tra quanto i contribuenti di una Regione
versano e quanto ricevono in termini di spesa pubblica. Secondo tale
indicatore, la Lombardia “verserebbe” 54 miliardi di euro in più di quanti ne
riceve dallo Stato, subendo dunque una profonda ingiustizia.
In realtà,
il residuo fiscale fa parte di una narrazione decisamente sbagliata. Le entrate
fiscali in Lombardia sono ingigantite dal fatto che in tale Regione hanno sede
fiscale società e aziende che operano in tutto il Paese. In altre parole, il
fatto che Milano in particolare sia la capitale economica italiana determina,
in tale città, un enorme gettito che non può essere banalmente iscritto come
entrata della sola Lombardia. Più in generale, dovrebbe essere evidente che,
data l’attuale struttura del sistema fiscale italiano, l’autonomia
differenziata è sostanzialmente impraticabile senza una vera, e costosa, opera
di perequazione definita, del resto, come prioritaria dalla stessa riforma. Il
gettito Irpef, destinato a costituire circa la metà delle entrate tributarie, è
infatti concentrato in pochissime Regioni che, se lo trattenessero,
svuoterebbero di fatto le risorse dell’erario nazionale. Considerazioni
analoghe sono possibili per l’Imu trasferita allo Stato dai Comuni; se tale
gettito rimanesse ai Comuni dove è versato, i fondi perequativi esistenti
verrebbero meno, con conseguenze devastanti per molti degli enti locali. Anche
per gli introiti dell’Iva sono possibili valutazioni analoghe: ci sono realtà
dove si concentrano i consumi, attraendo bacini di utenza assai più estesi, e
dunque vincolare quelle entrate ad una sede specifica indebolirebbe le risorse
di interi territori.
È evidente alla luce di ciò che il racconto secondo cui
l’autonomia migliorerebbe l’efficienza delle amministrazioni periferiche è
privo di senso perché il nostro sistema fiscale è espressione di una geografia
che non coincide con la geografia economica del Paese: il fisco si concentra in
aree dove si versano i tributi partoriti anche da altre zone, che, con
l’autonomia, sarebbero condannate a restare senza risorse. Non a caso, come
accennato, l’iter della riforma prevedeva l’inserimento nella Legge di Bilancio,
in realtà non quantificato, di specifiche cifre finalizzate a finanziare
l’autonomia, nella chiara consapevolezza che la riduzione dei residui fiscali
avrebbe impedito la realizzazione dei Livelli essenziali di assistenza…
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