venerdì 24 marzo 2023

15 anni di riforme nella Scuola italiana - Rossella Latempa

 


Io proverò a sintetizzare le riforme più recenti che hanno interessato la nostra scuola; riforme che, a ben vedere, sono state condotte –  indipendentemente dal governo in carica e anche a dispetto delle dichiarazioni di discontinuità che abbiamo sempre ascoltato – all’interno di una medesima impostazione, con un orizzonte culturale comune in cui proprio il tema del merito e della sua misurazione come abbiamo sentito anche nelle relazioni precedenti, assume un ruolo chiave. Ho organizzato in tre punti questo breve intervento: – partirò con una sintesi di quelli che sono i temi centrali delle politiche educative più recenti che, a ben vedere, erano già evidenti nella cultura politica degli anni ’90 e che conducono dritti al PNRR. Mi soffermerò poi su uno di questi temi, che è la valutazione standardizzata, per poi fare delle riflessioni conclusive.

Quindi, vengo al primo di questi punti e devo però partire in estrema sintesi con il quadro internazionale, cioè con la formazione di quello spazio di elaborazione e di decisione in materia di istruzione, di ricerca, che si è andato consolidando negli ultimi decenni e che ha influenzato  l’attuazione delle politiche educative, attribuendo anche agli apparati formativi un compito specifico: quello di formare capitale umano per garantire la salute e lo sviluppo dei sistemi socio-economici. Questo spazio è popolato da varie organizzazioni, da gruppi di industriali, da istituti bancari,  gruppi di media, di consulenza etc. E ha avuto un ruolo fondamentale anche nella modifica del linguaggio e dell’immaginario educativo, anche in Italia, con le specificità del nostro paese. Le riforme più recenti si situano all’interno di questo quadro e anche nel nostro Paese soggetti quali fondazioni private, o centri studio, società di consulenza, hanno acquisito sempre più spazio nell’interlocuzione politica e nel dibattito pubblico.

Le grandi linee di riforma possono essere schematizzate attorno a pochi temi chiave: una decentralizzazione progressiva e una trasformazione dell’istruzione da funzione e compito dello Stato a servizio; un orientamento al mercato sempre più evidente, con enfasi sul capitale umano, sulla imprenditorializzazione, sulla digitalizzazione; politiche dell’insegnamento improntate sempre a valori e tecniche tipiche del settore privato (gestione per obiettivi, gerarchizzazione, compressione della libertà di insegnamento); infine uso sempre più massiccio di indicatori e strumenti di misurazione standardizzati.

Il tema del merito corre trasversalmente a queste linee di riforma: sono meritevoli oggi quegli studenti che imparano fin da piccoli a valorizzare se stessi, a mettere a frutto i propri talenti, a documentare i propri crediti e a costruire un’immagine pubblica di sé nel curriculum dello studente. Sono meritevoli gli insegnanti che si lascino accompagnare, questo è il termine che si usa oggi nei documenti istituzionali. Nel 2017 si usava “destrutturare le sinapsi cerebrali“: il significato è disciplinare,  integrare all’interno di un modello organizzativo  teorizzato da tecnici ed esperti. E sono meritevoli infine le scuole che migliorano anno dopo anno il proprio posizionamento rispetto al benchmark che gli Invalsi si fornisce nei rapporti di autovalutazione, oppure che migliorano il proprio valore aggiunto negli esiti dei test.

Le categorie concettuali e l’idea di scuola con cui ci confrontiamo oggi erano a ben vedere era già presenti nella cultura che si andava consolidando negli anni ’90. Rileggere i testi istituzionali di quegli anni è assai significativo, specie perché il linguaggio che vi troviamo non ha nulla a che vedere con quello attuale, molto ridondante e carico di connotazioni morali. Rileggere quei testi consente, come diceva prima Professori Ricciardi, di comprendere la costruzione di un’egemonia.

Qui parla Berlinguer (Una sfida per il Paese, Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 1998), che riporta di un protocollo di intesa  siglato nel ’90 tra Confindustria e il Ministero della Pubblica Istruzione; un fatto di straordinaria importanza, rileva Berlinguer, che segnava il superamento di un vecchio e abusato luogo comune, e cioè che la scuola avesse un suo mondo, un suo orizzonte, e la produzione ne avesse un altro. Una nuova cultura della scuola prendeva forma; “nuove tecniche, nuovi metodi che avevano come riferimento la cultura e l’organizzazione della dimensione aziendale”.

I temi che ho sintetizzato li troviamo tutti nei testi istituzionali degli anni ’90-2000. La destatalizzazione e lo Stato valutatore (Sabino Cassese, la conferenza della Pubblica Istruzione, 1990), il patto del lavoro tra governo Prodi e parti sociali del ’96, che introduce il tema del mismatch e dell’ adeguamento domanda/offerta; il tentativo di Berlinguer di inserire una differenziazione salariale (di cui tanto si parla oggi) su base locale nel contratto collettivo degli insegnanti del 2000; e poi il nesso autonomia/valutazioni che si va saldando progressivamente attorno all’idea di qualità. Nelle linee guida per la diffusione della qualità del 2001, si descrive la scuola dell’Autonomia come un soggetto culturale che ragiona e agisce in maniera imprenditoriale: razionalizza,  ottimizza e misura i suoi risultati.  Sempre del 2001 la riforma costituzionale del Titolo V; poi la riforma Moratti e gli anni successivi, dell’essenzializzazione e della razionalizzazione (Gelmini, Tremonti), con i 10 miliardi e le 100 mila cattedre sottratti all’istruzione pubblica; per arrivare poi alla famosa lettera Trichet -Draghi, la successiva cura del governo Monti, e con il Ministro Profumo la nascita del sistema nazionale di valutazione  nel 2013;  un’architettura complessa in cui l’INVALSI svolge un ruolo centrale. Ma l’anno chiave, nelle politiche più recenti, è sicuramente il 2015, anno della Buona Scuola, la riforma di sistema che realizza una serie di interventi coerenti, dall’alternanza scuola lavoro obbligatoria alle certificazioni individuali (INVALSI), la chiamata diretta dei docenti, i nuovi poteri dei dirigenti, l’accento sulla valutazione, etc. Il manifesto culturale, che fa da sfondo a questa legge 107, è un testo del 2014 intitolato proprio “La Buona Scuola: facciamo crescere il paese” e che invitava a crescere, competere e correre. E bisognava cominciare fin da subito, fin dall’infanzia...

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